Sedute digitali

Alla ricerca del corpo ritrovato: cosa ha insegnato la pandemia alla psicoanalisi online

Nelle piattaforme digitali, il corpo si riflette come immagine, ma non c’è: il principale ostacolo all’efficacia della psicoanalisi online è la difficoltà di incidere sui fenomeni somatici. Ma il distanziamento può portare a disinibirsi ed affrontare nodi irrisolti: cosa ha insegnato la pandemia

Pubblicato il 19 Feb 2021

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

psicoanalisi online

Cos’è il corpo umano? Abbiamo il nostro corpo oppure siamo il nostro corpo? Il principale ostacolo all’efficacia dei trattamenti psicoanalitici online è la difficoltà di incidere sui fenomeni somatici e, soprattutto, sulla dimensione del corpo pulsionale. Online manca l’incontro, nello stesso spazio, fra il corpo del paziente e quello dell’analista: ci sono occasioni di dialogo e di scambio anche intenso, a livello dell’ascolto della parola e del linguaggio portati in seduta dal paziente, che aggiungono materiale discorsivo all’itinerario di ricerca soggettiva. Ma resta controverso se le sedute di psicoanalisi online riescano effettivamente a produrre degli effetti analitici a livello dell’intimità corporea.

Tecnofobici, prudenti, entusiasti: gli psicoanalisti alla prova del digitale

La pratica della psicoanalisi online era già molto diffusa negli scorsi anni, soprattutto negli Stati Uniti e in Australia, a causa delle enormi distanze fra le città di questi Paesi. Ma l’evento Coronavirus, in tutta la sua drammaticità, ha spinto la maggior parte degli psicoanalisti europei a confrontarsi con le apparecchiature digitali: per svolgere delle sedute online oppure per mantenere un contatto con i pazienti attraverso i dispositivi dedicati alla messaggistica. Nel 2020, il mondo intero ha conosciuto una vertiginosa accelerazione del processo di digitalizzazione che, in modo più graduale, sarebbe comunque avvenuto.

Fino allo scorso anno, la richiesta di appuntamenti online era rara: in genere da parte di persone residenti altrove o trasferitesi in parti del mondo dove era impossibile incontrare uno psicoanalista, oppure in presenza di una sintomatologia ingombrante, come severi attacchi di panico, che impediva di raggiungere lo studio del clinico, oppure negli ultimi mesi di una difficile gravidanza.

In modo più o meno stabile, diversi colleghi già fruivano di piattaforme come Skype, la prima a venire utilizzata diffusamente a fini clinici. Già prima della recente pandemia, stavano iniziando a moltiplicarsi i volumi che descrivevano le “sedute digitali”: si veda, a questo proposito, il libro “Psicoanalisi online” di Giuseppe Craparo (Carocci, Roma, 2020), professore di psicologia clinica alla Kore University di Enna. Si tratta di un testo ideato e in gran parte redatto nel 2019, prima del lockdown della scorsa primavera.

Alcuni analisti hanno in effetti un’idea ancora molto critica nei confronti delle sedute online e assumono una sorta di posizione tecnofobica, quasi a denegare gli evidenti avanzamenti determinati dalla scienza, anche nel mondo della psicoanalisi. Molti si pongono in una posizione prudente, praticando occasionalmente online senza darne notizia, temendo il rischio di incitare involontariamente soprattutto i colleghi più giovani al ricorso a modalità inedite ed eretiche, poco ortodosse. Altri, invece, risultano infatuati dall’innovazione e sembrano coinvolti in questa esperienza di psicoanalisi online con un’attitudine quasi ludica, divertita, tanto da sottovalutare i problemi in gioco nell’online, al punto da sminuire e non voler vedere alcuni limiti intrinsecamente correlati al digitale.

È evidente che alcuni psicoanalisti molto scettici verso l’efficacia dei trattamenti online si sono trovati in difficoltà quando, di fronte all’irruzione della pandemia, hanno dovuto interrompere quasi tutte le traiettorie analitiche dei loro pazienti. Alcuni sono passati alle sedute online controvoglia, e hanno dovuto far ricorso obbligatoriamente agli strumenti dello sviluppo tecnologico come unico mezzo che potesse mantenere un filo di sostegno a soggetti in inquietante difficoltà. Svolgere psicoanalisi online senza crederci intimamente ha determinato talvolta effetti poco benefici, al punto che forse sarebbe preferibile evitare di impegnarsi in una pratica che si ritiene poco confacente al proprio stile, poco affine agli avanzamenti dei dispositivi digitali, in un modo peraltro del tutto rispettabile.

