Oggi il Fascicolo Sanitario Elettronico è finalmente la piattaforma nazionale più evoluta per il governo della sanità italiana e in particolare di quella del futuro. La sua architettura, di tipo federato quindi coerente con la cultura tecnologica di Internet, con nodi regionali che si raccordano anche con un nodo nazionale, costituisce una realtà di grandissimo interesse e un punto di riferimento per tutte l’evoluzione della sanità europea.
Ma, se già oggi esiste questa base dati, perché non viene utilizzata in questa situazione di gravissima emergenza da Coronavirus?
Proviamo a comprendere cosa serve per poter sfruttare le potenzialità di quella che potrebbe essere un’arma formidabile di tracciamento e di monitoraggio, che – in definitiva, nel tragico scenario attuale – potrebbe servire salvare molte vite umane.
Il problema, ora, è il tracciamento: i problemi del sistema informativo della nostra Sanità
Già perché il problema principale che affrontiamo oggi è il tracciamento. Conoscere esattamente dove sono e chi sono le persone affette dal virus. Mettere sotto controllo l’andamento della pandemia. Qui si avverte il punto di caduta più pericoloso del sistema informativo della sanità italiana. Il servizio sanitario nazionale ha un sistema informativo carente. Anzi ne ha due che fanno fatica a comunicare tra di loro. Quello nazionale basato sul MEF e la Tessera Sanitaria (non sul Ministero della Sanità) e quello delle Regioni basato sul Fascicolo Sanitario Elettronico. L’uno serve per il controllo della spesa e genera dati economici e statistici. L’altro mette in rete lo stato di salute dei cittadini attraverso il contenuto dei documenti sanitari (referti, diagnosi, cartelle cliniche, ecc..).
Ma il SSN dispone oggi, per la sua attività di programmazione e sorveglianza, soltanto del canale ‘amministrativo’ perché i dati di salute-malattia contenuti nei FSE e generati da tutte le interazioni medico-paziente, non vengono raccolti ed elaborati nazionalmente e spesso nemmeno dalle Regioni.
Il decreto Ristori peggiora ancora il Fascicolo Sanitario elettronico
In piena seconda emergenza COVID 19, il 28 ottobre 2020, nel DPCM conosciuto con il nome di ‘Decreto Ristori’, all’articolo 19, si cerca di mescolare i due sistemi, aggravando, a mio parere la situazione.
Nelle ‘Disposizioni urgenti per la comunicazione dei dati concernenti l’esecuzione di tamponi rapidi da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta’ è previsto che questi dati non debbano più essere trasmessi, come avviene per tutti gli altri referti, dal medico di famiglia al FSE e così al cittadino. No, vanno prima mandati alla rete amministrativa del MEF della Tessera Sanitaria e poi, da questa, da Roma, ai Fascicoli dei cittadini e alle Asl e all’Istituto Superiore di Sanità. Un giro contorto, reso ancor più tale dall’istituzione, ‘fuori Fascicolo’, anche di una ‘una piattaforma nazionale gestita dal Sistema Tessera Sanitaria (TS) e integrata con i singoli sistemi regionali’ per gli utenti.
Eppure, con il FSE, ormai ampiamente diffuso in Italia, si è fatto un salto di qualità notevolissimo gettando le basi di un nuovo sistema informativo della sanità italiana necessario per mettere il paese in sicurezza. Infatti, il Fascicolo raccoglie non soltanto l’informazione che il signor Rossi ha effettuato una visita dermatologica o ortopedica – come fanno i ‘flussi amministrativi’- ma anche il referto di questa visita, quello che i medici hanno scritto sullo stato di salute del signor Rossi. Con i flussi sappiamo che questo signore ha effettuato una visita dermatologica o ortopedica. Con il FSE conosciamo esattamente di cosa soffre. Non ci vuole molto a comprendere che il Fascicolo potrebbe diventare da subito uno strumento di monitoraggio e tracciamento del Coronavirus a base universalistica e non statistica. Uno strumento certamente eccezionale. Ed è qui, che vorrei arrivare.
