coloro i quali vogliono approfondire l’argomento dei disturbi da uso di sostanze (SUD, Substance Use Disorders) posso far riferimento a: “Substance use disorders: a comprehensive update of classification, epidemiology, neurobiology, clinical aspects, treatment and prevention”, un corposo articolo pubblicato su World Psichiatry da Nora Volkow e Carlos Blanco, rispettivamente Direttore del National Institute on Drug Abuse (NIDA) presso il National Institutes of Health e Direttore della rispettiva Division of Epidemiology, Services and Prevention Research.
Tra i vari argomenti affrontati alcuni appaiono di particolare interesse per il loro potenziale sviluppo digitale e successiva applicazione nel mondo reale: in particolare la condizione definita come “Preaddiction” e l’approccio secondo il “Chronic Care Model”, le cui specifiche rientrano ampiamente nel concetto di Population Health Management (PHM). Oltre a questi, un paragrafo è dedicato agli interventi digitali, che, a loro volta, sono centrali nell’adozione operativa del PHM.
Ma andiamo con ordine.
La condizione di preaddiction
Preaddiction è una condizione mutuata da prediabete e proposta dalla stessa Volkow con altri due esperti (McLellan e Koob) nel 2022 per favorire l’identificazione dello stato di malattia in fase precoce, corrispondente allo stadio lieve o moderato secondo la classificazione DSM5: infatti, è stato osservato che, per quanto riguarda il diabete, il suo riconoscimento in “early stage” ha aumentato la penetrazione degli interventi e trattamenti per i soggetti affetti da questa patologia, riducendo l’evoluzione verso livelli più gravi (e gravosi) di malattia e migliorando la qualità e l’aspettativa di vita.
Nel loro articolo gli autori definiscono il termine Preaddiction come “missing concept” da adottare nell’approccio clinico e sindemico del disturbo.
Nonostante questo abbia sollevato discussioni e polemiche in US, il principio e la logica traslazionale della proposta rappresenta un vantaggio per intercettare precocemente quei soggetti che, verosimilmente, sono a rischio di evoluzione del disturbo: trattandosi di soggetti giovani e appartenenti a generazioni già digitalizzate, l’utilizzo di soluzioni per lo screening tramite app o altre modalità tecnologiche di diffusione consentirebbe il raggiungimento di fasce di popolazione numericamente più ampie e stadiarne lo stato della condizione rispetto a SUD.
I vantaggi di un’offerta terapeutica web-based
Ma fermarsi allo screening digitale senza dare seguito a un percorso (PDTA?) digitale è un’opera incompiuta. Infatti, come riporta l’esperienza di uno studio condotto in Svizzera, un’offerta terapeutica web-based ha consentito il contatto con, e il trattamento di, una popolazione che differisce da quella abitualmente in contatto con i centri territoriali tradizionali per le modalità di consumo e le caratteristiche sociodemografiche.
Questo sostiene di concludere che lo sviluppo di percorsi (PDTA?) digitali alternativi ma integrati a, e convergenti con, quelli attuali aumenta la probabilità di interagire con una popolazione la cui domanda non incontra una offerta disponibile.
In questi anni molte soluzioni digitali sono già state sperimentate con valutazione favorevole, ma rimane una certa diffidenza nella loro applicazione pratica: l’articolo citato in apertura di questo documento, nel paragrafo dedicato agli interventi digitali, riporta casi di successo per le fasi di screening e assesment, trattamento e recovery, sia come soluzioni stand-alone sia integrate (meglio convergenti) con i trattamenti abituali in presenza. Tra queste è utile citare e ricomprendere anche le terapie digitali propriamente dette (DTx), già adottate in alcuni stati europei attraverso specifiche regolamentazioni nazionali.
I freni all’adozione di risorse digitali
Non molti anni fa un gruppo francese ha coniato il termine e-addictology, identificando e raggruppando per classi omogenee le risorse digitali la cui applicazione aveva dimostrato di migliorare l’assessment e gli interventi in SUD e DGA: questa overview, pur descrivendo e dettagliando le risorse strumentali e gli sviluppi possibili, non tiene conto del valore aggiunto derivante della reciproca convergenza delle soluzioni stesse in ottica ecosistemica.
Anche un gruppo di studio europeo ha sostenuto positivamente la previsione dell’adozione di soluzioni innovative ma ha evidenziato, tra i vari limiti, quelli derivati dall’infrastruttura tecnologica e la mancanza di literacy (e conseguente digital mindset) tra i professionisti. Di questo ne avevo già scritto anni fa su queste pagine e posso constatare che a livello nazionale la situazione è migliorata, ma di poco: certo, qualcosa è meglio di niente, e la creazione di esperienze sul territorio nazionale è sicuramente una azione opportuna e auspicata, e da sostenere.
