Le tecnologie dell’informazione (ICT) negli ultimi vent’anni hanno promosso innovazioni profonde e ancora oggi guidano e favoriscono intensi processi di cambiamento in sanità nell’area amministrativo-contabile, nell’area clinica (in particolare nei processi di back office), nella automazione dei dipartimenti clinici (Laboratorio, Radiologia, Anatomia Patologica..) nelle relazioni esterne (con i pazienti, i professionisti, tra aziende e fornitori), nell’automazione della cartella clinica, nell’area della business intelligence (Buccoliero et al., 2002, 2005[1]; Caccia, 2008[2]; Boscolo et al., 2019[3]; Osborne et al., 2022[4]; Boscolo e Longo, 2023[5]).
Le dimensioni dell’innovazione digitale in Sanità
L’innovazione digitale richiede tipicamente un bilanciamento tra implementazione di piattaforme e servizi digitali a livello locale e una necessaria governance di “sistema”, a livello regionale/nazionale.
In tal senso il processo di digitalizzazione richiede di distinguere alcune dimensioni:
- Visione di sistema e regole di interoperabilità sia tecnica, sintattica, semantica e organizzativa legate alle infrastrutture di base
- Scelta e implementazione di piattaforme digitali e relative interfacce
- Realizzazione di processi di service re-design e change management dei professionisti coinvolti (ICT, clinici, e personale sanitario, middle management con responsabilità organizzative).
Mentre il punto 1 può trovare adeguate risposte in un approccio maggiormente centralizzato (Top Down) i punti 2 e 3 sono probabilmente favoriti da una logica Bottom Up.
In letteratura di governance c’è una certa convergenza su “modelli sincretici,”[6] che presuppongono che non esista un gioco a somma zero tra centro e periferia, anzi. È stato dimostrato che dove le istituzioni centrali sono forti di norma sono forti anche quelle locali, dove lo Stato è forte c’è più terzo settore, dove lo Stato è forte sono più forti le imprese, ecc.
In questa prospettiva si insiste sulla collaborazione/codecisione stabile e strutturata centro-periferia, attivando coerenti strutture di governance miste.
L’approccio bottom up alla digitalizzazione della sanità
Ciò premesso, nel corso degli anni è prevalso un approccio bottom up alla digitalizzazione della sanità, prevalentemente guidata da Aziende sanitarie e Ospedali che hanno promosso soluzioni a volte di sistema (con una pianificazione strutturata e chiara nel tempo) a volte caratterizzata da approcci sperimentali e tecnologie spesso artigianali.
Queste soluzioni sovente sono state sviluppate per casistiche specifiche, senza attenzione all’interoperabilità dei silos informativi, senza sfruttare possibili economie di scala garantite dalla diffusione e replica di sistemi e senza condividere, oltre alla tecnologia, le lezioni apprese nel service design e nel change management, di fatto contribuendo alla proliferazione di silos organizzativi (Bobini et al., 2021).
Lo scenario non è dissimile dal livello internazionale, dove proliferano soluzioni ad hoc e device per la gestione a distanza del paziente oncologico, diabetico o con patologie cardiovascolari con architetture a silos (es. Nasi et al., 2015[7]; Bobini et al., 2021[8], Boscolo e Longo, 2023).
Alcune Regioni, negli scorsi anni, (ad es, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trento, Puglia) hanno intrapreso, con modalità diverse, lo sviluppo di progetti e soluzioni di digitalizzazione centralizzate e spesso top down, con il duplice obiettivo da un lato di possibili economie di scala, dall’altro di aumentare la qualità e la condivisione dei dati nei diversi setting assistenziali favorito dall’utilizzo di piattaforme omogenee. Inoltre, numerose regioni, recentemente investite centralmente dal compito di promuovere iniziative di digitalizzazione su larga scala anche per implementare il PNRR, si sono affrettate ad intraprendere lo stesso percorso (molte a partire dalla fine del 2021).
Lo slancio di alcune regioni nello sviluppo di nuovi strumenti che potessero essere utilizzati sistematicamente da professionisti sanitari, a prescindere dalla definizione dell’assetto dei servizi, dai processi e dai contesti organizzativi sottostanti, dalle competenze disponibili e dalla propensione all’innovazione, si è presto scontrato con la necessità di approfondire le specificità dei singoli contesti e setting locali che determinano la reale capacità di adozione e utilizzo dei nuovi strumenti digitali proposti centralmente. (Boscolo e Longo, 2023).