Ma il Fascicolo sanitario elettronico funziona?
Conosco già molti degli interrogativi che il nostro gentile lettore sarebbe pronto a sottoporci già a questo punto iniziale del discorso, a partire dal rispetto delle norme sulla privacy e ancor prima sulla reale consistenza del Fascicolo oggi in Italia. Cercherò di anticipare e di rispondere a questi interrogativi.
La prima domanda che viene posta quando raccontiamo queste cose è infatti: “Ma il Fascicolo Sanitario Elettronico funziona? È diffuso in tutte le regioni italiane? O è soltanto un servizio di nicchia presente in Lombardia, in Emilia-Romagna in pochi altri posti?”
Ecco allora la risposta: il FSE è ormai uno strumento nazionale utilizzato da oltre 20 milioni di cittadini (22 milioni è il dato fornito dal Ministero della Salute). Ma quello che più conta è che dopo il DPCM di maggio, emanato sotto l’incalzare dell’emergenza COVID19, tutti i cittadini italiani hanno ‘in backoffice’ un FSE. Ogni dato riferito allo stato di salute di sessanta milioni di italiani circola nelle reti del Fascicolo. Un fatto eccezionale e unico nella storia sanitaria d’Italia e anche d’Europa. Assieme a pochi altri paesi, come la piccola Svezia e la piccola Austria, siamo i primi ad aver creato un’infrastruttura di tale importanza e consistenza. Un’infrastruttura di generazione Internet per la sanità nazionale. Il SSN può conoscere quindi tutti i dati delle interazioni medico-pazienti presenti nei FSE anche dei quaranta milioni di cittadini che ancora non hanno materialmente attivato il Fascicolo, perché questi dati sono in rete come prevede la legge.
Come tutelare la privacy?
Ecco allora la seconda domanda: come è possibile accedere a queste informazioni ‘sensibili’ senza infrangere la tutela della privacy dei cittadini?
Anche in questo caso c’è una risposta. Esiste una legge varata fin dal 2013, istitutiva del FSE, che prevede qualcosa di molto semplice e chiaro. Tutti i dati contenuti nei fascicoli sanitari elettronici – ancora una volta ricordo che non sono dati economici o statistici ma informazioni di salute sulle persone fisiche – possono essere utilizzati in tre modi diversi (e quel possono è eufemistico perché in realtà devono essere utilizzati per il bene della salute di tutti!): per curare, conoscere la situazione epidemiologica del paese, programmare e governare l’assistenza sanitaria. Per curare il cittadino e per accedere ai suoi dati personali presenti nel suo FSE, non v’è dubbio che occorra il suo consenso. Ma anche qui c’è una novità importante. Con la decisione del DPCM di maggio si è creato un sistema che permette non solo ai medici di famiglia di accedere in rete alla storia clinica del paziente (sempre con il consenso, s’intende), ma anche al medico specialista di effettuare la stessa operazione. La legge prevede che il sistema di cura dei cittadini sia in capo alle Regioni che lo esercitano attraverso le aziende sanitarie. Quindi questi dati individuali, che hanno un nome e cognome, possono essere utilizzati per curare al meglio il paziente e per una medicina sempre più personalizzata in un ambito locale e istituzionalmente governato dalla Regione e dalle aziende sanitarie. Non c’è su questo punto alcun conflitto o menomazione dell’autonomia regionale.
La stessa legge del FSE, nello stabilire, come si è detto, che i dati di tutti i fascicoli sanitari dei cittadini italiani (che oggi, ripeto e continuerò a ripeterlo, sono e devono essere tutti in rete eHealth) devono essere utilizzati a scopo epidemiologico e di programmazione sanitaria, mette in campo di fatto un obbligo delle strutture nazionali del SSN ad avvalersi di queste informazioni, che sono ben più ricche dei vecchi ‘flussi amministrativi”. Queste strutture sono il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità che oggi purtroppo non hanno ancora un accesso diretto ai dati raccolti dai repository regionali. Con questo accesso, legalmente previsto, il monitoraggio del Coronavirus e della fragilità sanitaria sarebbe avvenuto fin da subito real-time su tutto il territorio nazionale.
