L’avventura del contact tracing covid nel Regno Unito era iniziata malissimo, ma ora i motivi del suo successo sono gli stessi che, alla rovescia, stanno condannando la nostra Immuni all’inefficacia.
E che successo: secondo un nuovo studio dell’Alan Turing institute, l’app inglese ha bloccato finora 600 mila contagi. Quelli di Immuni non è dato sapere, il ministero Salute nasconde ora questo numero perché troppo basso; era fermo a poche decine a fine 2020.
Indicativo che solo 11mila persone con covid in Italia hanno usato Immuni per avvisare i propri contatti stretti.
I numeri dell’app inglese
Come ha fatto il Regno Unito? Due parole: investimenti, organizzazione. Ciò che è mancato da noi.
Ricordiamo che da principio il governo inglese aveva optato, in controtendenza rispetto alla maggior parte degli Stati occidentali, per lo sviluppo di un’app invasiva e centralizzata su server gestito dal governo.
Dopo un paio di mesi di sviluppo, nel giugno 2020, questa prima app è stata abbandonata in quanto era ormai diventato chiaro che l’approccio (opposto rispetto a quello britannico) di Apple e Google era più valido e rispettoso della riservatezza degli individui tracciati.
La nuova applicazione è quindi partita sotto i migliori auspici (anche se in ritardo rispetto agli altri paesi europei) ma nonostante questo nuovo approccio il Regno Unito non è riuscito a sviluppare un’app unitaria e Scozia e Irlanda del Nord hanno optato per soluzioni autonome.
Inghilterra e Galles hanno quindi puntato sul framework di Apple e Google, ma a quel punto, ancora a giugno 2020, ormai 11.8 milioni di sterline erano stati spesi dal governo per lo sviluppo delle app di contact tracing (mentre la soluzione italiana è stata realizzata praticamente senza spese).
Quando finalmente l’applicazione, battezzata NHS Covid-19, è stata resa disponibile per il download su Android e iOS (accompagnata da una significativa campagna marketing) è stata scaricata da sei milioni di utenti già il primo giorno (il 24 settembre 2020).
Dopo tre giorni, i download avevano superato i dieci milioni e oggi oltre 21 milioni di inglesi utilizzano NHS Covid19 (mentre Immuni è ferma a 10 milioni), pari al 56% della popolazione legittimata a scaricarla (l’app è infatti rivolta ai maggiori di 16 anni).
Nonostante alcuni problemi di gioventù (inizialmente gli utenti non potevano “caricare” i risultati di test non condotti tramite l’applicativo e in seguito in alcuni casi le notifiche non sono state inviate ai soggetti che avrebbero dovuto iniziare un periodo di quarantena) l’app ha conquistato gli inglesi e si è rivelata fondamentale nella lotta al coronavirus.
L’applicativo ha inviato un milione e settecentomila notifiche e, secondo una ricerca dell’Alan Turing Institute e dell’Università di Oxford diffusa pochi giorni fa ha contribuito a prevenire 600 mila contagi.
Sempre secondo questa ricerca l’aumento dell’1% di utenti dell’app incide con una riduzione di casi di Covid del 2,3%.
Contact tracing, come supportare la fiducia dei cittadini nelle app
Le ragioni dietro il successo
Le ragioni dietro il successo dell’app inglese passano probabilmente per gli errori iniziali, che hanno fatto comprendere ai responsabili del progetto come fosse necessario evitare ulteriori strafalcioni e hanno messo di fronte i cittadini al fatto che gli errori iniziali sono stati corretti, facendo vedere come il contact tracing tecnologico avrebbe potuto essere (centralizzato e invasivo) e come invece infine era stato sviluppato (decentralizzato e rispettoso della privacy).
Ma la chiave del successo d NHS Covid-19 sta forse nelle differenze, piccole ma significative, fra questa app e i suoi numerosi omologhi nei vari stati europei.
Visto che il framework globale da adottare era quello di Google ed Apple, gli inglesi hanno pensato bene di concentrare lo sviluppo su elementi ancillari dell’applicativo, rendendoli accattivanti.