In effetti, come scrive Giuseppe Craparo e come è già stato sottolineato, il corpo del paziente è il grande assente nelle sedute svolte su Skype così come su qualsivoglia piattaforma, così come in qualunque stanza virtuale. Quello che risulta assente è soprattutto il corpo pulsionale in quanto l’immagine del proprio corpo campeggia invece sugli schermi nelle sedute online. Vi è evidentemente soprattutto un riflettersi del corpo: il corpo in quanto immagine si ritrova in primo piano, in onda, negli appuntamenti in videochiamata.

Stabilità dei luoghi e riservatezza: le condizioni basilari della psicoanalisi online

La pratica della psicoanalisi conosce dei progressi anche attraverso gli errori dei clinici. Una dimostrazione di onestà intellettuale sta nella capacità di apprendere dalla propria esperienza e dalle proprie sviste, come faceva già lo stesso Freud mettendoci a parte di alcune analisi da lui dirette, senza tralasciare di presentare alcuni parziali insuccessi. Freud non sembrava sempre orientarsi saggiamente sul proprio situarsi come analista nelle cure che conduceva e, come scriveva Jacques Lacan, per questo il suo insegnamento è ancor oggi tanto prezioso. Credere di sapere già tutto, di essere già formati, conduce spesso a errori di presunzione ben peggiori.

Giuseppe Craparo sottolinea, sulla scorta di un proprio fraintendimento, nel quale in occasione di un congresso si era collegato per la seduta da una stanza d’hotel, l’importanza di conservare una stabilità dei luoghi in cui l’analista e il paziente si connettono: mantenere costante, invariato, saldo il contesto dell’appuntamento costituisce un fattore facilitante la messa al lavoro analitica. Persino superflua è l’esigenza di avere condizioni di riservatezza.

In tempi di emergenza coronavirus e di quarantena o confinamento fiduciario constatiamo che alcune persone non possono svolgere trattamenti online, pur volendo proseguire un percorso analitico, in assenza di uno spazio intimo e riservato nel quale concentrarsi senza il rischio di imbarazzanti irruzioni nella stanza da parte di loro congiunti. Un problema che si riscontra di frequente con pazienti adolescenti o comunque giovanissimi, che abitano con i genitori e si trovano a inventarsi dei luoghi inconsueti per svolgere le sedute (automobile del papà, box, cantina, giardino di casa) a prezzo di una connessione instabile dal proprio smartphone anziché dal computer, con effetti di complicazione delle sedute stesse fino al limite dell’impossibilità.

Quando il virus era all’apice della sua diffusione, mi sono recato comunque quotidianamente in studio, dove ho svolto diverse sedute in videochiamata: soltanto pochi pazienti hanno optato per venire comunque da me, nonostante le molte accortezze applicate, la ripetuta sanificazione dell’ambiente compiuta da un’azienda specializzata, il rigoroso distanziamento, l’uso delle mascherine, la disponibilità del gel igienizzante. La pratica della psicoanalisi si era temporaneamente trasferita verso gli appuntamenti online. Io stesso, non potendomi recare a Parigi, ho svolto regolarmente supervisioni su Skype.

Il coronavirus è ben presto entrato anche nei sogni di molti pazienti, sopraffatti dalla montante marea di contagi. Sognare epidemie, sognare uno zombie, vedere immagini oniriche di cimiteri risulta attualmente ben più frequente e viene palesemente associato all’impatto che questo virus sta avendo sulla nostra esistenza.

Ciascuno reagisce diversamente a un evento traumatico come questa pandemia. Per la psicoanalisi, il trauma non è soltanto l’avvenimento drammatico ma anche la rielaborazione che se ne fa, la narrazione che ne viene proposta, la reazione singolare a un certo accadimento. Descrivere delle generiche tipologie di persone non ci fa cogliere la singolarità irriducibile di ognuno.

