gli indicatori

Programma Nazionale Esiti: perché è la chiave di volta per la sanità digitale

Il programma nazionale esiti contiene indicatori molto interessanti se analizzati alla luce della telemedicina in arrivo con il PNRR. Vedremo perché le regioni e le aziende sanitarie dovrebbero analizzare con cura questi dati nella costruzione dei percorsi di telemonitoraggio, televista, teleassistenza e teleconsulto

Pubblicato il 09 Dic 2022

Sergio Pillon

Vicepresidente e responsabile relazioni istituzionali AiSDeT, Associazione italiana Sanità Digitale e Telemedicina

Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0

È stato appena pubblicato da AGENAS, DEP Lazio ed ISS il PNE, il programma nazionale esiti 2022, con i dati del 2021. Come dice il sottotitolo sul sito dedicato, “…il PNE non produce classifiche, graduatorie, giudizi”. Tutti però andiamo a cercare chi è tra i migliori e chi è tra i peggiori: la maggior parte degli articoli usciti sulla presentazione del documento mostra, ad esempio, come il centro-sud sia “risalito nelle classifiche”.

A parte le considerazioni legate alle distorsioni introdotte dal Covid (calo di moltissimi ricoveri, i pazienti non volevano o non potevano andare in ospedale) permangono molti indicatori “negativi” che segnalano aree di possibile miglioramento. Sono indicatori molto interessanti se analizzati alla luce della telemedicina in arrivo con il PNRR.

Il FSE 2.0 pilastro della sanità post-covid, ma senza competenze digitali non sarà vera svolta

Vedremo perché le regioni, anzi ancor di più le singole aziende sanitarie, dovrebbero analizzare con cura questi dati, soprattutto oggi, nella fase di costruzione dei percorsi di telemonitoraggio, televista, teleassistenza e teleconsulto, e dei servizi clinici legati al FSE, che possono modificare i Percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA) e gli esiti in modo decisivo, anche nel breve/medio termine.

Equità delle cure e digitalizzazione

Prendiamo il primo indicatore generale, quello definito “equità”. “Tale sezione non ospita nuove misure create ad hoc per la valutazione dell’equità, ma ripropone un’analisi stratificata di alcuni indicatori esistenti per i quali la letteratura medico-scientifica riporta significative differenze nell’accesso ai servizi e nell’erogazione delle prestazioni (ad esempio in termini di ridotta tempestività di accesso alle cure, di inappropriatezza clinica e di ospedalizzazione evitabile). Una criticità a tutt’oggi esistente riguarda la possibilità di rilevare attraverso le SDO lo status socio-economico dei pazienti, a causa di problemi legati alla qualità della variabile “titolo di studio” (utilizzata come proxy), in termini di mancata o errata valorizzazione. Nonostante si tratti di una variabile a compilazione obbligatoria, essa risulta spesso mal codificata o assente, con una frequenza particolarmente elevata della modalità di risposta “titolo di studio non dichiarato” (28% in media nel 2021) e, in alcune regioni, della modalità “nessun titolo di studio” (ad esempio, 37% in Emilia-Romagna e 33% nella P.A. Bolzano)”.

Questo recita il PNE ma consideriamo il Fascicolo Sanitario Elettronico: siamo sicuri che la fonte “titolo di studio” debba essere esclusivamente quella del compilatore della scheda di dimissione ospedaliera, la SDO? Possibile che nel 2022 non sia possibile incrociare i dati delle SDO con altre fonti di dati? E lo stesso FSE siamo sicuri che alla luce di quanto esposto sul tema equità non debba diventare il fascicolo sociosanitario elettronico, aggiungendo aspetti sociali, definiti dalla stessa AGENAS, in accordo con ISS e Ministero della salute come determinanti per la salute? Il digitale serve proprio a questo a “misurare” le persone, a rendere le cure personalizzate, non solo sulla base della patologia ma , secondo il concetto di equità e non di uguaglianza.

