Mascherine perlopiù raccogliticce, isolamento sociale. La “tecnologia” con cui l’Italia sta affrontando la riapertura è più o meno la stessa di un Paese pre-industriale.
La questione qui non è – come sottolineato da altri – che non c’è ancora l’app per il tracing dei contatti, assente per altro in tutti i Paesi occidentali e di dubbio successo laddove è stata usata, in Oriente.
Manca il tracing, testing, treatment in Italia
Il problema è che manca l’ossatura, anche tecnologica ma in generale organizzativa, alla base dei tre pilastri fondamentali per la fase 2: il tracing, testing, treatment. Come indicati dall’organizzazione mondiale della Sanità e vagamente menzionati anche dal nostro ministero della Salute.
Nell’ultima conferenza stampa il premier Conte per la prima volta ne ha parlato, rispondendo a un giornalista che metteva in dubbio la loro attuazione in Italia. Il premier ha provato a smentirlo, notando che l’app Immuni è in arrivo (fine mese) e che potenzieremo anche il testing, i tamponi; non solo il treating: le terapie intensive, il personale sanitario.
Grosso equivoco. “Il trittico anti-epidemia va inteso in modo strutturato. Non basta potenziare qui e lì. Ma bisogna usare i tre tasselli in modo coordinato, indirizzando le cure in base alle evidenze che vengono dal tracing e testing ad esempio. Il tutto con una forte gestione centralizzata dei dati”, mi spiega Eugenio Santoro, dell’Istituto Mario Negri, tra i massimi esperti di innovazione in Sanità. “Tutti gli esperti ripetono con crescente allarme che in Italia il trittico non è stato applicato e non c’è nemmeno una strategia per farlo”, aggiunge, citando Nino Cartabellotta, Andrea Silenzi, Pier Luigi Lopalco. Idem Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, in una recente intervista a Repubblica: “In una situazione tecnicamente ideale, prima dell’apertura ci sarebbero dovute essere altre cose. Ma nella situazione reale, dobbiamo fare il tentativo di adeguarci a una convivenza con la malattia. Sarebbe stato estremamente più opportuno individuare prima e meglio i positivi, non in senso poliziesco o inquisitorio, ma per dar loro supporto sanitario, soprattutto a chi è chiuso in casa con l’infezione”.
Altri Paesi vanno avanti
“Altri Paesi hanno questa strategia – Germania, Corea del Sud – e hanno potuto contarci per ridurre al minimo il problema. Altri la stanno progettando: Stato di New York, Regno Unito”.
Limitante anche ridurre il tracing all’app: bisogna assumere molti nuovi al tracing, potenziare e coordinare i processi e digitalizzandoli quanto più possibile, come stanno facendo quei Paesi lì. Da noi dopo l’autocertificazione cartacea abbiamo il modulo cartaceo per i ristoratori, quello grazie al quale se uno degli avventori si scopre positivo poi si può ricostruire chi era presente in quel momento nel locale. Sfogliando plichi di carta, immagino.
Conclusioni
In Italia solo Regione Veneto ha adottato il modello basato su big data, integrato e centralizzato. “In Italia tutto è demandato alle Regioni, anche il trittico di cui sopra, come detto dallo stesso Conte. E ci sono Regioni che non hanno fondi necessari per farlo. Altri, come la Lombardia, che preferiscono seguire un modello diverso”, dice Santoro.
L’emergenza ha mostrato tutti i limiti di un modello della salute così decentralizzato. Sarà materia di riflessione, per una riforma costituzionale. Conte ha detto che la affronterà in seguito. Ma vorrà farlo davvero? Quale Governo avrà la forza di andare fino in fondo in questo senso? Risposte per ora non ci sono, ma l’Italia non si può permettere di aspettarle. Al minimo, bisognerebbe spingere per un modello coordinato, tra le Regioni e il Governo, per assicurare il decollo del “magico trittico”. Prima dell’autunno, possibilmente.