Trovandoci nel pieno di una seconda ondata di coronavirus, le richieste di sedute di psicoanalisi online si stanno di nuovo moltiplicando: diviene frequente lavorare sul proprio inconscio da remoto così come è divenuto frequente lo smartworking. Si è dunque maturata una certa consuetudine con la pratica della clinica psicoanalitica online, a volte alternata con quella offline.

Il corpo, grande assente nella psicoanalisi online: cosa ha insegnato la pandemia

Anzitutto va ricordato, come sosteneva Lacan, che “la psicoanalisi vera ha il suo fondamento nel rapporto dell’uomo con la parola”. Si parla anche nelle sedute online: ci troviamo comunque alle prese con la funzione della parola e nel campo del linguaggio.

Non siamo perfettamente d’accordo con il filosofo Byung-Chul Han il quale, riprendendo le elaborazioni del semiologo Roland Barthes esposte nel libro “La camera chiara“, sottolinea la differenza fra lo studium e il punctum, ovvero tra la dimensione razionale ed emotiva di un essere umano di fronte ad un opera d’arte. Nella fotografia, nell’opera d’arte, vi è uno studio intellettuale sulla dimensione cromatica e su quella eidetica, vi è uno studio dell’opera in termini metrici e geometrici finchè qualcosa sovverte la nostra modalità di avvicinarci al quadro: è il punto che sovverte la nostra intenzione, il punto d’angoscia.

Ne riporta un esempio lo stesso Lacan, a cui Roland Barthes faceva implicitamente riferimento, con il celebre dipinto “Gli ambasciatori” realizzato da Holbein il giovane e collocato all’ingresso di una delle prime sale della National Gallery di Londra. Si entra nell’ampia location e si rimane affascinati dalle figure dei due ambasciatori che rappresentano la presunta padronanza dell’uomo mondano, con la loro giovinezza, la loro bellezza e la loro prestanza. Mentre ci si dirige verso l’uscita della sala, per procedere nella visita della galleria d’arte, la nostra attenzione viene improvvisamente attirata da uno strano oggetto che si trova nella parte inferiore del quadro. Ci si accorge, dopo una prima sensazione di perplessità e qualche istante di più accurata analisi, che l’oggetto è un teschio, un cranio umano deformato da quel tipo di illusione ottica che va sotto il nome dell’anamorfosi. Holbein sembra dunque ricordarci il nostro destino mortale, ingannevolmente velato dalla baldanza e dal potere temporale.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/88/Hans_Holbein_the_Younger_-_The_Ambassadors_-_Google_Art_Project.jpg

Byung-Chul Han afferma che la nostra società, la società della trasparenza, trova nel digitale una crescente intensificazione narcisistica della percezione tanto da far scomparire quel punto, in grado di spezzare l’omogeneità del rispecchiamento. Una posizione che richiama quella del filosofo Guy Debord che ne “La società dello spettacolo” sosteneva il prevalere della rappresentazione sul vissuto: esiste ciò che si rap-presenta, si presenta al posto del vissuto. Lo spettacolo costituisce perciò l’ideologia per eccellenza in quanto impoverisce, asservisce e nega la vita stessa, la vita reale.

Al cuore della lettura di Debord si situa il concetto marxiano di feticismo delle merci, di cui la spettacolarizzazione ne costituisce una nuova forma: nello spettacolo appare riconoscibile la merce stessa, che appare come qualcosa di triviale e di evidente, mentre si dimostra in effetti complessa e colma di sottigliezze metafisiche. Lo spettacolo diviene il momento emblematico nel quale la merce occupa tutta la vita sociale al punto che, nel mondo, si vede soltanto la merce e si occulta l’essenziale. Indicativi in questi termini erano certi distici di Angelo Silesio, celebre mistico che propugnava il distacco dalle cose materiali e il farsi essenziale in modo niente affatto dissimile da quello di un Meister Eckhart.

Crediamo, tuttavia, che rimanga sempre operante uno iato fra l’intenzione visiva e il campo di un inconscio reale del quale mai saremo padroni, di un inconscio reale che attiene all’essenziale cuore del soggetto. Ci sembra impossibile richiudere, ricucire, suturare completamente questa fondamentale divisione umana in quanto ci sarà sempre qualcosa che scapperà fuori, qualcosa che sfuggirà: questo qualcosa proviene dal nostro inconscio e dalla nostra vita pulsionale.

