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One Health, eWelfare e Welfare di Comunità: come raggiungere gli obiettivi della missione 5 PNRR

L’impatto della pandemia ha reso ancora più fragile il sistema di welfare italiano e ancora più urgente la transizione all’eWelfare. Cosa prevede il PNRR, come superare le criticità attuali, il ruolo di One Health e Welfare di Comunità

Pubblicato il 30 Giu 2021

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

hr - e-welfare

A differenza della sanità, che pur tra mille contraddizioni sta progettando il proprio passaggio all’e-Health, la transizione verso l’eWelfare appare molto problematica.

Il Covid 19 ha reso socialmente più fragile l’Italia, distanziandola ulteriormente dalla maggioranza dei paesi europei: lo scrive il Presidente Draghi nell’introduzione al PNRR.

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Una Italia più povera e fragile

Tra il 2005 e il 2019 il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione, per poi aumentare nel 2020 fino al 9,4 per cento.

A essere particolarmente colpiti sono stati gli anziani, che hanno pagato il più alto prezzo in termini di vite umane a livello europeo (età media dei 150.000 morti, 81 anni); le giovani famiglie con un inserimento non del tutto stabile nel mercato del lavoro e soprattutto la componente femminile di queste famiglie, che ha un tasso di partecipazione al lavoro del 53,8 per cento, rispetto al 67,3 per cento della media europea; i ragazzi in età scolare, per i danni che hanno subito dalla DAD, dal distacco dagli studi e nell’accesso al primo lavoro.

È sempre il documento del Governo a ricordare che l’Italia è il Paese dell’UE con il più alto tasso di ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione. In molte città italiane, poi, le famiglie che accedono ai servizi pubblici di sussistenza sono quadruplicate. A Bologna sono passate dal 6 a quasi il 30 per cento nel periodo Covid-19.

Tutto il welfare locale e nazionale ne risulta sconvolto perché questo sistema aveva e ha quattro gravi fragilità che si sono acutizzate drammaticamente durante la pandemia. Come avviare la transizione e-Welfare?

Transizione eWelfare: le fragilità del sistema attuale

Il welfare locale e nazionale è strutturato a ‘silos verticali’, a ‘funzioni non comunicanti’, dove scuola, sanità, previdenza, integrazione al reddito, sicurezza, non comunicano tra loro e tanto meno con i servizi gestiti dai comuni: servizi pre-scolastici, sociali e di assistenza familiare in particolare per anziani; servizi abitativi, di mobilità, di promozione culturale. Ognuno di questi servizi di welfare va per suo conto e risponde spesso a enti diversi (governativi, regionali, comunali, aziende pubbliche e in-house).

Il sistema nel suo complesso ha una triplice base: statale, di mercato (pocket, come le badanti per gli anziani) e di ‘terzo settore’. Anche queste basi non comunicano tra loro. Così, se l’assistito non trova una visita specialistica prescrittagli dal medico di famiglia nella sanità pubblica o accreditata, nessuno lo indirizza, resta in balia del mercato che moltiplica l’offerta di prestazioni sanitarie e farmaceutiche non necessarie e a volte perfino dannose per la salute.

Quello che poi accade in Italia per l’assistenza agli anziani non autosufficienti – offerta pubblica soddisfatta tra il 10 e il 20%, il resto pocket e mercato – è semplicemente inenarrabile. Soltanto il Covid ha aperto le porte delle RSA per anziani (si fa per dire!). Il cosiddetto ‘terzo settore’, infine, è estremamente frammentato e spesso perfino destrutturato, perché composto in parte da attività volontarie e in parte da cooperative o pseudo associazioni volontarie, dove il confine tra impegno sociale e business, tra profit e no-profit, è estremamente labile.

C’è nel welfare italiano un vero tallone di Achille che lo attraversa verticalmente, tra centro e periferia e orizzontalmente, tra i vari comparti di attività assistenziale e che rende particolarmente complicata la transizione all’e-welfare: è il bassissimo livello di dematerializzazione delle informazioni, il mancato ‘cambio del medium’, dal cartaceo-analogico al digitale-virtuale di generazione Internet. Questa carenza di sistema è indice di un forte tasso di burocratizzazione. Ciò allontana la gente dai servizi, abituata ai device consumer dell’alta comunicazione di rete.

