Anche l’Africa, anche gli ultimi, i dimenticati della Terra devono avere voce in capitolo nel futuro dell’intelligenza artificiale. Altrimenti sarà occasione sprecata di progresso condiviso o, peggio, si profila il rischio di ancora accresciute diseguaglianze.
Per questo motivo è importante che sia avvenuta quest’anno a Kigali (Ruanda) l’International Conference of Learning Representations (ICLR), ovvero la “Conferenza internazionale sulle rappresentazioni dell’apprendimento”, con oltre 2000 ricercatori provenienti da tutto il mondo. Si è conclusa il 5 maggio.
La conferenza ICLR
La ICLR ha ad oggetto le tecnologie del futuro e come focus principale il machine learning ed è caratterizzata dal fatto che i vari documenti che sono in essa presentati sono soggetti a un open peer review: tale caratteristica la distingue fortemente da quelle conference in cui l’audience è spesso relegata a un ruolo prettamente passivo (gli atti sono accessibili su Google).
Quest’anno, come prevedibile, il dibattito si è concentrato sugli ultimi sviluppi dell’intelligenza artificiale e la creazione di sistemi che possano superare l’intelligenza umana, sulla scia degli interrogativi sollevati dalla comunità internazionale dopo l’esordio sul palcoscenico mondiale di sistemi quali ChatGPT e d’intelligenza artificiale generativa (ovvero quell’intelligenza artificiale che in grado di creare contenuti quali ad esempio testi, video e musica)
Nelle cinque giornate di questa edizione (l’undicesima da quando l’ICLR è stata realizzata per la prima volta), forse anche complice l’organizzazione nel Continente africano in una città ben organizzata come la capitale ruandese e la realizzazione in presenza dopo tre edizioni virtuali a causa della pandemia, si è registrata numerosa la presenza di ricercatori e programmatori africani: ben 216 partecipanti rispetto ai 19 dell’ultima edizione in presenza avvenuta nel 2019, che hanno posto sul tavolo della discussione le potenzialità dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma anche i rischi ad essa connessi, in una logica non solo umano-centrica, ma anche afro-centrica, evidenziando le criticità di sistemi la cui creazione ed elaborazione sia a trazione sostanzialmente limitata a quella statunitense e cinese.
L’esclusione dell’Africa dall’AI
Sebbene infatti anche in Africa siano stati avviati vari progetti d’intelligenza artificiale già a partire dagli anni ’80 (soprattutto nel settore medicale sia in Kenya sia in Egitto con funzioni di carattere predittivo), è chiaro che la tecnologia di cui stiamo parlando richiede investimenti tali da escludere (o perlomeno ampiamente limitare) dalla corsa i paesi in via di sviluppo, sia per l’ingente impegno di risorse finanziarie e l’esigenza di numerosi soggetti qualificati, quali programmatori e operatori di validazione, sia per i consumi di energia di ragguardevole entità, spesso non assicurata in maniera sufficiente anche sotto il profilo della continuità dell’erogazione.
Si tenga anche conto della difficoltà dei ricercatori africani a partecipare a conferenze in Occidente, per problemi di visto.
Le criticità emerse
Nel dibattito delle cinque giornate, molte sono le criticità sollevate sia da parte dei partecipanti africani sia da parte degli altri provenienti da paesi in via di sviluppo, in ragione delle peculiarità di tali paesi, ma che a ben guardare possono estendersi a molti altri paesi, il nostro incluso: dato che di fatto la spinta all’intelligenza artificiale generativa e i risultati più efficaci provengono dalle due superpotenze del mondo, Cina e Stati Uniti.
Un primo aspetto appare relativo alla necessità dell’inclusione, nei team di lavoro, di esperti di diversi paesi:
- non solo al fine di evitare pregiudizi di programmazione,
- ma anche la scomparsa delle relative lingue nelle tecnologie digitali, un’assenza che in un mondo sempre più proiettato nella dimensione virtuale può costituire una causa d’impoverimento culturale di grande rilievo.