L’app ad esempio consente di ottenere, inserendo il codice postale, il livello di rischio in tempo reale del quartiere in cui si vive (funzione molto pubblicizzata ed apprezzata).
L’app inoltre consente di fare “check-in” quando si entra in un locale, così da ricevere notifiche se quel locale è stato frequentato, nel tempo che vi abbiamo trascorso, da soggetti risultati positivi, creando così un secondo livello di contact tracing. Il sistema si basa sulla scansione di QR-Code presenti nei vari locali pubblici inglesi e consente, pur rimanendo poco invasivo, un tracciamento più efficace nei luoghi di aggregazione, in cui notoriamente possono verificarsi focolai di contagio.
La funzione che davvero ha fatto la differenza è poi quella che riguarda la fase successiva al tracciamento di un contatto con un soggetto positivo. Dopo la notifica è possibile con l’app prenotare subito un test, con la possibilità di condividerne poi i risultati sempre via app (tramite il sistema decentralizzato e pseudonimo predisposto da Google e Apple).
Quest’ultimo è proprio l’elemento di cui si è sentita più la mancanza in Italia con Immuni, funzionale fino al momento del contact tracing, ma fumosa circa procedure e possibilità per chi riceveva una notifica.
Non bisogna poi dimenticare di evidenziare la campagna marketing mirata e focalizzata sulle funzioni più interessanti dell’applicativo NHS Covid-19, che è mancata nel nostro paese. In Inghilterra l’app è stata infatti pubblicizzata in maniera intelligente, puntando sulle funzioni complementari dell’app (ad esempio la funzione per cui l’app consente di tracciare in tempo reale, grazie a dati aggregati, il livello di rischio suddiviso per microaree).
Intelligente è stata anche l’idea di associare la diffusione dell’applicativo a studi di livello universitario, dando il giusto rilievo ai risultati a livello comunicativo.
Non dimentichiamo che l’app consente anche con semplicità di accedere a determinate agevolazioni, come ad esempio il sussidio di 500 sterline per i lavoratori autonomi costretti alla quarantena.
Gli inglesi hanno quindi “confezionato” il contact tracing in un pacchetto più ampio, ottenendo probabilmente per questo risultati migliori, raggiunti inoltre grazie ai maggiori investimenti (mirati) dedicati allo sviluppo dell’applicativo e a una campagna marketing incisiva e fondata sui punti di forza della soluzione studiata.
Nonostante i vari errori iniziali, l’Inghilterra e il Galles possono ora contare su un valido strumento tecnologico di supporto nella lotta al coronavirus.
La lezione per Immuni
In Italia invece si è puntato su un approccio “al risparmio” che però ha portato a inevitabili cortocircuiti normativi e allo sviluppo di un’app “povera” di funzioni accattivanti. Non va dimenticato però che un investimento come quello inglese per l’applicativo (peraltro inizialmente disastrosamente sbagliato con conseguente grave ritardo di sviluppo) avrebbe probabilmente scosso negativamente i già fragili equilibri del governo italiano.
Non tutto però è perduto e anche l’app nostrana potrebbe tornare a guadagnare consensi (e download) se venisse integrata di ulteriori funzioni e, in particolare:
- una chiara funzionalità in app per la verifica in tempi brevi della rispondenza fra contatto tracciato e effettivo contagio;
- funzionalità ulteriori in app collegate al contatto tracciato e/o al contagio accertato e che consentano di accedere (come modalità alternativa) a misure di sostegno erogate;
- funzionalità ulteriori in app collegate all’evoluzione della pandemia specie su micro-aree.
Sarebbe poi da approfondire l’iniziativa inglese calibrata sui pubblici esercizi, con un contact tracing parallelo basato su una registrazione volontaria in un locale pubblico.
Tutto questo al netto delle azioni da fare per integrare meglio Immuni nel sistema sanitario. Missione fallita nonostante la presenza di un contact center, ora in tutta Italia o quasi, per agevolare l’integrazione di Immuni nel contact tracing sanitario.
Immuni, troppi errori e scelte discutibili: perché il Governo non ha voluto rimediare