Transizione eWelfare: cosa prevede il PNRR e cosa manca

La transizione all’e-welfare non sembra particolarmente incentivata dal PNRR, fatte salve alcune eccezioni.

La casa è indicata ‘come primo luogo di cura’ con la telemedicina: si legge, infatti, che verranno incentivati elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza, che permetteranno di aumentare l’efficacia dell’intervento, affiancati da servizi di presa in carico e rafforzamento della domiciliarità, nell’ottica multidisciplinare, con particolare riferimento all’integrazione sociosanitaria e di attenzione alle esigenze della singola persona.

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Una linea di attività da considerarsi strettamente integrata ai progetti proposti nel capitolo sanitario del PNRR, in particolare alla riforma dei servizi sanitari di prossimità e all’investimento nella casa come primo luogo di cura.

Sempre nel PNRR si sottolinea come agli stessi fini, saranno potenziate le infrastrutture tecnologiche del sistema informativo della non – autosufficienza, razionalizzati i meccanismi di accertamento e semplificati i meccanismi di accesso, nell’ottica del punto unico di accesso sociosanitario.

Il problema della transizione all’e-welfare però non può essere risolto in questi termini.

Per far decollare un reale sistema informativo sanitario in grado di disporre dei dati di salute degli italiani per la programmazione e per generare modelli predittivi, il PNRR ha messo in programma un completo rifacimento e rilancio del FSE, fonte originaria di questi dati. In ambito assistenziale (Welfare) non solo non si ha una rete di base come il FSE, ma nemmeno un livello minimo di dematerializzazione delle informazioni da parte dei Comuni.

Le poche esperienze di Fascicolo del Cittadino (sul modello utilizzato con successo dal Comune di Milano) o di Cartella sociale elettronica e di App-Welfare comunale (sul modello del Comune di Bologna), non solo non sono generalizzate, ma a differenza di quanto si propone per la sanità non trovano indicazioni e linee di finanziamento specifiche nelle ‘missioni’ di questi fondi speciali europei.

La dimenticanza è peraltro abbastanza strana perché fin dalla sua nascita nelle prime regioni italiane – nel periodo 2004-2006 – il fascicolo sanitario elettronico prevedeva una sua evoluzione e una sua estensione in ambito socio-sanitario, con la costituzione, poi enunciata nelle prime linee guida, di un fascicolo socio-sanitario elettronico e più oltre di un fascicolo del cittadino per tutti i servizi di welfare.

Il Covid-19 e i lockdown, inasprendo i processi di isolamento e impoverimento delle famiglie, hanno così allontanato ulteriormente i cittadini più fragili dai servizi sociali, come è risultato evidente dai primi dati scaturiti da una ricerca sulle famiglie a basso reddito con figli minori commissionata dalla Scuola di Welfare “Achille Ardigò” del Comune di Bologna al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della stessa città. Quello che emerge è un quadro in cui un numero crescente di giovani famiglie, impoverite prima dalla crisi economica poi dal lockdown, vivono ‘senza comunità’, praticamente ‘senza vicinato’ nelle periferie cittadine (peraltro con debolissimi rapporti parentali perché genitori e nonni abitano spesso molto lontano). E questa ‘assenza di comunità’ appare più radicale anche se confrontata con i tradizionali nuclei familiari originariamente censiti come ‘poveri’.

Dall’altro verso, paradossalmente, c’è ‘troppa comunità’. Famiglie di recente immigrazione si richiudono in comunità etniche separate, dove sono dominanti i rapporti a base etnica o parentale. Con tutte le distorsioni di questo fenomeno che arriva a punte estreme di limitazione della libertà individuali, soprattutto delle giovani donne, con fatti anche drammatici come quelli recentemente accaduti nelle comunità pakistane presenti in Italia.

Quindi c’è una drammatica ‘carenza di comunità’ e un allontanamento, di fatto, dei cittadini fragili dai servizi sociali con rischi fortissimi di emarginazione per adulti e ragazzi.

Il PNRR, nella missione cinque (M5), prevede a questo proposito una triplice gamma di interventi, che rispondono alle raccomandazioni della Commissione Europea fornite nel 2019 e nel 2020: politiche per il lavoro; infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore; interventi speciali per la coesione territoriale.