Non vogliamo dare a tutti la stessa bicicletta, per qualcuno inutile, per altri troppo alta, per altri troppo bassa, vogliamo dare un mezzo di spostamento, una sedia a rotelle, un deambulatore, una bicicletta con le rotelline o una elettrica. Questo è quello che consente, in modo semplice ed economico l’introduzione del digitale nelle cure.

Differenze di genere nel ricorso ai servizi sanitari

Passiamo al genere, tra gli indicatori di equità rilevato in tutte le cartelle; secondo il PNE “L’analisi ha evidenziato significative differenze di genere nel ricorso ai servizi sanitari e nei percorsi assistenziali. Con riferimento all’area cardiovascolare, analogamente a quanto già evidenziato nella passata edizione, si è registrata anche nel 2021 una minore tempestività di accesso all’angioplastica coronarica nelle donne con STEMI rispetto agli uomini (p<0.001).

La Figura 66 riporta la distribuzione dei rischi relativi (RR) di accesso alla PTCA entro 90 minuti dall’arrivo in ospedale nelle diverse regioni italiane, da cui emerge una marcata differenza di genere a svantaggio delle donne, con valori significativamente inferiori all’unità nella gran parte delle strutture presenti sul territorio nazionale”. Vediamo tra i migliori la Puglia (apparentemente anche la Sicilia ma con un range di variabilità dei dati che li rende poco affidabili nell’insieme). Il PNE da una spiegazione per questo considerando la diversa presentazione dei sintomi nelle donne rispetto agli uomini, che possono presentare infarti con sintomatologia atipica, ma i sintomi delle pugliesi non credo differiscano dai sintomi delle milanesi per cui, a mio parere, è la differenza dei dati è soprattutto legata ad una questione di organizzazione territoriale. La Puglia nella telecardiologia territoriale è l’avanguardia in Italia e probabilmente si riflette nel PNE.

Più televisite per le pazienti in condizioni sociali svantaggiate

Tra gli indicatori di equità notiamo che nelle pazienti straniere, dopo un taglio cesareo, “emerge un rischio di riammissione durante il puerperio (a 42 giorni dal parto) significativamente più elevato per le donne immigrate che siano state previamente sottoposte a un TC, rispetto alle italiane/PSA (paesi sviluppati)”. Come non immaginare che le condizioni socio-sanitarie, e la mancanza di un medico curante, condizioni che potrebbero essere compensate attraverso televisite fatte via smartphone, giochino un ruolo importante nell’evoluzione di complicanze? Anche la pazienti extracomunitarie e le pazienti in condizioni sociali più svantaggiate (purtroppo lo svantaggio sociale non è un dato che non emerge dalle SDO) usano lo smartphone. Campagne post partum fatte con le televisite in paesi come India e altri paesi asiatici hanno dimostrato nel settore materno-infantile grandissimo successo nella prevenzione delle complicanze post partum, per madri e bambini e lo dice anche il PNE “È possibile ipotizzare che il maggior rischio di riospedalizzazione durante il puerperio a carico delle donne immigrate sia attribuibile a complicanze derivanti almeno in parte dalle precarie condizioni di vita e dalla minore presenza di tutele sociali e lavorative (precarietà abitativa, assenza di reti parentali, rientro anticipato al lavoro ecc.)”.

Anche i servizi sociali potrebbero predisporre colloqui con tecnologie analoghe a quelle delle televisite, le avevano definite nelle linee di indirizzo del 2014 “Teleassistenza sanitaria o teleassistenza socio-sanitaria”, poi sono inspiegabilmente scomparse nelle versioni successive che dedicano il Tele- solo alle professioni sanitarie. Come chiedono oggi tutte le forze sociali è ora di ripensare anche ad una assistenza sociale che includa il “tele” nel proprio DNA.

Sul tema della fragilità sociale ma vi sembra possibile che oggi, nell’era del Big Data non si riescano ad incrociare dati ben noti a SOGEI e di conseguenza al MEF via codice fiscale con i dati dell’assistenza territoriale e socio-sanitaria?