In secondo luogo, ci associamo alla linea sostenuta da molti colleghi quanto alla differenza fra un percorso di psicoanalisi svolto esclusivamente online e uno che affianca le sedute in studio con quelle svolte da remoto, avendo la prospettiva di giungere a incontrarsi nello stesso spazio oltre che nello stesso tempo, quando le condizioni abitative e sanitarie lo permetteranno.

Questa accezione della cura, potenzialmente affrontabile da tutti, riduce più francamente un’atmosfera che denegherebbe l’essenziale per l’essere umano, evidentemente più manifesto attraverso l’esperienza di appuntamenti nei quali i corpi di paziente e analisti si incontrano e confrontano. In questi casi, i percorsi online costituiscono sovente un preliminare all’analisi o una tranche specifica di una più ampia traiettoria analitica.

Non è impossibile determinare degli effetti clinici benefici anche in un trattamento compiuto soltanto attraverso delle piattaforme per le videochiamate; tuttavia, vedersi davanti a uno schermo riduce le occasioni di operare sul rapporto soggettivo con lo spazio, con le proprie sensazioni e con il proprio corpo. Nelle cure online, il corpo è in qualche modo il grande assente. Questo richiede uno sforzo ulteriore per riuscire a mettersi in contatto nel corso della seduta con le proprie emozioni, con i propri vissuti, con i propri stati affettivi. Si tratta di un ostacolo ma di un ostacolo che non risulta comunque insuperabile.

Sicuramente la pratica della psicanalisi diventa più agevole quando gli elementi, spesso ignorati e significativi, emersi nella seduta online vengono riportati in un successivo appuntamento nello studio dell’analista. Dirne anche nell’intimità di una stanza, nel momento dell’incontro con l’analista, corrobora il valore di quanto già rivelato in videochiamata.

In questi termini, nulla vieta di svolgere un completo percorso psicoanalitico che includa delle sedute svolte da remoto, che risultano talora molto importanti sia per far avvertire la presenza dell’analista in momenti di crisi umana o di allerta sociosanitaria sia per giungere a toccare delle questioni e delle problematiche intime, ardue da aprire e sviscerare. In alcuni casi, certi punti di svolta delle esperienze di cura non potrebbero avvenire senza un certo distanziamento che permette, non senza una quota di disinibizione, di approssimarsi a snodi decisivi e spesso dolorosi della propria storia e della propria esistenza.

L’efficacia di un’esperienza psicoanalitica dipende soltanto in via secondaria dal setting, per dirla con i termini di un autore stimabilissimo come Winnicott, per quanto si dimostri appunto spesso importante la regolarità degli appuntamenti e la stabilità del contesto in cui si svolgono le sedute: dipende soprattutto dalla capacità etica dell’analista, conseguita nella traiettoria analitica personale, di facilitare la messa al lavoro del paziente verso l’attraversamento dei propri sintomi e dei punti di cristallizzazione del proprio inconscio.

Come curare il corpo nelle sedute online?

Giovanni Stanghellini, psichiatra che insegna “Psicologia dinamica” all’Università di Chieti-Pescara e che dirige la scuola di Psicoterapia fenomenologico-dinamica di Firenze, nel suo recentissimo libro “Selfie. Sentirsi nello sguardo dell’altro” (Feltrinelli, Milano, 2020), elenca quattro accezioni della questione del corpo: l’esperienza diretta e immediata del nostro corpo, ovvero il sentirlo come propria carne nella caoticità informe e vitale della pura sensazione; la prospettiva del corpo visto dall’esterno, riflesso allo specchio, in una fotografia o in un selfie; il corpo sentito e vissuto attraverso lo sguardo altrui, che trova forma e identità tramite il riconoscimento visivo degli altri. La quarta accezione del corpo, sulla scia delle celebri pagine de “L’essere e il nulla” di Sartre, sta nell’essere-un-corpo-per-l’altro, il  proprio corpo come un oggetto sottoposto allo sguardo dell’altro che diviene una sorta di protesi ottica dell’essere umano: l’esempio psicopatologico più eclatante del funzionamento di questa quarta dimensione sta nell’anoressia.