La scelta del Piano è di sostenere non soltanto le politiche attive per l’occupazione, ma anche di indirizzare importanti risorse alle infrastrutture sociali funzionali alla realizzazione di politiche a sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti.

Sono previsti interventi pensati per favorire la socializzazione, sostenere percorsi di vita indipendente, anche con la ristrutturazione di alloggi che sfruttino le tecnologie innovative per superare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive.

Il Piano propone un riconoscimento del valore sociale dell’attività di cura per “raggiungere il duplice obiettivo di alleggerire i carichi di cura tradizionalmente gestiti nella sfera familiare dalle donne e di stimolare una loro maggiore partecipazione al mercato del lavoro.” Inoltre propone di incrementare i servizi alla persona per “rafforzare un settore in cui è più alta la presenza d’impiego femminile”.

Il PNRR prevede, con un investimento complessivo di quasi 14 miliardi di euro, un ruolo rafforzato dei servizi sociali territoriali come strumento di resilienza; modelli personalizzati per la cura delle famiglie, delle persone di minore età, degli adolescenti e degli anziani, delle persone con disabilità.

Una revisione dei sistemi di protezione e di inclusione a favore di persone in condizioni di estrema emarginazione, come quelle senza dimora; la disponibilità di case pubbliche e private più accessibili e la rigenerazione urbana e territoriale. Prevede inoltre progetti a sostegno alle persone vulnerabili e la prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti; percorsi di autonomia per persone con disabilità, Housing temporaneo e housing sociale.

Valorizza la “dimensione sociale delle politiche sanitarie, urbanistiche, abitative, dei servizi per l’infanzia, per gli anziani, per i soggetti più vulnerabili, così come quelle della formazione, del lavoro, del sostegno alle famiglie, della sicurezza, della multiculturalità, dell’equità tra i generi.”

Più nello specifico il PNRR prevede investimenti da realizzare da parte dei Comuni, singoli o in associazione, per interventi finalizzati a sostenere le capacità genitoriali e a supportare le famiglie e i bambini in condizioni di vulnerabilità; per la deistituzionalizzazione delle persone anziane, in particolare non autosufficienti; per rafforzare i servizi sociali a domicilio; per garantire la dimissione anticipata e prevenire il ricovero in ospedale; per rafforzare i servizi sociali attraverso l’introduzione di meccanismi di condivisione e supervisione per gli assistenti sociali; per la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, dotati delle attrezzature.

I ‘territori’, in forma associata, potranno proporre progetti per la creazione di reti di gruppi di appartamenti, assicurando i servizi necessari alla permanenza in sicurezza della persona anziana nel suo comune, a partire dai servizi domiciliari.

“La linea di attività, così come i paralleli progetti in ambito sanitario, saranno completati dalla Riforma della non autosufficienza che verrà attuata a livello nazionale, ai fini della formale individuazione di livelli essenziali di assistenza nell’ottica della deistituzionalizzazione, della domiciliarità”.

Compare qui e in più punti del PNRR l’idea, solo abbozzata, di un superamento in chiave e-Welfare dei ‘grandi silos’ del welfare nazionale e della loro verticalizzazione, che spesso confina con alti livelli di burocratizzazione.

Perché One Health e Welfare di Comunità coadiuvano la transizione

Tra i diversi orientamenti culturali presenti nella riforma del welfare state italiano e europeo un’attenzione particolare va riservata alla cultura ‘One Health’, la ‘salute unica’, sostenuta ufficialmente dalla Commissione Europea e dai movimenti ambientalisti e da diverse università italiane; ai progetti di ‘Welfare di Comunità’ e di ‘e-welfare’ che sono oggetto in questo periodo di un’attenzione scientifica e amministrativa particolare. Per altro la concezione che ispira queste culture post-stataliste di riforma dei sistemi assistenziali europei è abbastanza simile e integrabile.

Con ‘One Health’ la concezione della salute cambia. Essa diventa innanzitutto interconnessa in rete, sul web, e distribuita con una visione value based. Una metodologia già presente nei diversi Chronic Care Model.

