il commento

Linee guida Green Pass PA, troppi problemi per aziende e dipendenti

L’obbligo al green pass anche in smart working è un controsenso perché a casa si limita comunque il contagio. Tanti punti critici nelle linee guida smart working

Pubblicato il 15 Ott 2021

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

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Le disposizioni sul green pass per la PA, ora pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 14.10.2021 contengono disposizioni critiche. E susciteranno molti problemi, ad aziende e dipendenti.

Controsenso obbligo green pass in smart working

Partiamo dall’obbligo di fatto ad avere green pass anche in smart working per evitare elusione della norma. Sappiamo tutti che il Green Pass obbligatorio ha lo scopo di alimentare la campagna vaccinale, ma questo non è l’obiettivo dichiarato della normativa, che parla piuttosto di obiettivo di prevenzione del contagio, quindi, se colloco in smart working un dipendente senza Green Pass (ovviamente senza che questo possa essere imposto al datore di lavoro) sto soddisfacendo i requisiti della legge perché prevengo il contagio lasciando a casa il dipendente (che non metterà così in pericolo i colleghi).

Ciononostante le Linee Guida considerano “elusivo” della disciplina in tema di obbligo di Green Pass assegnare alle modalità di lavoro agile i dipendenti sprovvisti di Green Pass.

Peccato che nonostante questa disposizione, contenuta nelle Linee Guida, sia ben difficile individuare la sanzione per questa prosecuzione del rapporto in smart working e che quindi nella realtà dei fatti sarà difficile impedire ai datori di lavoro che tengono all’operato di un dipendente sprovvisto del certificato di continuare a servirsene (se compatibile con le sue mansioni) in smart-working.

Sbagliato limitare i controlli a verifiche post ingresso

Pare poi sbagliato limitare i controlli a campione alle verifiche post ingresso del lavoratore in azienda; per evitare code sarebbe possibile fare controlli a campione al momento dell’ingresso.

Fortunatamente il testo definitivo delle Linee Guida ha escluso questa irragionevole limitazione ed è quindi consentito effettuare controlli “a campione o a tappeto” anche in sede di ingresso all’azienda. I controlli a campione devono interessare non meno del 20% dei lavoratori, devono di preferenza essere fatti durante la mattina e devono garantire che sia seguito un criterio di rotazione (peccato che per ragioni di privacy non sia possibile tenere un registro dei soggetti controllati e che quindi la rotazione dei controllati sarà giocoforza lasciata alla memoria dei soggetti incaricati del controllo).

La modifica delle Linee Guida prima della pubblicazione evita quindi opportunamente il cortocircuito per cui alle PA veniva in precedenza “suggerito” di fare controlli a campione finché non fossero stati attivati i sistemi di controllo automatizzati (stile scuola).

Ricadute anche su settore privato

Le ricadute negative avrebbero potuto registrarsi anche nel settore privato, che avrebbe potuto ricavare indicazioni dalle linee guida prediligendo quindi i controlli a campione post ingresso solo per evitare code e ritardi.

Il problema è che questo avrebbe comportato il fatto che il datore avrebbe potuto strumentalmente usare i controlli a campione per aggiungere alla sanzione dell’assenza ingiustificata la sanzione pecuniaria, e quindi chiunque fosse stato sanzionato avrebbe potuto opporre le sanzioni facendosi forza della possibile discriminazione di cui è stato vittima (supposta discriminazione che, è facile prevedere, avrebbe fatto breccia nei Giudici di Pace che sarebbero stati chiamati a decidere sul punto).

Problemi nel controllo esenzione

Non è minimamente condivisibile, infine, il tipo di controllo riservato ai certificati di esenzione, che nonostante l’evoluzione fra il testo della bozza delle Linee Guida e la versione definitiva pubblicata in Gazzetta Ufficiale propone comunque modalità di controllo del tutto inadeguate.

Nella bozza di Linee Guida il controllo dei certificati di esenzione comportava infatti un trattamento dati sterminato (dal soggetto, al medico del lavoro, che comunica al datore, il quale di rimando lo comunica a tutti i delegati ai controlli e di lì a tutti i dipendenti quando inizieranno a notare che uno di loro viene sistematicamente escluso dalle operazioni di verifica).

Le Linee Guida pubblicate in Gazzetta innovano la disciplina prevedendo che il medico del lavoro può comunicare ai delegati ai controlli il fatto che un dipendente possiede un certificato di esenzione solo qualora questi glielo consenta.

Peccato che è difficile immaginare la tutela a cui potranno essere sottoposti questi soggetti, che potrebbero trovarsi ora nell’assurda situazione in cui non sono sottoponibili a controllo secondo il DPCM 14.10.2021, ma per dimostrare che non sono sottoponibili a controllo devono esibire il certificato di esenzione e, quindi, sottoporsi a controllo!

In alternativa questi lavoratori possono rivolgersi al medico del lavoro (ovviamente solo se sono sottoposti alla sua sorveglianza sanitaria, l’opzione non è disponibile per tutti quei collaboratori, fornitori, etc. che accedono ai luoghi di lavoro ma non hanno rapporti con il medico del lavoro) e chiedere che diffonda i loro dati ai delegati (di nuovo estendendo il trattamento dei loro dati sanitari in maniera molto incisiva, in quanto oltre agli incaricati al controllo è verisimile che in breve tempo anche gli altri dipendenti si accorgano del “trattamento speciale” riservato al collega e indovinino la sua condizione.

C’è da sperare che arrivi presto la verifica dei certificati di esenzione tramite QR-code, che farà finalmente venir meno questo bizzarro regime transitorio.

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