In effetti, nel corso del tempo numerose iniziative con approccio Top Down in sanità sia a livello nazionale sia a livello internazionale non hanno prodotto i risultati attesi. Citiamo solo due esperienze a titolo esplicativo: la realizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico 1.0 a livello italiano e il National Programme for IT del National Health Service inglese [vedi Box]. Tralasceremo volutamente gli ultimi eventi della Regione Veneto apparsi su tutta la stampa nazionale, in quanto non è ancora possibile fare una valutazione oggettiva della situazione.
I limiti dell’approccio top down
Il tema, oggetto di dibattito da tempo, è quali sono i motivi per cui nella sanità un approccio top down riscontri oggettivi limiti realizzativi.
La governance
Una prima caratteristica di questo gap è legata al concetto di governance. Per lungo tempo il termine governance non ha avuto un significato proprio. Fino agli anni Settanta esso è stato utilizzato come sinonimo di government per indicare l’esercizio di potere da parte di un’autorità centrale.[9] Ad esso veniva associato il modello statale che, mediante una struttura gerarchica e l’implementazione di norme, aveva il pieno e l’esclusivo controllo della società civile.
Successivamente, la forte spinta ideologica che caratterizzò la maggior parte degli Stati dell’Europa occidentale – noti per la loro struttura accentrata ed interventista – e gli Stati Uniti – da sempre sostenitori di politiche liberali – portò al progressivo sgretolamento della figura statale così come era organizzata.[10] L’autorità pubblica centrale non era più vista come la soluzione ai problemi della cittadinanza, bensì la causa di una moltitudine di complicazioni e scarsa efficienza.[11] Ad essa veniva domandata maggiore responsabilità, trasparenza e minor ricorso alla gerarchia in favore di strutture più decentrate e maggiormente “elastiche”.[12]
È in questa veste che il concetto di governance, da mero sinonimo di government, è andato a ricoprire un significato diverso, più ampio e, soprattutto, un nuovo modo per intendere il governo dell’autorità statale/regionale cui venivano delegate prevalentemente attività di programmazione e controllo lasciando maggior autonomia locale nella fasi di progettazione e implementazione al livelli periferici.
Appare indubbio che l’approccio di governance, in cui è insito un approccio bottom up (vedi figura 1), è quello che meglio si adatta alla sanità che, a tutti gli effetti, anche dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, è un insieme di sistemi decentrati nei quali, la presenza di diversi stakeholder, richiede una estesa capacità di negoziazione tra tutti gli attori coinvolti al fine della realizzazione di progetti di innovazione digitale di successo.
Government | Governance | |
Attori principali | Stato/Regioni | Stato, Regioni, Aziende Sanitarie e Ospedali, Società civile, Mercato… |
Modello di interazione | comando e controllo (Top Down) | sistema cooperativo di negoziazione (Bottom Up) |
Ruolo di Stato/Regioni | Autorità | Collaborazione |
Responsabilità | Organismi centrali (Stato/Regioni) | Decentrata |
Programmazione, Implementazione | Organismi centrali (Stato/Regioni) | Diversi attori coinvolti |
Valutazione | Organismi centrali (Stato/Regioni) | Diversi attori coinvolti compresi organi micentrali |
Fig 1: Comparazione government–governance. Ripresa e rivista da Goethe universität [13]
La leadership
Una seconda causa del fallimento degli approcci Top Down in sanità è legata al concetto di leadership, intendendo con questo termine un “fenomeno che si manifesta quando tutti gli attori di una organizzazione comprendono gli obiettivi di una istituzione”( Follett 2010)[14] . La sanità è un complesso sistema istituzionale-organizzativo basato su aziende sanitarie e ospedali i cui dipendenti e/o collaboratori appartengono, nella stragrande maggioranza dei casi, alla categoria dei “professionals”, vale a dire una categoria di professionisti dotata intrinsecamente di elevata autonomia gestionale legata al tipico lavoro svolto nei processi di presa in carico e cura dei pazienti. Il coinvolgimento di questa tipologia di professionisti non può realizzarsi senza adeguati percorsi di change management finalizzati a condividere gli obiettivi dell’innovazione digitale.