In effetti, la sistematizzazione teorica di Stanghellini rievoca i tre modi di leggere il corpo proposti da Jacques Lacan nella sua intervista del 1974 alla televisione belga, a proposito della differenza fra il corpo e l’organismo. Anche Lacan parla del corpo reale come carne, del corpo in quanto tale a livello immaginario e infine del corpo come cadavere a livello del corpo simbolico, il cui prototipo nella psicoanalisi è fornito dal padre morto: la salma della persona cara defunta funge da fondamentale organizzatore dell’ordine simbolico in quanto agisce “in absentia”, come se fosse presente. Il corpo come carne deriva dal filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, che traduceva la distinzione tipica della fenomenologia, e specialmente di Husserl, fra “Lieb” (corpo vissuto) e “Korper” (corpo oggettivato): Merleau-Ponty ha riletto il “Lieb” non soltanto come corpo vissuto ma corpo vivente, come carne del mondo.

Stanghellini giunge a scrivere più volte di una visione pornografica del Sé, dove il sentire e il piacere passano attraverso il vedere i corpi in azione, riflessi come in uno specchio, anziché percepire immediatamente il proprio corpo. Non è in effetti molto diverso da quanto scriveva uno dei maggiori esponenti della Scuola di Francoforte, Herbert Marcuse, nel suo celebre “L’uomo a una dimensione“, a proposito di una certa realizzazione dell’immaginario che accompagna il progresso tecnologico. Già lo stesso Pirandello sottolineava la prevalenza dell’apparire sull’essere, ancor prima riscontrata da Feuerbach in un allontanamento dal vissuto reale in favore di una rappresentazione immaginaria.

Dinanzi a questa immensa odierna estensione della specularità che costituisce, secondo Lacan, una forma di passione suicidaria esemplificata dal mito di Narciso che muore cercando invano di abbracciare la propria immagine di cui si era innamorato, riflessa nelle acque, alcuni sostengono si tratti di stemperare questa fascinazione immaginaria, alludendo a ciò che sta oltre. Certi colleghi optano allora per eliminare l’immagine del video nelle sedute online come modo per introdurre un elemento che va oltre il piano del visibile, per ritagliare un buco nel cuore dell’immagine riflessa allo schermo e indicare un livello ulteriore, invisibile, inconscio. Trovo che sia superfluo. Anche nel caso delle analisi condotte nello studio ci si astiene dal contatto diretto con il corpo, a differenza di quanto avviene in una seduta di fisioterapia oppure nella maggior parte delle pratiche di cura nella clinica medica. Senza dubbio, nelle sedute online vi è comunque una difficoltà in più a sollecitare il corpo a livello emotivo e affettivo. Non è vero però che i dispositivi digitali impediscano alla parola di incidere sul corpo e di sollevare delle risonanze emotive oppure di compiere dei tagli fondamentali sui modi di godimento del soggetto.

Non c’è bisogno di essere altamente eretici per approcciarsi all’online in quanto a livello epistemico non vengono messi in discussione i cardini principali della psicoanalisi, basati sull’ascolto del paziente e sulla funzione della parola e sul campo del linguaggio. Come sosteneva Jacques Lacan sin dagli anni Cinquanta, a proposito della cibernetica, sia nella psicoanalisi che nel digitale si tratta di cifre che si alternano in modo binario. L’alternarsi di zero e di uno del codice binario risulta situabile sull’asse del linguaggio come l’alternarsi del significante a un significante che vi si oppone (brutto implica non bello, alto vuol dire non basso, magro sta a dire non grasso) nella pratica della psicoanalisi.

Giuseppe Craparo scrive di non dare per scontato nelle sedute online le sensazioni provate a livello corporeo. In una seduta in studio, nella quale si vede il corpo nella sua totalità, si nota subito qualcosa di significativo e di sintomatico (un tremore delle gambe, un arrossire, un crampo allo stomaco, un impellente bisogno di andare in bagno, una colica, un momento di vertigine, un dolore alla testa); dunque, qualora non lo facesse spontaneamente il paziente, l’analista lo potrebbe facilmente sottolineare sia a parole sia con un semplice rivolgere lo sguardo verso quanto avviene nel corpo e soprattutto in certe specifiche parti del corpo. Negli incontri online, gli eventi di corpo rischiano invece di passare sotto silenzio, di rimanere inavvertiti, di restare incastrati a un livello non soggettivato, disincarnato. Per questo, Craparo consiglia di puntualizzare i vissuti corporei interrogando il paziente in modo molto semplice, chiedendogli “Come si sente?” oppure “Cosa sente?”. Rivolgere l’attenzione al proprio corpo nella seduta online, permette al paziente di cominciare a dare forma alle emozioni esperite, alla propria tonalità affettiva, incrementando l’esperienza di abitare il proprio corpo.

