A circa tre anni e mezzo dall’inizio della pandemia di Covid-19, dopo la dichiarazione ufficiale di fine dell’emergenza sanitaria mondiale, abbiamo modo di fare un primo punto della situazione a proposito della diffusione della pratica della psicoanalisi online.
Si è esponenzialmente diffusa nel corso del 2020, l’anno del coronavirus; ora, pur ridimensionata, non vi sono accenni di un ritorno allo stato anteriore quando si utilizzava raramente.
La psicoanalisi online, prima della pandemia
Già prima della pandemia, Internet non era affatto un luogo estraneo alla pratica della psicoanalisi. Navigare online sui motori di ricerca per trovare clinici esperti di certe problematiche, di specifici sintomi costituiva una prassi già molto comune: in un’epoca nella quale si attribuisce un sapere al web, in quanto luogo nel quale si dimostra possibile rintracciare qualunque cosa, pare scontato affidarsi alla Rete per trovare il professionista adatto.
Frequenti risultavano anche le ricerche sulla vita privata dell’analista ed era dunque normalissimo sceglierlo dopo essersi informati anzitutto tramite i social sul suo curriculum di studi ma pure su città di provenienza, stato civile, gusti musicali, film e sport preferiti, luoghi delle sue vacanze, sul suo orientamento sessuale, sul fatto che avesse o no dei figli. D’altro canto, inviare una mail per domandare un appuntamento descrivendo alcune proprie difficoltà soggettive stava già soppiantando la telefonata come veicolo di primo contatto con un analista.
Richieste di svolgere un intero trattamento online, fino al 2019, non erano rarissime ma risultavano comunque una minoranza. La piattaforma più utilizzata era di gran lunga Skype. Prima dell’accelerazione indotta dall’evento coronavirus, giungevano mail con richieste di trattamento su Skype soprattutto da tre categorie di persone: i cosiddetti expat, gli hikikomori e soggetti con attacchi di panico.
Chi sono gli expat
Con la parola expat vengono indicati gli italiani espatriati, per ragioni di lavoro o di studio. Talvolta non riescono a trovare clinici di lingua italiana nei loro nuovi territori. Capitava soprattutto di leggere tali richieste da parte di persone inizialmente ricevute nei propri studi, nell’ambito di un percorso di cura più tradizionale, le quali intendevano proseguire tale trattamento senza doverlo interrompere né tantomeno ricominciare daccapo in una lingua straniera. A volte, si trattava di persone domiciliate in località malagevoli dalle quali risultava arduo raggiungere un analista e impossibile rintracciarne uno che conoscesse la lingua italiana.
Il fenomeno degli hikikomori
Hikikomori è un termine coniato da clinici giapponesi e messo a tema dallo psichiatra Tamaki Saitò il quale pubblicò un libro dal titolo omonimo nel 1998. Si tratta di adolescenti e giovani che manifestano forme estreme di ritiro sociale: stanno chiusi in casa, persino senza uscire dalla propria camera, per mesi o per anni. Si tratta di situazioni molto diffuse in Giappone, dove diverse ricerche sostengono siano centinaia di migliaia, ma talvolta si ritrovano anche in Europa. Si pone il problema di distinguerli da chi ha una fobia sociale, una fobia scolare, forme severe di depressione o attacchi di panico: la differenza cruciale sta nell’egosintonicità della condotta degli hikikomori i quali scelgono volontariamente di recludersi in casa mentre gli altri vorrebbero uscire ma vengono bloccati dalle loro paure, dalla carenza di energie e dai loro disturbi corporei. L’unico modo di instaurare una relazione clinica con soggetti confinati volontariamente in casa come gli hikikomori, i quali sovente rifiutano persino le visite al loro domicilio, era dunque incontrarli almeno inizialmente online.
I soggetti con attacchi di panico
Negli attacchi di panico le domande di terapia in videochiamata si affiancavano a volte con quelle di svolgere sedute telefoniche. A differenza degli hikikomori, si tratta di soggetti caratterizzati da un’improcrastinabile domanda di cura, da un’impellente richiesta d’aiuto. Non a caso, si rivolgono sovente a contesti clinici d’urgenza quali il Pronto Soccorso dell’Ospedale più vicino a casa oppure il proprio medico di base in quanto soffrono di svenimenti e, soprattutto, hanno l’impressione di subire una crisi cardiaca e di stare per morire d’infarto. Una volta ricevuta la diagnosi di attacchi di panico, pur lievemente rassicurati, vorrebbero ricominciare la loro esistenza come in precedenza ma sprofondano nel terrore di sperimentare di nuovo sensazioni altrettanto drammatiche. Dunque, si rintanano via via sempre più, sino a rifugiarsi sempre nel proprio domicilio.
