Gli ostacoli alla diagnosi e cura delle malattie mentali sono molteplici e le soluzioni digitali possono essere di notevole supporto nel ridurre i fattori di attrito, come riportato nel discussion paper del maggio 2017 della European Public Health Alliance.
Il problema
Un gruppo di esperti ha pubblicato nel 2011 un interessante articolo sui costi delle malattie del cervello dividendo i disturbi neurologici da quelli mentali. Tra questi ultimi, la cui stima complessivamente ammontava a 461 miliardi di € per il 2010, oltre 115 (circa il 25%) erano attribuiti ai disturbi dell’umore; quasi i 2/3 erano rappresentati da costi indiretti (circa 70 miliardi di €).
Nel 2012 WHO ha pubblicato un documento dove è stato riportato che, tra i disturbi con coinvolgimento comportamentale, quelli di tipo depressivo sono responsabili del 38% degli anni di vita con disabilità (DALY – Disability Adjusted Life Years), seguiti da quelli dovuti all’alcol (16%) e ai disturbi d’ansia (14%), con una notevole quota attribuita a soggetti tra 20 e 30 anni dove si riscontra un importante contributo da parte di depressione e consumo di sostanze.
Inoltre, il suicidio è la seconda causa di morte nella fascia di età 15-24 anni, periodo che corrisponde con l’esordio della sintomatologia depressiva e a rischio per il consumo di sostanze psicotrope.
Numeri importanti, oltre che preoccupanti…
Ma c’è anche altro: solo la metà dei soggetti malati ha una diagnosi, e di questi il 30% è in trattamento. A loro volta, di quelli in trattamento meno della metà (il 40%) sono complianti, cioè assumono regolarmente la terapia prescritta: facendo le dovute proporzioni, su 100 soggetti con disturbo depressivo solo 6 stanno facendo un trattamento farmacologico corretto. Ma, ultima insidia, circa la metà di questi ultimi hanno una forma di depressione resistente ai farmaci.
Le soluzioni digitali per le malattie mentali
Assenza di consapevolezza e timore dello stigma sociale. Questi due elementi rappresentano l’inizio del problema: infatti, spesso ci si atteggia con una (auto)sottovalutazione del problema per non identificarsi o non farsi identificare come una persona con malattia mentale e questo viene anche esteso alle persone più prossime in una sorta di minimizzazione della situazione per evitare una connotazione negativa. Il processo di normalizzazione sociale sicuramente favorirebbe il superamento di questo ostacolo, come suggerito da WHO con la campagna “Depression: let’s talk” del 2017, e la possibilità di accedere a siti specializzati che offrono uno screening anonimo permetterebbe a una parte di malati di uscire allo scoperto con più facilità.
Oppure sviluppare soluzioni come Ellie, un bot che, dialogando con le persone, è in grado di identificare la depressione attraverso il tono della voce, l’espressione facciale, la postura e il movimento rilevati con webcam e sensori.
Anche l’accesso ai percorsi di trattamento può rappresentare un elemento di attrito verso la gestione del soggetto con disturbo depressivo: nel 2016 Lancet Psychiatry ha pubblicato un articolo secondo il quale un aumento della copertura terapeutica comporterebbe un ritorno di investimento economico del 2.5:1 che sale a 5.3:1 se si considera anche il valore di salute aggiunto. Nel mese di febbraio 2017 un grosso progetto europeo, MasterMind, ha pubblicato le linee guida per interventi in video conferenza per il trattamento della depressione. Già nel 2015 the Improving Access to Psychological Therapies (IAPT) programmme (NHS England e NICE) riportava che l’uso di terapia cognitivo comportamentale computerizzata (CCBT) aveva ottenuto un esito favorevole nel 58% dei casi contro il 44% della CBT tradizionale. Una revisione delle linee guida sul modello stepped care del NICE, che suggerisce interventi sempre più articolati in funzione della tipologia e gravità del disturbo, è prevista per il prossimo marzo.
Ovviamente non possono mancare le app. Una review con metanalisi pubblicata a ottobre 2017 in World Psychiatry ha concluso che gli interventi con mobile per la depressione sono efficaci in modo statisticamente significativo, mentre la Anxiety and Depression Association of America (ADAA) ne propone una valutazione tecnica anche in termini di facilità d’uso, personalizzazione e interattività. Oltre che tramite per erogare trattamenti e sostegno psicologico, le app permettono anche di tracciare l’andamento dei sintomi e l’aderenza alla terapia farmacologica.
Le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva (NIBS – Non Invasive Brain Stimulation) hanno un ruolo ben definito nel trattamento della depressione e sono ricomprese nel modello stepped care NICE: in particolare la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS), che è stata approvata da FDA come trattamento per il disturbo depressivo resistente ai farmaci da ormai 10 anni, riduce significativamente la sintomatologia depressiva per periodi fino a sei mesi. Una recente review ha invece stabilito che la stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) non ha ancora sufficienti evidenze scientifiche a favore della sua efficacia.
Anche la realtà virtuale è in fase di studio come risorsa da impiegare nel trattamento della depressione, ma per ora non ci sono ricerche controllate a sostegno della sua efficacia; nonostante questo nel web sono disponibili molti siti che pubblicizzano questa offerta terapeutica.
Un sondaggio europeo condotto nel 2014 da E-COMPARED Consortium ha voluto valutare le attitudini verso i trattamenti digitali per la depressione in un gruppo di stakeholder (servizi di cura, centri di ricerca, enti governativi, organizzazioni di pazienti, fornitori IT) rilevando che le soluzioni tecnologiche basate su internet (ICBT) sono meglio accettate se integrate ai trattamenti tradizionali e rivolte a pazienti con depressione lieve o moderata. Tra gli altri risultati dell’indagine si sottolineano la riduzione dei costi e la facilitazione di accesso ai trattamenti, mentre la presenza di un sistema sanitario non ancora pronto rappresenta il maggiore ostacolo.
Perché ricorrere a soluzioni innovative
Questo è lo scenario attuale. Ne deriva che una patologia così diffusa e invalidante ha la possibilità di essere gestita in modo più vantaggioso, sia clinicamente sia economicamente, attraverso l’adozione di soluzioni innovative da inserire nei trattamenti tradizionali, senza avere il timore che la tecnologia possa sostituire l’attività clinica del personale sanitario. Anzi, questi nuovi strumenti spesso rappresentano soltanto un mezzo per veicolare più rapidamente l’intervento e monitorarne l’andamento. Infatti la visita ambulatoriale consente un confronto diretto solo quando questa prestazione viene erogata mentre i sistemi digitali (app, web) danno la possibilità di mantenere un contatto continuo tra personale sanitario e pazienti.
Ripercorrendo le varie condizioni di attrito – stigma, consapevolezza, diagnosi, accesso al trattamento, compliance terapeutica, resistenza farmacologica – è quindi abbastanza facile identificare quali soluzioni possono agevolare l’intervento e normalizzare, o perlomeno ridurre, l’impatto sociale del silent killer.
In conclusione, si riporta uno dei tanti e interessanti passaggi di un recente documento “The Value Of Treatment for brain disorders. Early Intervention: Bridging the Early Diagnosis and Treatment Gap” pubblicato dal Europen Brain Council: Numerous needs of individuals at risk and patients are unmet. An estimated 3 to 8 out of 10 people living with a brain disorder remain untreated or inadequately treated although effective treatments exist. Despite the escalating costs of brain disorders, this public health issue has not been properly addressed.
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