Dal punto di vista strategico, Preaddiction si integra perfettamente con il modello di PHM in ottica del concetto di anticipare il ricorso al “Chronic Health Model”: SUDs (e DGA – Disturbo da Gioco d’Azzardo) sono considerate malattie croniche ad andamento recidivante, e quindi, in quanto tali, sono ottime candidate a essere ricomprese in entrambi i modelli, e suscettibili all’applicazione di tecnologie e soluzioni digitali per essere gestite in modalità più fluida (agile). Ad esempio, in ambito psichiatrico più ampio, quella che viene definita come “fenotipizzazione digitale”, cioè la possibilità di raccogliere dati con finalità cliniche attraverso indossabili e app, consente l’acquisizione di elementi (RWD – Real World Data) contingenti alla situazione istantanea specifica (EMA – Ecological Momentary Assesment).
L’importanza di piattaforme di IA sicure, condivise e integrate
Da queste due condizioni “generative” ne derivano altre due “operative” tra loro interdipendenti: le evidenze basate su mondo reale (RWE – Real World Evidence) e la possibilità di intervenire in modo tempestivo (EMI – Ecological Momentary Interventions).
La gestione di queste due fonti dati e la loro trasformazione reiterata in informazioni cliniche deve essere sostenuta da piattaforme sicure, condivise e integrate, e dotate di algoritmi dedicati con funzioni di intelligenza artificiale e machine learning.
Forse potrebbe essere utile iniziare a discutere, a livello nazionale, della programmazione di un sistema centralizzato e abilitato alla convergenza di dati, protetti ai sensi del GDPR, per formulare un ecosistema di valutazione basato sugli outcome sanitari ed economici: a questo proposito, il contributo dei pazienti e dei loro caregiver (PREMS e PROMs), secondo metriche pubblicate, aumenterebbe, rinforzandola, l’attendibilità della stessa valutazione, oltre a conferire empowerment a questi fondamentali stakeholders.
Gli ostacoli alla realizzazione di una piattaforma di telemedicina per SUD e DGA
L’ambizioso obiettivo è quello di progettare e realizzare una piattaforma di telemedicina dedicata a SUD e DGA, a favore dello sviluppo di PDTA digitali, ma gli ostacoli alla realizzazione sono molteplici:
- Latenza di orientamento del personale verso i vantaggi operativi derivati dall’adozione di soluzioni digitali nella propria pratica clinica professionale
- Latenza di consapevolezza da parte delle Direzioni Strategiche Aziendali nella valutazione tra spesa e investimento nel settore (BIA – Budget Impact Analysis e CEA – Cost Effectiveness Analysis)
- Difficoltà burocratiche per utilizzare fondi dedicati, vincolati e specifici
- Scarsa applicazione di concetti e sviluppo di progetti basati su VBHC e loro monitoraggio con BSC e RoI
- Competitività intesa come minaccia personale invece di identificazione di risorse interne da capitalizzare
- Rischio di resistenza “formale” da parte di servizi aziendali (Ingegneria Clinica, DPO, ecc.)
- Ultimi, ma non meno importanti, lo stigma e il pregiudizio personale e sociale tutt’ora ampiamente presente nei confronti di queste popolazioni che non tutti riconoscono come soggetti affetti da un disturbo, ma che la medicina, invece, ha ampiamente sdoganato.
Conclusioni
In conclusione, a fronte della nota scarsità di risorse professionali, che per definizione sono finite, sarebbe ora di chiedersi anche come favorire l’ottimizzazione delle risorse già disponibili: secondo una stima personale, ma basata su esperienze dirette, almeno il 25% del tempo di lavoro è dedicato ad attività di supporto che non producono valore. In altri termini, un professionista su quattro presenti in servizio è impegnato all’assolvimento di pratiche a supporto che, se ingegnerizzate, libererebbero risorse da dedicare all’assistenza diretta. Per ottenere questo parziale ma importante risultato basterebbe rimuovere (o meglio, gestire) alcuni degli ostacoli elencati in precedenza e, finalmente, vivere l’innovazione come fattore abilitante all’esecuzione di progetti di miglioramento, sia strategici sia operativi.
Poi c’è un altro problema da risolvere: la contraddizione tra la formalizzazione di un PDTA statico e la personalizzazione dinamica delle cure, ma questo è competenza di approccio TRIZ magari risolvibile con un PDTA adattativo.