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La certificazione telematica di malattia dopo una televisita: un paradosso da risolvere



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Medici e avvocati si sono confrontati con l’evoluzione della telemedicina e il suo impatto sulla pratica medica, specialmente per quanto riguarda le certificazioni di malattia. Ecco i punti critici e gli aspetti operativi, dal momento che il medico che emette una ricetta elettronica dopo una televisita rischia l’accusa di falsa certificazione

Pubblicato il 27 mar 2024

Ombretta Papa

componente della Commissione Sanità Digitale dell’Ordine dei Medici di Roma

Sergio Pillon

Vicepresidente e responsabile relazioni istituzionali AiSDeT, Associazione italiana Sanità Digitale e Telemedicina



La certificazione telematica di malattia: come funziona dopo una televisita in telemedicina

Il successo o l’insuccesso della digitalizzazione passano attraverso quelle che sembrano, solo apparentemente, piccole cose: tra queste, ad esempio, il fatto che la televisita che può produrre una prescrizione di farmaci o analisi attraverso la ricetta dematerializzata e perfino un referto, non permette di redigere un certificato telematico di malattia. Un paradosso da superare .

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Telemedicina: il valore legale della televisita

La telemedicina rappresenta una frontiera innovativa per l’assistenza sanitaria, promettendo accessibilità e comodità ma sollevando questioni sulla valutazione clinica a distanza e la validità legale delle certificazioni di malattia. I medici sono chiamati a sviluppare nuove competenze comunicative e osservative per cogliere segnali e sintomi attraverso lo schermo, affrontando al contempo sfide legali ed etiche significative per garantire privacy e sicurezza dei dati sanitari.

In questo contesto, il valore legale della televisita assume un ruolo critico, con la necessità di bilanciare l’innovazione tecnologica con il “fattore umano” essenziale nella guida e nel governo dei processi tecnologici. “La telemedicina non può e non deve sostituire l’interazione diretta tra medico e paziente, ma agire come supporto alle decisioni cliniche e alla gestione del sistema sanitario” .

Apparentemente, il codice deontologico non sembra permettere “sic et simpliciter” una certificazione malattia dopo una televisita.

E comunque il tema, caldo nell’evoluzione digitale del SSN, potrebbe essere controverso in caso di problematiche medico legali ha ricordato l’avvocata Laila Perciballi, membro della commissione Responsabilità mediche COA Roma e Garante delle persone anziane di Roma Capitale.

Dal Ministro della Salute nessuna risposta alle richieste di chiarimenti

Già da molti mesi è stata inviata all’attenzione del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, una lettera da parte di AiSDeT che raccoglieva il “grido di dolore” dei medici digitalizzati e l’incongruenza di una televisita che, da una parte, può generare una prescrizione di farmaci o analisi attraverso la ricetta dematerializzata ed anche un referto, dall’altra, non consente di redigere un certificato telematico di malattia.

Inoltre, il “certificato telematico di malattia” al di fuori dell’INPS non ha alcun valore legale, se è necessario per documentare la malattia ai fini assicurativi o medico legali deve essere cartaceo o digitale, in questo caso firmato digitalmente secondo le indicazioni di legge.

Nessuna risposta è giunta ad Aisdet dal Ministro o dal Ministero della Salute. Secondo le linee guida sulla telemedicina pubblicate in Gazzetta Ufficiale lo specialista, al termine delle televisite, ha l’obbligo di produrre un referto.
E veniamo al medico di famiglia. Nel referto debbono essere incluse, a norma di legge, diagnosi e prognosi. Però lo specialista non le può inserire nel certificato telematico di malattia, che, secondo la Legge Brunetta che lo ha istituito, deve essere prodotto solo dopo constatazione in presenza da parte del medico.

Il dilemma sulla certificazioni a distanza

“Si affronta il dilemma dei profili di responsabilità amministrativa e la divergenza di interpretazioni legali sulla fede privilegiata delle certificazioni a distanza. È fondamentale un approccio equilibrato che assicuri efficacia, etica e conformità legale nelle certificazioni di malattia a distanza, possibilmente guidato da un intervento normativo che definisca chiaramente le circostanze e le condizioni per cui è possibile rilasciare una valida certificazione anche a distanza”, ha affermato Gianmarco Poli, docente di diritto processuale amministrativo presso l’università Luiss Guido Carli.

I documenti esaminati evidenziano come la telemedicina sia radicata e venga utilizzata con successo in Italia, come dimostra la piattaforma dottorCOVID della Regione Lazio, usata durante la pandemia COVID-19.

“Tuttavia, il sistema di certificazione di malattia telematica dell’INPS e l’uso dell’intelligenza artificiale presentano ancora limitazioni nella valutazione clinica, oltre a problemi tecnologici, rischi di frode e preoccupazioni per la privacy, ma non si ravvedono elementi ostativi all’implementazione delle modalità di visita con la televisita che non si riduce ad una semplice telefonata”, ha concluso Roberto De Simone, già medico legale INPS, CTU presso il tribunale di Roma.