La questione del consenso nel FSE
Arriviamo allora alla questione del tanto dibattuto del consenso. La risposta è nello stesso dispositivo della legge istitutiva del FSE: i dati di salute presenti in tutti i fascicoli degli italiani utilizzati per studi e sorveglianza epidemiologica, nonché per esigenze di programmazione, vanno anonimizzati. E questo vale per il Ministero, l’ISS, le Regioni e le ASL. I medici, in particolare quelli di famiglia conoscono dati e nomi; le istituzioni sanitarie i numeri e la loro diffusione nel territorio. È giusto che sia così e non potrebbe essere diversamente in uno stato democratico. Le due entità devono collaborare maggiormente. Se nel comune di Desenzano (un nome scelto a caso), dove operano quattro MMG e un pediatra, ci sono venti positivi al COVID accertati da FSE, l’istituzione deve operare attraverso questa piccola comunità di medici che conoscono i malati. E così in tutt’Italia, ma ciò non sempre è stato fatto e i medici di famiglia sono stati per lungo tempo lasciati ai margini dell’emergenza da pandemia, come del resto il Fascicolo Sanitario Elettronico.
Ma ritorniamo all’anonimizzazione dei dati, questa che sembra una chimera del SSN. Di fatto nessuna Regione, e tanto meno nessuna struttura centrale, ha messo mano con serietà scientifica e tecnologica a questo processo assolutamente realizzabile con tecnologie informatiche adeguate e con algoritmi appositamente predisposti a garanzia dell’anonimato. Possiamo estrapolare da un datalake di tutti i link dei fascicoli le informazioni sulle malattie degli italiani su base nazionale, regionale, provinciale, locale; possiamo, in altre parole, conoscere quali sono gli indici di criticità della salute di una città, di una regione e di una particolare zona del paese anche per singola patologia ed epidemie, a partire da quelle influenzali. Possiamo costruire mappe di fragilità della popolazione italiana fino a livello di rioni e quartieri e piccoli comuni; conoscere esattamente quante sono e dove sono le persone che hanno una, due o addirittura tre patologie croniche e che sono quelle più a rischio in questa emergenza. Possiamo utilizzare l’intelligenza artificiale e particolari algoritmi per fare previsioni e costruire mappe predittive di evoluzione della condizione di salute della popolazione e della diffusione dei virus, nonché delle principali patologie tenendo conto dei fattori demografici, ambientali e sociali del territorio. Possiamo sovrapporre queste mappe di fragilità sanitaria a quelle economiche basate sul reddito e quelle sociali basate sulle relazioni sociali e familiari, perché le persone fragili e sole sono ancor più a rischio.
Un nuovo servizio informativo nazionale della sanità basato sul FSE: cosa manca
Un lavoro che non può non coinvolgere contestualmente il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, le Regioni, le aziende sanitarie i centri di ricerca scientifici, come le università e anche, ovviamente e con le necessarie regole, la ricerca condotta da istituzioni private e grandi aziende di mercati del settore. Questi sono i dati di cui necessita il nuovo servizio informativo nazionale della sanità. Essi sono già in gran parte in rete e legalmente consultabili.
È vero che alcune regioni, in particolare del sud, sono carenti nell’architettura del fascicolo sanitario, nel senso che non hanno ancora costruito in backoffice la piattaforma necessaria affinché i cittadini possano attivare il Fascicolo. Ma ormai si può affermare che tutte le regioni sono in una fase di completamento di queste piattaforme, indipendentemente dal fatto che in alcune di queste i cittadini non hanno materialmente a disposizione il fascicolo.