Già prima del lockdown, chiedevano allora ripetutamente di iniziare il trattamento online per poi compiere l’atto di venire nei nostri studi una volta ottenuti dei miglioramenti; lo facevano con molta inquietudine, scrivendoci una mail prima di uscire dalla propria abitazione e soprattutto effettuando una chiamata telefonica per venire in un certo qual modo da noi accompagnati in questo tragitto. Di solito, tale modalità si dimostrava efficace e risultava d’aiuto per risolvere questo loro terrore.
I percorsi analitici con soggetti sofferenti per gli attacchi di panico tendono a determinare benefici, effetti terapeutici, riduzione delle proprie paure e apertura di opportunità inedite con margini di manovra ampliati.
Traevano giovamento dall’utilizzo del digitale anche persone con disturbi dello spettro autistico. La relazione educativa e i percorsi clinici vengono infatti facilitati da elementi impersonali come quelli per la comunicazione scritta o come gli assistenti vocali. Questi strumenti svolgono una funzione di protezione da relazioni inquietanti e persecutorie permettendo una comunicazione indiretta, filtrata dai dispositivi digitali. Ne scrivemmo, prima del lockdown, in un pezzo intitolato Digitale amico dell’autismo.
Lockdown e coprifuoco
Durante il lockdown, nella primavera del 2020, abbiamo tutti assistito a un’enorme diffusione delle videochiamate. L’espansione di questo strumento digitale si è perciò ritrovato anche nel divenire comune delle sedute svolte online. La pratica clinica venne spostata quasi completamente a distanza, persino da alcuni che avevano in precedenza un atteggiamento scettico quando non addirittura ostile nei confronti dei dispositivi digitali, dinanzi al rischio di contrarre forme gravi o persino letali del Covid.
Piattaforme meno note di Skype come Google Meet, Whereby e soprattutto Zoom sono entrate nella vita di tutti noi; alcuni hanno preferito affidarsi alle già note videochiamate su Whatsapp. In ogni caso, le sedute svolte dinanzi a uno schermo sono diventate una prassi frequente per la maggior parte dei clinici.
Dopo la parentesi della pandemia nell’estate del 2020, numerose persone hanno preferito proseguire con le sedute online per paura del contagio nell’autunno e nell’inverno seguenti contraddistinti da didattica scolastica e universitaria a distanza, da zone arancioni e rosse, dal coprifuoco serale, dal divieto di spostarsi fuori regione. Si è così corroborata l’esperienza clinica online: ne hanno tratto beneficio tanti pazienti; d’altro canto, anche molti psicoanalisti hanno maturato una sorta di upgrade in questo settore.
La psicoanalisi online è comunque psicoanalisi
Alcuni colleghi hanno preso posizione sull’argomento sostenendo una tesi molto chiara: la psicoanalisi online è comunque psicoanalisi e il cambiamento del contesto nel quale si svolgono le sedute lascia inalterato il lavoro dell’inconscio. La maggior parte degli psicoanalisti ha sollevato invece alcuni dubbi relativi all’assenza del corpo nel caso delle sedute effettuate da remoto: in una videochiamata sono regolarmente in gioco la componente visiva e quella uditiva, si parla e si ascolta, si raccontano sogni, avvengono lapsus e vi è dunque materiale inconscio; tuttavia, risultano esclusi gli altri tre sensi. Ovviamente non è in gioco il gusto; viene a mancare il contatto, qualcosa del tatto, essendo impossibile una stretta di mano o un abbraccio fra analista e paziente; risulta assente l’olfatto, di cui Freud sottolineava l’importanza anzitutto nei casi di nevrosi ossessiva. Noi riscontriamo come ulteriore limite nelle sedute effettuate in videochiamata il fatto che, di solito, le persone si presentano a mezzobusto: viene così nascosta la parte del corpo più pulsionale, come se venissero privilegiati il volto e la testa vale a dire la componente maggiormente intellettuale. Accantonare un concetto fondamentale della psicoanalisi come la pulsione rende probabilmente meno analitica questa esperienza. Lo psicoanalista francese Jacques-Alain Miller ha parlato di psicoterapia online anziché di psicoanalisi online e diversi colleghi credono sia più giusto considerare questi percorsi come delle psicoterapie, eventualmente di orientamento psicoanalitico, anziché come delle vere e proprie analisi.