Infine, sempre nel confronto con le fasce più deboli, semplificate dai migranti, “Dagli indicatori di ospedalizzazione evitabile, emerge nel 2021 un quadro regionale eterogeneo, con una tendenza da parte della popolazione proveniente da paesi poveri a presentare tassi superiori a quelli della popolazione italiana in molti contesti regionali per infezioni del tratto urinario, complicanze del diabete a medio e lungo termine e ipertensione arteriosa.” Estendendo il dato per le categorie sociali fragili potremmo avere ben altri esiti nel PNE, Big Data… ricordate queste parole?

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Ricoveri evitabili e digitalizzazione

Analizziamo quello che è da sempre stato uno dei cavalli di battaglia del telemonitoraggio, la possibilità di evitare il ricovero, in particolare in alcune patologie, di cui la principale causa di ricoveri evitabili è, secondo il PNE, lo scompenso cardiaco. Anche qui vediamo, a mio parere, l’effetto della Telecardiologia in Puglia, che è una delle regioni con i minori tassi di ospedalizzazione inappropriata per scompenso.

La BPCO è un secondo gruppo a cui è riservato il telemonitoraggio nel PNRR, ed è evidente il perché anche dal PNE. “La seconda condizione a maggior impatto da considerare ai fini della valutazione dell’ospedalizzazione evitabile è rappresentata dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO): nel 2021, si sono registrati 50.179 ricoveri, con un tasso medio di ospedalizzazione stabile rispetto al 2020 (intorno all’1,01‰). È comunque ancora evidente una discreta variabilità inter e intra-regionale (Figura 62). In particolare, restano critici i dati relativi a Emilia-Romagna, Basilicata, Valle d’Aosta e Puglia, con valori mediani superiori a 1,3‰” . Qui la Puglia si dimostra molto meno efficiente, sarebbe interessante analizzare il dato, alla luce dei percorsi digitali.

Saranno comunque i prossimi PNE a dirci chi ha lavorato bene con il digitale e chi non è stato capace di incidere in modo decisivo.

Proprio sul diabete, la terza area prioritaria prevista per la telemedicina nel PNRR, si parla di carenza di reti territoriali come causa dei risultati scarsi per alcune regioni/aziende sanitarie. “Per quanto riguarda le complicanze del diabete a breve e lungo termine, nel 2021 sono stati registrati 15.205 ricoveri, con un tasso medio di ospedalizzazione stabile rispetto al 2020 (pari a 0,3‰). La Figura 64 mostra come in diverse regioni il tasso sia più elevato rispetto al dato nazionale, con pattern simili a quelli evidenziati negli anni precedenti; questo potrebbe in parte dipendere da una diversa prevalenza della condizione diabetica tra le regioni italiane, ma anche risentire (soprattutto in termini di variabilità intra-regionale) di possibili ritardi nell’implementazione delle reti diabetologiche a livello territoriale”

Nei dati di dettaglio, ad esempio, in Calabria è evidente che qualcosa non va in una ASL, Crotone, che rispetto alle altre presenta dati di ben altro segno rispetto a Catanzaro che è al di sotto della media nazionale. Capire cosa succede e digitalizzare per capire meglio e reagire prontamente, questi solo elementi chiave. Se avessimo già un FSE efficiente sarebbe facile approfondire i dati, per dare alle direzioni generali gli strumenti di correzione.

In conclusione, leggo nel PNE un enorme spazio per il digitale, per il FSE per la telemedicina. Abbiamo analizzato il territorio con il telemonitoraggio, ma pensate anche alla teleassistenza territoriale per ridurre i ricoveri impropri, alle reti dell’emergenza (teleconsulto, telerefertazione, televisita), alle reti tra le case della comunità e gli specialisti territoriali, ai PDTA potenziati dal digitale, al teleconsulto tra MMG e specialisti, il Teleconsulto intraospedaliero.

Il PNE dovrebbe essere obbligatorio come una delle basi chiave per la progettazione degli interventi di digitalizzazione delle aziende sanitarie: lo chiamiamo anche governo clinico dell’innovazione digitale.

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