L’obiettivo è quello di riorganizzare la sanità sul territorio, aumentare l’efficacia e l’efficienza dei sistemi sanitari, definendo ed implementando modelli organizzativi e sistemi e-Health capaci di monitorare sistematicamente i risultati. Agli ospedali va lasciato il ruolo di cura delle acuzie e l’uso delle alte tecnologie chirurgiche e diagnostiche. ‘One Health’ è un concetto olistico di salute delle persone, degli ambienti di vita, di lavoro e degli ecosistemi urbani. Commissione Europea, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Istituti di ricerca di tutto il mondo, auspicano in questa direzione una svolta copernicana delle politiche sanitarie nazionali.

Con l’approccio ‘One Health’ si conferma che la salute degli esseri umani è legata alla salute dell’ambiente circostante e che è indispensabile l’interazione di tutte le professionalità e i saperi che hanno un impatto diretto o indiretto su questa salute: medici di sanità pubblica e privata, medici di famiglia, farmacisti, epidemiologi, operatori ambientali, sociologi, economisti, giuristi, legislatori, decisori istituzionali ed esperti dello sviluppo sostenibile.

Il modello del ‘Welfare di Comunità’ – che oggi raccoglie i contributi della Scuola di Welfare “Achille Ardigò” del Comune di Bologna, ma anche gli studi di Vincenzo Cesareo sul welfare responsabile, di Tiziano Vecchiato sul welfare generativo e di altri importanti scienziati sociali – segna una netta distinzione dal modello statalista e da quello definito fin dall’ultimo decennio del Novecento Lib-Lab, ovvero liberale e laburista nell’accezione, all’epoca, dei programmi fortemente riformisti del premier britannico Tony Blair.

La proposta, che sta maturando in periodo post-Covid, è quella di servizi assistenziali diffusi nel territorio, co-progettati con gli utenti, e forniti da una pluralità di soggetti (no-profit, profit, enti e aziende pubbliche) sotto un’intelligente (non burocratica) regia pubblica locale dei Comuni.

Questa azione deve vedere protagoniste le famiglie e le persone che sono state oggetto – come per altro afferma il PNRR – di pericolosi processi di esclusione sociale e di nuova povertà: famiglie a basso reddito; i minori e i ragazzi con basse opportunità d’inclusione sociale; gli anziani che vivono vent’anni in più rispetto alla generazione precedente, ma spesso male e in condizioni di non sicurezza, senza una nuova aspettativa ‘antropologica’ di vita. E ciò equivale a relegare una parte sempre più consistente della popolazione, sull’ordine del venticinque per cento, a una lunga lotta contro le fragilità e le malattie in attesa della morte. Una vita-non vita inaccettabile.

Tutto questo richiede un profondo ripensamento dei modelli economici e sociali territoriali in termini di Silver Economy, tecnologie e occupazioni lavorative della e per la Terza età. Prima ancora che gli operatori sociali, sono loro, gli utenti di un nuovo welfare locale, a dover fare ‘comunità di scopo’, auto-organizzandosi in funzione di un ‘assistenza personalizzata e a ‘chilometro zero’.

L’ e-Welfare è un sistema assistenziale ad alta comunicazione di generazione Internet, fortemente virtualizzato, ad alta condivisione e utilizzo degli eData-Big Data e con un diffuso accesso alle tecnologie di machine learning, AI, Deep Data Analysis. L’e-Welfare prende il via dall’estensione dell’esperienza, per altro unica nel contesto dell’Agenda Europea, del fascicolo sanitario elettronico e dalla sua evoluzione come Fascicolo del cittadino.

Progetti e-Care e Connected care, di uso dei social e microsocial a fini assistenziali e di solidarietà sociale, diffusissimi in periodo Covid come risulta da una ricerca del DAR-DAMS di Bologna realizzata assieme all’Università di Urbino, stanno creando una nuova era Wikinomics anche in Italia a dieci anni da quella che non ebbe successo negli Stati Uniti.

Coniugando le culture dell’One Health, del Welfare di Comunità e dell’e-Welfare con i programmi e le risorse chiaramente indicate nelle Missione 5 del PNRR, si potrebbe auspicare che in Italia cresca rapidamente una straordinaria spinta progettuale di grande intensità sociale, preludio effettivamente di un profondo rinnovamento della società locale.

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