Allora torniamo alla domanda iniziale: se già oggi esiste questa base dati, perché non viene utilizzata in questa situazione di gravissima emergenza da Coronavirus?
Beh, qui la risposta si fa più complicata ma non di molto. Affinché questi dati di tutti gli FSE siano effettivamente disponibili ed elaborabili, occorre che qualche istituzione o azienda, o network di aziende, necessariamente pubblici crei un datalake nazionale e che tutte le Regioni facciano altrettanto. È una cosa talmente ovvia che non varrebbe la pena scriverla: all’architettura federata e di interoperabilità del FSE – che permetterà tra breve di far circolare un referto in tutta Italia e in Europa per seguire gli spostamenti del paziente, come prevede anche un progetto europeo già avviato – occorre rendere attiva un’architettura di condivisione dei dati anonimizzati con una rete di datawarehouse e datalake. L’estrapolazione di questi dati presenta un alto livello di complessità perché l’architettura del FSE è diversa dalle altre altre ‘storiche’ del SSN in quanto, appunto, federata e di generazione internet. I repository che alimentano queste reti nei nodi regionali o aziendali delle Asl, non sono dei contenitori di dati, ma più semplicemente dei puntatori, degli indicizzatori, cioè una specie di elenchi telefonici elettronici. Nel mio FSE non trovo i referti delle mie analisi del sangue ma gli indirizzi elettronici di rete per rintracciarli.
Occorrono quindi un’architettura di condivisione, degli algoritmi e delle postazioni di supercalcolo in grado di anonimizzare tutti i dati individuali, assieme a software di intelligenza artificiale per poterli leggere e interpretare in funzione delle esigenze epidemiologiche, anche urgenti, e delle necessità di salute del paese e del territorio. Queste informazioni vanno poi elaborate in condizioni di assoluta sicurezza e a garanzia della sicurezza nazionale e dei cittadini italiani. Non credo che possiamo metterli in mano al mercato o a un grande provider internazionale. Ogni operatore privato avrà invece diritto all’open in funzione dell’attività di ricerca che vuole espletare e questo è particolarmente importante per le start up.
Bisogna però prendere atto che né i ministeri né le regioni, in quanto enti pubblici, hanno una struttura tecnologica adatta a svolgere questa funzione. Possiedono invece strutture tecnologiche in house, aziende interamente pubbliche regionali e nazionali, che hanno tecnologie e competenze per svolgere questo ruolo. Il network di queste imprese, che comprende anche in house pubbliche con capacità di supercalcolo a dimensione europea come Cineca, può svolgere questo compito rapidamente sotto la regia del Ministero della Salute e delle Regioni. Va poi osservato che anche la parte strutturale che ospita i dati – mi riferisco alle unità di hosting in Cloud – vede una diretta presenza pubblica del sistema in house a garanzia della sicurezza di tutti.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico per la prevenzione del contagio da coronavirus
Arriviamo, a questo punto, all’emergenza Coronavirus. Possiamo costruire sul Fascicolo Sanitario Elettronico e sulla sua base dati un sistema di tracciamento e di monitoraggio del virus?
Si può fare per la prevenzione, cioè individuando rapidamente, da tutti i dati contenuti nei FSE degli italiani, il target della popolazione con indici di fragilità molto elevati. Se avessimo fatto questo fin da gennaio avremmo certamente potuto salvare molte vite umane scoprendo i punti di pericolo e di maggior penetrazione del virus con effetti mortali. Mi riferisco in particolare alla popolazione anziana ultrasettantacinquenne o ultraottantenne, con più patologie e alle persone che comunque sono in condizioni precarie di salute.
Ritengo però che sia anche possibile utilizzare il Fascicolo per un sistema di sorveglianza attiva ovvero di monitoraggio e tracciamento in tempo reale dei cittadini infettati. Abbandonando sistemi, come quelli utilizzati nella prima fase dalla Protezione Civile, più adatti per le calamità naturali.