Le organizzazioni per psicoterapia online
Con il miglioramento della situazione sanitaria, quando il Covid si è manifestato con sintomi lievi anziché letali, è andata via via riducendosi la percentuale di attività clinica svolta online. Quasi tutti i pazienti sono tornati a frequentare i nostri studi e le istituzioni nelle quali operiamo; le nuove richieste di appuntamento risultano più relative a trattamenti in forma presenziale e meno a sedute da remoto. Queste ultime non sono tuttavia tornate alle cifre esigue di prima del lockdown. L’evento pandemico ha accelerato un processo di digitalizzazione del mondo e dunque anche della pratica clinica; ormai è impossibile e forse non sarebbe neppure auspicabile fare ritorno alla situazione antecedente. Un dato appare del tutto evidente e altamente significativo: l’enorme incremento dell’attività delle organizzazioni volte alle sedute online. Si pensi anzitutto all’ormai celebre UnoBravo ma anche a ContacTu, a Serenis, a Psicologo 4U, a Psicodigitale, giusto per citarne qualcuna. Sul sito di queste organizzazioni, viene proposto subito un questionario conoscitivo: il potenziale utente può indicare se gradisce incontrare uno psicologo o uno psicoterapeuta, un uomo o una donna, può designare la fascia d’età del clinico e il tipo di aspettativa che ripone nel trattamento sulla scorta di propri sintomi o esigenze particolari; in base a queste informazioni, avviene l’abbinamento paziente – clinico con la proposta di un primo appuntamento che può eventualmente evolversi in un regolare percorso di cura.
Unobravo
Scendendo più nel dettaglio, Unobravo è un’organizzazione dal nome giocoso fondata nel 2019, prima della pandemia, dalla giovanissima psicologa clinica Danila De Stefano, anch’ella espatriata dalla Campania all’Inghilterra. In appena tre anni, è divenuta la piattaforma più nota per i servizi di psicologia online. La loro équipe è ormai costituita da circa 3.500 psicologi e psicoterapeuti, che vengono selezionati dopo un colloquio di lavoro svolto appunto online, con una percentuale femminile del 93%. Sul loro sito viene riportato il numero di 1.600.000 sedute di psicoterapia effettuate. Unobravo è senza dubbio una fra le maggiori start-up italiane degli ultimi anni e sta iniziando a diffondersi anche in Spagna.
Le suddette organizzazioni hanno ricevuto anche delle critiche ma soprattutto per gli aspetti economici e strutturali dell’azienda e molto meno per il metodo di lavoro da remoto. Svariati colleghi non gradiscono gli standard che ogni organizzazione e istituzione implica; preferiscono lavorare, anche online, ma autonomamente e senza dipendere da marchi che procacciano pazienti ma trattengono anche una quota dell’onorario. In fondo, sollevano delle obiezioni analoghe a quelle dei liberi professionisti che non amano lavorare in istituzioni pubbliche o private come consultori, ospedali, comunità per tossicodipendenti, scuole, reparti psichiatrici, servizi per la tutela dei minori e si trovano invece a proprio agio negli studi privati.
Conclusioni
Ci troviamo nell’impossibilità di tornare in toto alle modalità cliniche dell’epoca che precedette la pandemia. In una società sempre più digitalizzata, cambiano talvolta anche alcuni elementi della pratica della psicoanalisi: le sedute online sono ormai sdoganate e diffuse sia attraverso organizzazioni che si occupano appositamente ed esclusivamente di questo tipo di metodo sia da parte dei singoli liberi professionisti.
Sarebbe errato tralasciare il fatto che è tuttora aperto il dibattito sullo statuto di questo tipo di trattamento; mentre alcuni sostengono che la psicoanalisi online sia psicoanalisi a tutti gli effetti, altri credono sia più giusto considerare questi percorsi come delle psicoterapie, eventualmente di orientamento psicoanalitico, anziché come delle vere e proprie analisi. In quest’ultimo tipo di lettura della situazione, si considera che tali esperienze online siano piuttosto un preliminare all’analisi che andrà svolta, a tempo debito, offline.