Progetti “calati dall’alto” senza un adeguato coinvolgimento di queste figure professionali, senza approfondimento delle specificità dei singoli contesti e dei setting locali sono oggettivamente destinati a non produrre reali risultati di cambiamento organizzativo legato all’utilizzo sistematico e intensivo di innovazione digitale. Si segnala inoltre che, in difformità con quanto accade nel mondo anglosassone e in parte anche in quello francese e tedesco/nordico, i professionisti sanitari italiani si contraddistinguono per elevati livelli di “localizzazione” dei processi clinici e organizzativi, da cui deriva un ulteriore aumento della difficoltà nell’approccio top-down di progetti ICT.
Una terza caratteristica sui limiti dell’approccio Top Down è legata al tema dell’innovazione digitale intesa come leva strategica di cambiamento organizzativo. Un ricorso standardizzato all’utilizzo di nuove tecnologie digitali (approccio Technology Driven) non costituisce per l’azienda sanitaria una fonte di “creazione di valore”, se non è accompagnato da un’attenta analisi e revisione dei processi aziendali supportati dai nuovi sistemi informativi automatizzati (approccio Process Driven). In proposito appare opportuno evidenziare che gli studiosi della teoria del business processing reenginering hanno sostenuto che un approccio technology driven in azienda è risultato nel tempo assolutamente fallimentare in quanto tende ad innestare tecnologia “nuova” su processi “vecchi”: la nuova tecnologia non solo non produce innovazione ma aggiunge nuovi costi a processi che continuano ad operare secondo logiche tradizionali. Per innovare, secondo questi autori, è necessaria una innovazione dei processi e dell’organizzazione aziendale accompagnata da una introduzione massiva di tecnologie informatiche (Hammer 1990[15], Davidson, 1993[16]). In alcuni casi patologici si suggerisce addirittura di “azzerare” i vecchi processi e disegnarne di nuovi (come nel citato articolo di Hammer, il cui sotto-titolo è: “Don’t automate, obliterate”), mentre in altri casi un approccio di miglioramento continuo di tipo Lean dà i risultati migliori.
L’ innovazione digitale
Peraltro, altre ricerche empiriche hanno evidenziato che progetti di innovazione digitale hanno successo solo nella misura in cui si riescono a presidiare contemporaneamente tre variabili strategiche: la tecnologia, la revisione dei processi e il change management delle persone coinvolte in questo progetto. Il peso specifico di queste tre variabili nel raggiungimento del successo di progetti complessi è 10% tecnologie, 30% revisione dei processi, 60% attività di change management sulle persone coinvolte nel progetto a conferma che un approccio technology driven non può produrre risultati significativi in quanto non in grado di presidiare le variabili più critiche. Nei progetti di innovazione digitale è indubbio che in assenza di adeguate piattaforme digitali questi progetti non possono essere realizzati ma il loro successo dipende fortemente da altre variabili che richiamano quanto evidenziato nei due paragrafi precedenti. In proposito si evidenzia che la stragrande maggioranza di progetti di innovazione digitale in sanità a partire dal Centro Unico di Prenotazione, alla cartella Clinica Elettronica, al Fascicolo Sanitario Elettronico sono progetti principalmente di tipo organizzativo ad elevato utilizzo di tecnologia digitale.
Fig 2: Successo nei progetti di innovazione digitale. Ripreso e adattato da Deloitte
La mancanza di visione strategica orientata al valore
Una quarta causa di fallimento delle trasformazioni top down risiede nella mancanza di visione strategica orientata al valore in cui inserire le iniziative tecnologiche. L’assunto che una maggior digitalizzazione porti maggior valore è fondamentalmente sbagliato. Sono noti gli effetti negativi (fino al burn-out degli operatori) dell’introduzione di strumenti informatici senza un adeguato supporto e una prospettiva bilanciata di valore per tutti gli attori, non solo per le strutture di governo centrali (Budd 2023[17]). Esistono diversi approcci metodologici per supportare una strategia orientata al valore, quali la Value Based Health Care o il Triple (o meglio “quadruple”) Aim. Senza una visione strategica bilanciata che informi una strategia, alla quale legare obiettivi chiari e outcome misurabili è impensabile che l’informatizzazione produca valore. Purtroppo in molti casi i percorsi di digitalizzazione delle regioni rispondono ad urgenze tattiche o ideologiche (e.g. come spendere i soldi del PNRR, come assicurare che i flussi informativi siano efficienti, l’assunto non dimostrato che digitalizzare sia sempre un fatto positivo…) piuttosto che ad una visione strategica.