Innanzitutto, bisogna ricordare che con i nuovi provvedimenti legislativi tutti i risultati dei tamponi effettuati sui cittadini italiani devono essere registrati nelle reti del FSE, con grande vantaggio per l’utente che vedrà ridotto enormemente il tempo di consegna del referto (io stesso ho avuto il referto, fortunatamente e per ora negativo, dopo tre ore dall’espletamento del tampone). Perché anche il sistema di tracciamento in tempo reale sia efficace, è sufficiente modificare, con un accordo tra tutte le Regioni e il Ministero, alcuni aspetti dell’interazione tra fascicolo sanitario elettronico e medici di famiglia.
Ho infatti potuto personalmente osservare che il medico di famiglia, allertato da una telefonata di un assistito per una sospetta presenza del virus, invia questa segnalazione ai servizi di igiene pubblica al fine dei necessari controlli sul posto, ma non alla rete che supporta il Fascicolo. Questo succede perché tra le informazioni che riceve il FSE (referti, lettere di dimissioni, vaccinazioni, ecc.) manca il Patient Summary, cioè un documento di annotazione del medico di famiglia sulle condizioni recenti di salute del paziente. L’attivazione del Patient Summary è risultata complessa e macchinosa, innanzitutto per ragioni burocratiche. Si potrebbe perciò decretare con rapidità – così come si è fatto nel DPCM di maggio per il FSE e per la ricetta elettronica – che un documento redatto dal medico di famiglia, con annotate le condizioni di salute del paziente affetto da Coronavirus, sia inserito nel Fascicolo come altri documenti. Avremmo così in tempo reale un formidabile sistema di sorveglianza sulla diffusione reale o prevedibile del virus.
Questo è il futuro del sistema informativo della sanità nazionale. Il Fascicolo contiene anche un taccuino dove ogni cittadino può annotare preoccupazioni di salute. Queste informazioni sono raccolte dai nodi regionali, dagli indicizzatori del FSE e con il consenso degli stessi cittadini potrebbero essere messe a disposizione di un sistema di sorveglianza. Ma con questo siamo già molto oltre a quello di cui potremmo disporre oggi, cioè uno strumento eccezionale di monitoraggio delle condizioni di diffusione del virus e contestualmente dello stato di salute di tutti gli italiani.
Ritengo anche che il Fascicolo possa rappresentare una base di riferimento tecnologica e strutturale per il tracciamento della diffusione del virus, considerando che le azioni finora messe in atto hanno dimostrato una sostanziale inefficacia proprio per la loro incapacità di essere organicamente collegate al sistema informativo della sanità dematerializzata. Ma di questo si era già parlato in più occasioni e le difficoltà incontrate dall’App Immuni erano quanto mai previste e prevedibili. Il FSE è questa base strutturale di riferimento. Come noto da ogni fascicolo è possibile far partire SMS e altre segnalazioni e ciò già avviene in molte regioni. Io ricevo quotidianamente queste segnalazioni ogni qualvolta il mio medico mi prescrive un farmaco o è disponibile un referto on line. La piattaforma tecnologica del FSE potrebbe facilmente innescare un sistema di dialogo tra i fascicoli. Io autorizzo il mio FSE a mandare non solo messaggi a me, come già avviene, ma anche ad altri, ad esempio alle persone della mia comunità di riferimento, anche in formato anonimo. Oggi, senza fare granché, si può conoscere la mappa di tutti i cittadini che risultano, attraverso l’FSE, in una particolare condizione di salute o di malattia. Ad esempio, sono positivi a un tampone per il controllo del Coronavirus. Questa mappa potrebbe essere ingrandita a livello territoriale diventando non solo una mappa nazionale ma locale, perfino di comune, di quartiere e di rione. Quindi si può già affermare che il Fascicolo Sanitario Elettronico è potenzialmente un servizio già attivo di tracciamento, anche territoriale, degli affetti da coronavirus.