lotta al covid

Ma contro il virus l’Italia sta rinunciando al potere dei dati: ecco perché

La capacità di elaborare dati è un’arma importante per aiutarci a classificare, clusterizzare e predire l’evoluzione di fenomeni complessi sulla base di una serie di indicatori. Tutto questo potevamo metterlo a disposizione per aiutare i sanitari a comprendere meglio e gestire l’epidemia? Si, ma non è stato fatto

Pubblicato il 13 Nov 2020

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

Photo by Mika Baumeister on Unsplash

In questa guerra contro il Covid-19 abbiamo rinunciato a utilizzare una delle armi più potenti che avevamo a disposizione: la tecnologia dei dati. Intendiamoci, non credo nel “soluzionismo tecnologico” che tutto risolve basta avere un’app, un buon software e così via. Credo tuttavia che sia evidente che questa pandemia ci abbia colto impreparati e la stiamo gestendo al meglio senza però utilizzare al meglio la capacità di gestire ed elaborare i dati.

È notizia di questi ultimi giorni l’indagine in corso della Procura della Repubblica sulla raccolta dati in Liguria e su come sono stati effettuati i tamponi alla SS. Lazio. Un indicatore, ma temo non l’unico, su come vengono raccolti i dati.

Abbiamo capito che contro questo nemico invisibile è necessario avere in tempo reale la situazione sotto controllo, sul lato del tracciamento e del controllo, sul lato dell’evoluzione del contagio e della profilazione dei contagiati e dei territori. Se si possiedono abbastanza informazioni e abbastanza velocemente si può isolare chi è contagiato lasciando agli altri la possibilità di avere degli spazi di manovra, perfino vivere in quasi normalità come sta accadendo in questo momento in Cina, a Taiwan o in Corea.

Per avere questa enorme mole di dati ed elaborarla abbiamo la tecnologia: ogni giorno Facebook, Netflix, Amazon ma anche molti altri, sono in grado di tracciare e profilare in modo dettagliato centinaia di milioni di utenti.

Combattere la pandemia con un approccio “analogico”

La tecnologia esiste ma abbiamo visto che i nostri paesi, non solo l’Italia, si è affidata per la gran parte allo stesso approccio che abbiamo adottato un secolo fa. Magari meglio ma sostanzialmente lo stesso. Anche su questo siamo riusciti a digitalizzare i processi analogici e non siamo stati in grado di ripensarli completamente.

A questo punto dobbiamo andare avanti così e affrontare questo virus ancora per qualche settimana/mese fino a quando non avremo la meglio ma è anche necessario cominciare a riflettere su come non trovarci impreparati alla prossima evenienza che dovesse malauguratamente presentarcisi di fronte.

Le più grandi civiltà sono scomparse non per ciò che gli è capitato ma per come hanno saputo reagire agli eventi, in questo senso ciò che le ha salvate è stata la capacità di organizzare una risposta e di saperla mettere in atto come un corpo sociale coeso.

In una pandemia quando parliamo di dati parliamo principalmente dei dati degli abitanti, ognuno è potenziale fonte di contagio e potenziale contagiato.

Lockdown, abbiamo diritto di sapere tutti i motivi: miglioriamo il Foia

Il nodo della privacy

Sono stato e sono tra i più convinti della necessità di garantire la privacy dei cittadini, tuttavia devo prendere atto che in una situazione del genere è necessario cambiare la nostra mentalità. È necessario magari pensare che per un certo periodo, con un mandato preciso, sotto il controllo stretto del parlamento e degli organi democratici, del Garante tuttavia si deve sospendere una parte della nostra privacy per dare queste informazioni a una entità costituita ad hoc che possa avere la maggiore quantità di informazioni possibile. E credo sia anche importante che i dati siano ampiamente disponibili in formati aperti per essere analizzati ed elaborati, almeno quelli non sensibili e che non siano in grado di essere manipolati per dar luogo a panico o informazioni errate (per analizzare correttamente i dati è necessario saper contestualizzarli nel dominio del problema). Da una condivisione dei dati possono emergere importanti contributi che sarebbe imperdonabile perdere e, in ogni caso, è possibile garantire che le autorità investite da ampi poteri siano a loro volta trasparenti.