La manipolazione delle informazioni e l’effetto che tali manipolazioni possono avere sulle campagne elettorali è stato un altro elemento di preoccupazione sollevato da molti.
Fattore questo della creazione delle fake news di criticità ancor più elevata laddove avvenga in stati che non hanno media indipendenti davvero efficienti ed organizzati. Per rimanere in Ruanda occorre ricordare che i tragici eccidi avvenuti del 1994 furono addirittura invocati attraverso una radio locale: nel caso non si trattò della diffusione di notizie menzognere ma di vere e proprie incitazioni al massacro, ma appare comunque chiaro quanto i media possano influire sulla stessa tenuta della convivenza sociale.
Le fake news possono incidere sulla distorsione delle prossime elezioni previste in Africa, inoltre.
Intelligenza artificiale benefica
Un altro aspetto, questa volta di carattere etico, è stato sollevato in relazione all’assenza di un impegno nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale a supporto di attività d’interesse generale e a beneficio umanitario per le specifiche esigenze e caratteristiche dei Paesi africani.
Si è fatto l’esempio della Nigeria che presenta tassi di mortalità infantile inferiori nella parte meridionale del paese rispetto al settentrione grazie alla Sanità digitale.
In questo caso una rilevazione puntuale dei dati e l’analisi dei medesimi con l’IA potrebbe infatti consentire l’individuazione dei fattori negativi e positivi e condurre a ridurre tale fenomeno, con benefici che potrebbero andare ben oltre la Nigeria stessa. Si pensi a problemi che piagano l’Africa più dell’Occidente: l’alta mortalità infantile e al parto; malattie endemiche come la malaria e l’Aids.
Tra le varie applicazioni di cui si è discusso in una tale ottica è anche l’utilizzo dei satelliti in connessione con l’intelligenza artificiale per monitorare le discriminazioni razziali nell’accesso ai beni comuni o per individuare in modo anticipato criticità connesse all’agricoltura.
Moltiplicare le voci del coro e non cantare una sola messa
Senz’altro l’aspetto relativo alla concentrazione degli operatori del settore in poche regioni della terra (si pensi alla Silicon Valley) con le ricadute che ciò può avere in termini d’inclusione (o meglio, di non inclusione) sociale è stato un altro degli aspetti discussi alla conferenza.
Da qui l’esigenza sentita di ampliare i campi della ricerca non solo sotto il profilo dell’oggetto ma anche dei centri stessi in cui le ricerche sono eseguite, dando così alle ricerche e sperimentazioni un più ampio respiro geografico e culturale.
In questo senso è da notare che il Ruanda è una di quelle nazioni che più favorisce l’incontro e il mescolamento delle culture digitali facilitando i visti d’ingresso ai esperti ICT di tutto il mondo.
Sempre in questa prospettiva, vale la pena notare che uno dei risultati più positivi della conferenza è che, nonostante i veti incrociati che Stati Uniti e Cina stanno ponendo sulle tecnologie da essi rispettivamente prodotte, i partecipanti della ICLR hanno confrontato le proprie opinioni senza guardare alle nazionalità di appartenenza.
Ricordiamo infine che i grandi modelli di calcolo hanno alti livelli di consumi energetici e potenzialmente di emissioni; e che l’Africa pur non avendo contribuito al riscaldamento globale (per i bassi tassi di industrializzazione) ne è la principale vittima.
Sarebbe insomma un paradosso che con l’IA si riproducesse quella dinamica in cui gli ultimi della Terra paghino per gli effetti negativi di una rivoluzione industriale dei cui aspetti positivi non hanno goduto.
Ma siamo ancora in tempo per scrivere una nuova narrativa del progresso. Inclusiva, finalmente. A tal scopo bisogna includere tutti, fin dalla genesi della rivoluzione annunciata.