In un’intervista pubblicata sul “L’Avvenire”, la nota collega parigina Marie-Hélène Brousse puntualizza come il compito dell’analista nelle sedute da remoto sia quello di concentrarsi su ogni singola parola pronunciata dal paziente, senza trascurarne nessuna affinchè un’interpretazione sia efficace per il soggetto e vada a incidere sulle pulsioni corporee in gioco. Lei fa inoltre notare che, proprio in un contesto come il mondo digitale, in cui il corpo non è fisicamente presente, spopolano le figure degli “influencer” volti a orientare i followers, soprattutto i più giovani, nella cura del proprio corpo. Allora sono prodighi di consigli su quali scarpe indossare, su come vestirsi, sui modi per agghindare il corpo quanto alla sua immagine e per rassodarlo quanto alla sua dimensione atletica ponendo sovente la propria fisicità a punto di riferimento o a modello in cui rispecchiarsi.

L’epoca del digitale non è più del resto l’epoca della società liquida in quanto il digitale lascia traccia, lascia una traccia indelebile. La nostra identità diventa sempre più spesso un’identità che si costruisce sul web, anzitutto sui social, comunicando le nostre informazioni anche più intime e private selezionandole in base alle opzioni relative alle informazioni sulla privacy. In un momento di crisi, si cercano dei punti di riferimento solidi.

I tre vertici della psicoanalisi online: immagine, linguaggio e scrittura

L’immagine del corpo, la funzione della parola e il campo del linguaggio, che sia la scrittura in chat o i messaggi prima e dopo la seduta: tre punti che trovano l’anello che li annoda e li fa funzionare insieme proprio nel valore attribuito al dispositivo digitale. Dispositivo che offre una certa padronanza sul campo del linguaggio del quale non siamo e non saremo mai completamente padroni.

Sicuramente il corpo umano, in quanto intriso di linguaggio e di scambi culturali e di legami sociali, va distinto dal puro organismo.

Credo che si tratti di trovare un giusto equilibrio fra il corpo che siamo e il corpo che abbiamo. L’anoressica costituisce spesso una figura del corpo che abbiamo, tanto da far sparire le forme femminili mentre si dedica al piano intellettuale e manageriale. La prostituta diventa un emblema dell’essere un corpo in quanto si pone come oggetto corporeo, esposto allo sguardo e al godimento altrui, tralasciando in larga misura la propria soggettività disgiunta dal corpo.

La pratica della psicoanalisi tramite le sedute da remoto dimostra che non è del tutto impossibile arrivare al corpo pulsionale, al corpo come carne. Come scrive Stanghellini, mentre ciò che chiamiamo carne è soggetto auto-sentito, ciò che chiamiamo corpo è oggetto etero-percepito, ovvero oggetto dello sguardo altrui.

Ogni appuntamento online dovrebbe puntare a far emergere il soggetto, il soggetto che si smarca dalla posizione di oggetto e che rintraccia la propria soggettività scoprendo quello che abbiamo descritto come carne. Essere carne che sente se stessa ed essere corpo sotto lo sguardo altrui stanno in un rapporto dialettico: non si potrà mai diventare soltanto carne e sparire come corpo né tantomeno assurgere a mero corpo disincarnato. Anche negli incontri di psicoanalisi online, si avvertono sensazioni significative a livello corporeo nel momento in cui si parla di determinati argomenti, mentre si raccontano sogni molto intimi, come effetto di certe interpretazioni dell’analista. Anche in occasione degli appuntamenti online, si gioca una dialettica che suscita l’emergere del bisogno a livello corporeo, che articola il bisogno stesso in forma di domanda, che lascia trapelare il desiderio.

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