Nei mesi scorsi abbiamo fatto diverse considerazioni sulla privacy di Immuni e invece mi sono convinto che era necessaria una applicazione che fosse obbligatoria, che fosse anche una sorta di “lasciapassare” per frequentare luoghi nei quali sono presenti anche altri, sul modello cinese o coreano. Con un quadrato rosso o verde a secondo se fossi stato posto in quarantena o fossi stato negativo. Una limitazione della libertà di una parte della popolazione, anche di me stesso, per permettere agli altri di poter continuare ad operare con ampi margini di autonomia. D’altra parte, lo stesso principio che utilizziamo contro una persona che può arrecare danno agli altri: gli limitiamo la libertà per consentire agli altri di poter essere liberi. In questo caso si può arrecare danno ad altri inconsapevolmente ma il risultato è lo stesso. Le limitazioni che abbiamo posto all’applicazione Immuni o similari non ci hanno dato più libertà ma ci costringono a rimanere chiusi in casa o con libertà limitata proprio perché no siamo in grado di tracciare con “grana fine” i casi positivi, l’affollamento dei luoghi e gli orari, ecc.

In futuro potremmo accompagnare questa misura chiedendo ai cittadini di dotarsi di un saturimetro o qualche altro dispositivo indossabile che, anche con una misurazione imprecisa, sarà in grado rilevare alcune avvisaglie della necessità di verificare la positività o meno di una persona (misuratori di temperatura con tecnologia bluetooth collegati con l’app?), in questo ci aiuterà il continuo sviluppo di innovazioni in questo settore. I dati dei dispositivi indossabili potranno essere trasmessi durante tutto l’arco del giorno, come fanno molti consumatori di Apple Watch o di altri braccialetti similari. Dovranno essere inviati ad una centrale nazionale.

Le falle dell’attuale sistema di raccolta dati

La raccolta dei dati che vediamo fare ogni giorno riportando il numero dei contagi, tamponi effettuati, etc. è raccolta secondo un modello gerarchico. Ogni livello fornisce dati a quello superiore che li consolida e li ritrasmette. Questo modello si presta a numerose falle e distorsioni: il professor Crisanti in una recente intervista ha parlato persino di falsificazione senza mezzi termini, nei giorni scorsi il tema è emerso da interviste di epidemiologi. Eppure, oggi è possibile raccogliere i dati in tempo reale, perfino direttamente dagli strumenti di laboratorio che sono connessi o connettibili. In questo modo i dati che è possibile raccogliere sono direttamente i risultati delle analisi dei tamponi: si può prenderli direttamente dalla fonte ed elaborarli o dalla fonte più vicina (in molti casi è sempre opportuna una validazione del professionista che fa materialmente le analisi). Evitando il più possibile aggiustamenti di percorso e poi, una volta validati e omogeneizzati, fornirli alle autorità locali. Invertire il tradizionale flusso dalla periferia al centro.

Raccogliere i dati associandoli al profilo (non identità ma ad esempio età, peso, stato generale di salute, etc.) di chi viene sottoposto a tampone, della sua residenza, del suo luogo di lavoro e unirli a quelli di una app di tracciamento senza i limiti strutturali di Immuni. Questo avrebbe consentito di disporre di dati così di dettaglio da poter fare un isolamento fine delle microzone pericolose (rosse), magari arrivando alla singola casa, mettendo in tempo reale in quarantena i soggetti che sono venuti a contatto con il positivo, almeno per il tempo necessario a verificare e per non rischiare di espandere il contagio. Ma sarebbe anche possibile tenere in casa “micro gruppi” di persone, un caseggiato, il singolo alloggio. Con una profilazione dettagliata si poteva arrivare a perimetrare al massimo i comportamenti dei soggetti positivi lasciando agli altri una libertà più ampia di muoversi, di far andare avanti la società e di aiutare i positivi.