Patrizio Rossi, sovrintendente sanitario centrale INAIL, ha mostrato come l’ente stia facendo passi da gigante nella gestione delle certificazioni digitali. In INAIL, per esempio, ora è possibile certificare “per atti”, accettando un documento trasmesso per via digitale dal richiedente una valutazione.

La presa d’atto che il digitale ormai è un processo attivo e sempre più indispensabile ha fatto sì che l’ente stia pian piano rivedendo la parte “in presenza” aumentando sempre di più quella “a distanza”.

La pratica medica nell’era della telemedicina

La domanda che ci poniamo è se ci sono problemi (legali, tecnici, clinici, organizzativi,
deontologici, politici) insormontabili nell’adattare la nostra pratica medica a un’era di
crescente digitalizzazione
. E ci chiediamo se la politica sta attivamente cercando di affrontarli e superarli.

La certificazione “per atti”, tradotta nella pratica comune, consentirebbe a un medico di famiglia l’emissione di un certificato telematico di malattia per un paziente, per esempio, dimesso dopo un piccolo intervento eseguito in una struttura privata (che ricordiamo oggi non può emettere il certificato telematico di malattia).

Oggi, secondo quanto chiaramente indicato sul sito INPS, “Il certificato telematico di malattia può essere rilasciato dal medico curante, che provvede a trasmetterlo telematicamente all’INPS. Il lavoratore è tenuto a segnalare tempestivamente al datore di lavoro la propria assenza e il corretto indirizzo di reperibilità durante l’evento di malattia, secondo quanto stabilito dal proprio contratto di lavoro. (…) In caso di impossibilità di accesso al servizio telematico, il medico può redigere il certificato in modalità cartacea, e il lavoratore deve trasmettere copia del certificato alla propria azienda e, se assicurato INPS, l’originale all’Istituto previdenziale entro due giorni dalla data del rilascio”.

Sarebbe una beffa per il cittadino, che dovrebbe trasmettere per posta raccomandata tutte le certificazioni redatte su carta dopo una televisita.

L’ingegnere Raffaele Nudi ha ben chiarito come non esistono problematiche tecnologiche, anzi l’integrazione tra le piattaforme potrebbe rendere la certificazione telematica molto più semplice per i medici certificatori, potendo completare in modo semiautomatico tutti gli aspetti burocratici del processo, lasciando al medico solo l’inserimento della diagnosi e della prognosi, questo se solo le varie piattaforme utilizzassero un linguaggio comune.

Il pareri dei sindacati

Hanno espresso la loro opinione le rappresentanze sindacali dei medici di famiglia, Pierluigi Bartoletti, vicesegretario nazionale vicario della Federazione Italiana Medici di
Medicina Generale, FIMMG, Giuseppe Lanna, vicepresidente del Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani, SNAMI Lazio e Marina Pace, vicesegretario del sindacato medici italiani, SMI Lazio.

Le proposte

Tutti sono concordi nell’affermare quanto sia anacronistico escludere dalla televisita la
certificazione telematica, soprattutto per patologie non “oggettivabili” con una visita, per esempio emicrania, gastroenterite, vertigini, iperpiressia e molto altro.

Sono emerse alcune proposte:

  • la valutazione se certificare telematicamente le malattie dopo una televisita dovrebbe essere, così come indicato nelle indicazioni per l’utilizzo della telemedicina pubblicate in gazzetta ufficiale, a giudizio, come definito in GU, “insindacabile” del medico;
  • inoltre, dovrebbe essere possibile redigere una certificazione telematica di malattia per tutti i medici regolarmente iscritti negli ordini professionali ed abilitati all’esercizio della professione, in modo da evitare un inutile sovraccarico dei MMG ed una burocratizzazione inutile per il cittadino;
  • si è espressa l’ipotesi che per diagnosi di uno due giorni possa essere sufficiente una autocertificazione da parte del lavoratore;
  • i moduli INPS e della ricetta dematerializzata devono essere modificati: in primis oggi prevedono solo la visita in presenza o al domicilio, escludendo la televisita, esponendo il medico che fa una ricetta elettronica dopo una televisita, oggi già possibile, all’accusa di falsa certificazione;
  • sin da oggi, i moduli dovrebbero essere resi più semplici da compilare, a giudizio dei medici di famiglia appare evidente come si sia seguita una logica burocratica e non una logica clinica nella redazione dei moduli digitali da compilare sul portale INPS;
  • deve essere resa possibile la certificazione telematica “per atti”, il certificare a valle di un certificato di altro professionista prodotto dal paziente.
  • infine, è necessario un chiarimento sul codice deontologico da parte della FNOMCEO su questo tema così “caldo”.

Conclusioni

È necessario un dialogo costruttivo tra professionisti, istituzioni e legislatori, ed un impegno comune per definire linee guida chiare e protocolli sicuri, essenziale per navigare queste acque incerte. Occorre garantire che la telemedicina non solo sia possibile, ma diventi un valore aggiunto per la salute pubblica.

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