L’inserimento Top Down di piattaforme regionali
Le considerazioni sopra esposte tendono inoltre a dimostrare che anche l’ipotesi che l’utilizzo di un’unica piattaforma digitale a livello regionale/nazionale consenta di produrre gli stessi risultati in tutte le aziende di un determinato territorio, aumentino la qualità dei dati raccolti e l’interoperabilità degli stessi non abbia riscontri oggettivi nella realtà.
Alcune ricerche empiriche hanno dimostrato che l’utilizzo della stessa piattaforma digitale, dello stesso fornitore, in due realtà organizzative diverse produce risultati molto diversi proprio in ragione dei necessari approfondimenti delle specificità dei singoli contesti e dei setting locali (analisi e revisione dei processi) e di come, a livello locale, le attività di Project e Change Management sono riuscite a “interessare” tutti gli attori coinvolti. [18] (Cuciniello, Lapsey, Nasi 2016).
Nel contempo si evidenza che l’inserimento Top Down di piattaforme regionali si innesta su contesti sia organizzativi sia ICT pre-esistenti. Questi contesti sono frutto di percorsi decennali diversi, per cui possono essere molto diversi. Conseguentemente la soluzione unica dovendo adattarsi a contesti diversi, produrrà livelli di “successo” diversi a seconda del contesto, determinando nei fatti una attivazione non uniforme.
Anche la qualità dei dati raccolti e la loro interoperabilità non è legata all’utilizzo di un’unica piattaforma digitale ma:
- da un lato all’utilizzo obbligatorio di standard e di dizionari terminologici clinici comuni a livello nazionale: in tal senso il tema che avremmo dovuto porci sarebbe stato quello della reale compliance delle piattaforme digitali andate in gara Consip o ai ribassi d’asta regionali fossero realmente compliant allo standard HL7-FHIR perché è l’utilizzo di questo standard, associato obbligatoriamente a dizionari terminologici comuni, che assicura l’Interoperabilita’ sintattica, semantica e organizzativa dei dati clinici. (Paradossalmente l’utilizzo di un’unica piattaforma digitale a bassa compliance con lo standard HL7-FHIR comporterà maggiori limitazioni che non l’utilizzo di piattaforma diverse con modello dati nativo HL7-FHIR);
- dall’altro l’utilizzo di dizionari terminologici comuni richiede significativi cambiamenti nella produzione di referti e registrazioni di dati nelle cartelle cliniche elettroniche e negli altri sistemi digitali a supporto dei processi di presa in carico dei pazienti ad es. utilizzando il dizionario terminologico Snomed (che peraltro determina un profondo reengineering delle piattaforme digitali in uso.)
Ancora una volta solo adeguate attività di change management possono consentire una condivisione del tema della qualità dei dati e della loro interoperabilità con i professionisti della sanità che devono comprendere la finalità di queste modifiche delle loro attività quotidiana.
L’approccio Top Down e il mercato delle tecnologie
Un’ultima caratteristica dei limiti dell’approccio Top Down riguarda il mercato delle tecnologie. Due i temi da affrontare.
La capacità di implementazione di piattaforme digitali
Il primo tema riguarda la reale capacità di implementazione di piattaforme digital da parte di pochi fornitori. Se pur è comprensibile la scelta delle gare centralizzate per ridurre i costi va poi considerata la reale possibilità che poche aziende dispongano delle risorse professionali in grado di supportare progetti complessi e estesi a tutte le aziende sanitarie italiane. Sappiamo tutti che ciò non è possibile e che la carenza di risorse professionali è una delle criticità di sistema.
Forse avremmo potuto fare scelte alternative in fase di aggiudicazione da un lato certificando i prodotti con standard HL7-FHIR dall’altro predisponendo listini di riferimento riuscendo a coniugare qualità e vantaggio economico ma lasciando alle aziende libertà di scelta in un paniere di fornitori più ampio cosa che avrebbe consentito di allargare il Mercato anziché chiuderlo e di poter disporre di risorse adeguate per la reale implementazione delle piattaforme digitali sfruttando la disponibilità di risorse professionali anche di società medio piccole che sono state escluse dalle grandi gare Consip.
Peraltro, va considerato che con una certa frequenza le economie di scala avvenute in fase di aggiudicazione di prodotti “standard” vengono erose dalle attività di implementazione delle stesse nelle realtà locali. Ricordiamo che oggettivamente Consip non ha responsabilità in merito al risultato di realizzazione dei progetti in gara, ma solo sull’esecuzione e il risultato della gara stessa (ribasso ed economia di scala). Viene nei fatti attivato un circolo “vizioso” di deresponsabilizzazione sui risultati finali: Consip ha responsabilità sulla gara e non sul progetto (infatti viene intrinsecamente “esclusa” dalla gara la capacità di conduzione progettuale che potrebbe essere misurata con KPI di raggiungimento degli obiettivi realizzati e non alla mera “adozione”); i Direttori Regionali suggeriscono, conseguentemente, e non potrebbe essere diversamente, l’utilizzo delle piattaforme delle gare Consip, i Direttori delle Aziende Sanitarie chiederanno ai Direttori dei Sistemi Informativi delle Aziende Sanitarie di utilizzare le piattaforme Consip, i Direttori dei Sistemi informativi non potranno che dire, ai professionisti della sanità, che saranno costretti ad utilizzare piattaforme digitali totalmente astruse rispetto ai processi aziendali, “questo è quanto disponibile”, con l’elevato rischio che queste piattaforme verranno utilizzate poco e male. Un modello di de-responsabilizzazione condivisa sui risultati finali dell’intervento pubblico;
Il ruolo delle società digitali in-house delle regioni
Il secondo tema riguarda, in questo contesto, il ruolo non secondario svolto dalle società digitali in-house delle regioni (costituite da centinaia di professionisti) di cui non è chiaro il ruolo a livello di sistema.
È parere degli autori che tali società nel corso del tempo abbiano costituito una distorsione del mercato dell’innovazione digitale in nome di una presunta governance di sistema cui gli autori sono particolarmente legati ma che, come descritto nei paragrafi precedenti, non dipende dall’utilizzo di piattaforme digitali regionali.
Nel tempo le in-house hanno svolto diverse tipologie di attività: attività di sviluppo di piattaforme digitali (che si sono dimostrate spesso fallimentari), attività di programmazione e controllo, attività di implementazione diretta di piattaforme, servizi di assistenza di 1° livello verso le aziende sanitarie, attività di intermediazione con i fornitori, attività di demand management e di gestione di Gare pubbliche a livello regionale. Potremmo affermare che le In-House hanno fallito quando hanno proposto piattaforme a ridosso dell’operatività, quindi dove la governance bottom-up risulta vincente mentre hanno invece prodotto soluzioni vincenti nel momento in cui si sono poste come strumenti abilitanti e “armonizzanti” delle implementazioni contestualizzate locali.
Considerato che appare assolutamente necessario un bilanciamento tra implementazione di piattaforme e servizi digitali a livello locale e una governance di “sistema”, a livello regionale/nazionale, è parere degli scriventi che tali società debbano prevalentemente svolgere compiti di Programmazione (definizione di linee guida e di standard) e Controllo (verifica sistematica che i progetti delle aziende sanitarie vadano a buon fine). Attività che possono essere svolte da nuclei ristretti di professionisti esperti e con adeguata conoscenza dei processi aziendali della sanità mentre il resto del personale dovrebbe essere riallocato nelle aziende sanitarie consentendo alle medesime di poter contare su organici adeguati per assicurare la pianificazione e la gestione dell’innovazione digitale H24 per 365 l’anno cosa inevitabile qualora si voglia davvero affrontare il tema della automazione dei processi clinici che operano H24 senza interruzioni di continuità. Ad esempio l’esperienza di Arsenal, come consorzio di Aziende Sanitarie, almeno nella sua prima fase di vita, è stato un tentativo di realizzazione di un “modello sincretico” inteso come strumento inter-aziendale per sviluppare innovazione digitale coniugando una visione di sistema e di regole di interoperabilità con la capacità realizzativa delle Aziende Sanitarie sia nella gestione delle piattaforme tecnologiche sia nella revisione dei processi organizzativi e di change management.
Esiste una consapevolezza condivisa relativamente alle criticità insite anche in un approccio Bottom Up lasciato a sé stesso.
Conclusioni
L’assenza di una visione strategica del sistema informativo aziendale in sanità ha storicamente determinato nelle aziende sanitarie italiane un deficit di pianificazione dell’ICT che è stata spesso vissuta come strumento per il supporto di esigenze “operative” ma non come variabile aziendale strategica. Mancanza di cultura dell’informazione e mancanza di un approccio globale hanno determinato una proliferazione di realizzazioni “di nicchia”, spesso in totale assenza di standard realizzativi rendendo, ora, assai difficile un percorso di integrazione culturale, funzionale, organizzativo e tecnologico. Tale deficit di pianificazione molto probabilmente sottintende anche una inadeguata cultura sui processi organizzativi e sui processi informativi aziendali che nei fatti ha prodotto un parallelo deficit di pianificazione degli investimenti.
Parimenti, nel corso dell’ultimo decennio molte aziende sanitarie hanno effettuato investimenti a medio-lungo periodo per la revisione e aggiornamento dei sistemi informativi aziendali spesso ottenendo risultati organizzativi significativi dato che garantiscono il funzionamento quotidiano di aziende sanitarie complesse.
Letteratura e esperienze empiriche inducono gli autori a ritenere che un modello sincretico in cui un approccio Bottom Up, opportunamente guidato e monitorato/verificato da organismi regionali/nazionali “snelli” e da meccanismi sanzionatori applicabili, sia la forma più adeguata per affrontare il cambiamento digitale che è richiesto e che non è più rinviabile in sanità.
FSE 1.0
Il FSE è stato istituito con DL. 178/2015 avrebbe dovuto essere costituito da dati identificativi dell’assistito, Referti (di specialistica ambulatoriale, laboratorio, radiologia, anatomia patologica) verbali di pronto soccorso, lettere di dimissione, consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti.
Dopo quasi dieci anni e investimenti non irrilevanti sia a livello regionale sia di aziende sanitarie e ospedali, lo stato di attuazione del FSE nelle diverse regioni può essere così riassunto[1]:
- il nucleo minimo dei documenti clinici previsti non è stato pienamente implementato in tutte le regioni, limitando significativamente l’utilità effettiva del FSE
- il FSE contiene prevalentemente documenti clinici con dati non strutturati, limitando così il suo utilizzo a fini analitici o non prettamente consultivi
- il FSE è implementato in maniera disomogenea nella regioni, sia in termini di contenuti che di standard, limitando così la portabilità dei contenuti da una regione all’altra e l’accesso ad operatori dislocati sul tutto il territorio nazionale
Inoltre alcuni aspetti importanti rimangono ad oggi non presidiati implicando le seguenti conseguenze[2]:
- Nessuna esperienza d’uso di riferimento risulta fissata ed assunta a livello nazionale per i servizi utente rispetto a processi e modalità di interazione attuati
- Assenza di linee guida nazionali di alimentazione del FSE da parte dei sistemi che producono documenti clinico-sanitari
- Nessuna disciplina che preveda processi di qualificazione dei vendor per l’integrazione tra FSE e rispettive soluzioni che producono documenti
- Presenza di obbligo all’alimentazione del FSE da parte di operatori e strutture sanitarie privo di un regime sanzionatorio applicabile
Le criticità sopra evidenziate inducono ad avere un utilizzo dei servizi del FSE complessivamente basso. I principali fattori che determinano questa condizione di basso utilizzo sono[3]:
- Scarsa conoscenza dei cittadini assistiti del FSE. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Innovazione del Politecnico di Milano, solo il 38% dei cittadini ha sentito parlasre del FSEe solo il 12% lo ha utilizzato
- Incapacità del FSE di dare risposta a bisogni del cittadino assistito inerenti alle proprie cure […]
- Incapacità del FSE di fornire un valido e attendibile strumento di cura a MMG/PLS e Medici specialisti derivante dalla sua bassa alimentazione e incompletezza della storia clinica[…]
Le possibili cause possono essere riferite a quattro area di criticità:
- Lavoro di analisi preliminare inadeguato, limiti nella conoscenza dei processi clinico-sanitari di presa in carico dei pazienti e del reale funzionamento dei sistemi informativi delle aziende sanitarie e ospedaliere. Deficit di conoscenza che ha generato aspettative di popolamento del FSE errate nei contenuti e nei tempi realizzativi. Lacune rispetto alla reale utilità di servizi che sarebbero resi disponibili dal FSE per pazienti e professionisti.
- Mancanza di un sistema unitario e condiviso di codifiche e terminologie cliniche per la classificazione delle informazioni sanitarie, di standard unitario e condiviso a supporto dell’interoperabilità e mancanza di un sistema sanzionatorio applicabile per favorire un adeguato popolamento del FSE.
- Mancanza di capacità di gestione del progetto nelle sue componenti centrali e locali e grave carenza di documentazione a supporto della valutazione dello stato di andamento del progetto e dei relativi costi sia a livello regionale sia a livello nazionale
- Mancanza di adeguati processi di Change Management e di formazione dei professionisti coinvolti
Il National Programme for IT (NPfIT)
Il National Programme for IT del National Health Service Inglese è stato il più grande programma IT del settore pubblico mai tentato nel Regno Unito, originariamente preventivato per costare circa 6 miliardi di sterline per tutta la durata dei principali contratti.(arrivato a oltre 10 miliardi di sterline).
Avviato nel 2002, dopo una storia segnata da ritardi, opposizione degli stakeholders interessati e problemi di attuazione, il programma è stato smantellato dal governo nel 2011.
L’obiettivo principale di NPfIT era quello di un utilizzo esteso delle tecnologie informatiche per l’automazione dei principali processi clinici: dai servizi online di prenotazione, alle ricette elettroniche, alle cartelle cliniche elettroniche dei pazienti, sino alla costruzione di un Electronic Personal Record per ciascun paziente (equivalente al FSE)
Erano stati previsti quattro gruppi principali di beneficiari di tale sistemi (NHS Executive, 1998):
1. Pazienti, che possono utilizzare i sistemi EPR per vedere i propri risultati dei test da casa e per capire i dati sulle prestazioni del SSN;
2. Operatori sanitari, che possono utilizzare i sistemi EPR per ottenere l’accesso a informazioni rapide, affidabili e accurate sui pazienti, basi di conoscenza locali e nazionali e informazioni per supportarli nel loro lavoro;
3. Manager e pianificatori del NHS, che possono utilizzare i dati secondari dei sistemi EPR per accedere a informazioni di alta qualità che li aiutano a indirizzare e utilizzare le risorse;
4. La società civile, che può utilizzare i dati secondari dei sistemi EPR per valutare le prestazioni degli ospedali locali e di altri fornitori di servizi sanitari
Le principali cause del fallimento del progetto possono essere raggruppate in tre macro categorie: dimensione temporale (fretta realizzativa), gestione del progetto, cultura e competenze.
Con maggior dettaglio possono essere così sintetizzate:
- Un calendario irrealistico e in tale contesto il mancato riconoscimento del fatto che più tempo dura il progetto, più è probabile che venga superato da nuova tecnologia
- Lavoro di analisi preliminare inadeguato (…”non c’è tempo per interagire con gli utenti e gli stakeholders coinvolti”…mentre in realtà una consultazione approfondita con gli operatori sanitari avrebbe potuto mitigare ad es. alcuni dei rischi legati alla condivisione delle cartelle cliniche elettroniche)
- Mancanza di un sistema unitario e condiviso di codifiche e terminologie cliniche per la classificazione delle informazioni sanitarie (attività che richiede tempo e negoziazione con gli stakeholders)
- Mancanza di capacità di gestione del progetto nelle sue componenti centrali e locali e carenza di una leadership chiara, condivisa e stabile nel tempo
- Mancato riconoscimento dei rischi e/o dei limiti dei grandi progetti IT
- Inadeguata valutazione/gestione dei costi: fornitori IT dipendono da prezzi bassi stabiliti dai contratti e addebitano prezzi alti per variazioni sw con scadenti specifiche scritte
- Inadeguati processi di Change Management e di formazione dei professionisti coinvolti
- Inadeguata attenzione per le questioni relative alla privacy
- Mancanza di adeguata documentazione a supporto della valutazione del progetto e mancata verifica dei risultati reali rispetto alle aspettative