Oggi se un cittadino è sottoposto a quarantena fiduciaria e deve rimanere in casa ha dei controlli con delle telefonate di operatori ma più volte è capitato che qualcuno continuasse ad uscire. In questo caso la tecnologia può aiutare, da sola non basta ma tracciando diversi dati è possibile evitare che un “super diffusore” rischi per irresponsabilità di creare un focolaio. Anche qui con i dati e l’isolamento sarebbe possibile limitare se non annullare il rischio. Le società hanno sempre isolato i soggetti pericolosi, soprattutto nelle epidemie. Nei secoli passati lasciando non di rado questi soggetti al loro destino o eliminandoli fisicamente, oggi isolandoli e limitandone il numero si può garantire meglio le cure sanitarie e quanto serve affinché nessuno rimanga solo.

Dati su pandemia in formato non aperto

Stiamo anche rinunciando al potere dei dati aperti e accessibili, sulla pandemia. L’aveva promesso il premier Giuseppe Conte, eppure i dati forniti sono nei pdf, addirittura a volte non pubblicati; i dati ISS sono con licenza chiusa quindi non usabili pienamente, con altri indicatori, dalla comunità scientifica.

Dati aperti servono ad aumentare la trasparenza e quindi la fiducia dei cittadini e delle varie parti. Servono anche alla ricerca e quindi ad affinare, con il lavoro collettivo, l’analisi della pandemia.

La capacità di elaborare dati, arma ignorata contro la pandemia

La capacità di elaborare dati è ormai uno strumento consolidato in nostro possesso come lo sono le tecniche di machine learning e deep learning, strumenti in grado di aiutarci a classificare, clusterizzare e predire l’evoluzione di fenomeni complessi sulla base di una serie di indicatori di ingresso. Tutto questo potevamo metterlo a disposizione per aiutare i sanitari a comprendere meglio e gestire l’epidemia?

E invece abbiamo visto in Gran Bretagna che il tracciamento si fa raccogliendo i dati su fogli excel e perdendo per errore qualche decina di migliaia di persone tracciate. Questo non significa sostituire il tracciamento con operatori che chiamano le persone con degli algoritmi ma significa poterli affiancare, mettergli a disposizione uno strumento in più. Altro strumento potente è l’analisi dei dati telefonici che indicano su quale cella sono connessi, questo avrebbe permesso di poter individuare quali nodi di trasporto pubblico fossero più affollati, a che ora, in che direzione. A quel punto poter perfino pensare di prenotare l’uso del mezzo pubblico ad un certo orario, di pianificare in modo più efficace le corse o affiancare alla corsa della metro delle navette di superficie, ad esempio anche fatte di TAXI, NCC o autobus turistici, per aumentarne la capienza in alcuni orari.

Avere a disposizione i dati e poterli elaborare oggi è diventato uno strumento imprescindibile per gestire la società, ogni giorno veniamo profilati nei consumi, nei comportamenti, in quello che ci piace o non ci piace, classificati e perfino manipolati dalle Big Tech.

Tecnologie simili sono utilizzate nella lotta al terrorismo o alle attività criminali, dobbiamo porci il problema di come utilizzare queste tecnologie almeno per affrontare crisi sanitarie di questo tipo, di come poter controllare che questi strumenti non prendano una deriva “sicuritaria” ma parimenti possano essere utilizzati per la salvaguardia dei cittadini.

Conclusioni

Dobbiamo aprire una riflessione che coinvolge esperti di tecnologia, di società, giuristi, filosofi e il più ampio numero di cittadini. Questa crisi ci ha fatto capire che se non siamo stati colpiti dalle epidemie che negli ultimi venti anni hanno colpito l’Asia (e permesso ad alcuni di quei governi di affinare un modello di gestione dei dati e una organizzazione eccellente) è stato per una buona dose di fortuna. Mentre chi è coinvolto nella gestione di questa crisi dà il meglio di sé per portarci fuori con tutta la nostra riconoscenza, sta a noi non comportarci come quegli anziani davanti al cantiere a borbottare e “consigliare” ma renderci utili a mettere le nostre competenze nell’immaginare modalità nuove di risposta per poi metterle a disposizione di chi ha l’esperienza sul campo per valutarle e di chi è chiamato a decidere dal voto popolare affinché, nell’ipotesi sciagurata che ci trovassimo di fronte ad una situazione simile, avremmo le armi per combatterla sul nascere.

White Paper - Smart Health: guida alle nuove frontiere digitali della sanità

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Iniziative
Analisi
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati