Lo sviluppo di app nell’ambito della sanità digitale (cosiddetti mobile Health o m-Health) rappresenta uno dei settori più attivi e promettenti dell’intero comparto dell’innovazione tecnologica.
Il principio del mobile first, infatti, facendo leva sulla pervasiva quanto capillare diffusione di device portatili, consente di sfruttare al meglio tutte le potenzialità della digitalizzazione anche in sanità, settore, come noto, che più di tutti necessiterebbe di soluzioni appropriate per lenire quei mali cronici che la affliggono.
Ovviamente ciò non significa che le app possono risolvere tutti i problemi della sanità, frutto di decenni di sprechi e logiche difficilmente comprensibili, ma, se adeguatamente sviluppate ed utilizzate, con un approccio rispettoso del principio user-centered, legato alle attuali tematiche dell’IoT e dell’Intelligenza Artificiale, possono contribuire in maniera significativa all’aumento delle performance, non solo diagnostiche e terapeutiche, bensì anche organizzative ed economiche del sistema sanitario nel suo complesso.
E ciò, altresì, in considerazione della sempre maggiore familiarità e dimestichezza con cui gli utenti-pazienti si relazionano con la tecnologia, rendendo quel gap, noto come digital divide, tendenzialmente più marginale.
Del resto, secondo una ricerca datata 2016 della società tedesca Reserarch2guidance, specializzata nel settore, l’integrazione di app m-Health nel sistema sanitario continuerà ad evolversi, sia pur lentamente nei prossimi cinque anni, soprattutto attraverso il canale distributivo degli app stores.
Il canale di distribuzione è sicuramente uno degli aspetti più importanti per decretare il successo o meno di una app per dispositivi mobili ma, di certo, non è l’unico.
Nel comparto sanitario, soprattutto pubblico, ci sono altri canali che, per la capillare diffusione, potrebbero essere molto più efficaci.
Il riferimento è alle strutture sanitarie pubbliche e private ed ai MMG/PLS che dovrebbero iniziare ad essere sensibilizzati sull’importanza dell’utilizzo di app m-Health per la soluzione di specifiche problematiche e a proporle ai propri pazienti-utenti, magari supportati in ciò anche da informatori scientifici “3.0” che, oltre ai soliti prodotti, promuovano app sanitarie sviluppate dalle case farmaceutiche, magari certificate come dispositivi medici, ai sensi della normativa.
Ad esempio, app che consentano un contatto successivo al ricovero o che ricordino al paziente dimesso le terapie e le prescrizioni rilasciate in sede di dimissioni o di visite.
Per non parlare di quella sempre più ambita tipologia di app (web o nativa) di teleconsulto, da molti medici ritenuto un grande strumento di alta comunicazione con i pazienti, in grado di rivoluzionare e cambiare in meglio il rapporto con il paziente, verso quella che è chiamata p-Health (personal Health).
Un altro strumento di fondamentale importanza, ma del tutto sottovalutato nella sua già precaria diffusione a macchia di leopardo nelle regioni e province autonome italiane, sarebbe l’integrazione di tali app con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), strumento ormai destinato ad essere superato prima ancora di aver potuto dimostrare tutte le sue reali potenzialità.
E, quindi, quale migliore occasione di rilanciare il FSE se non eliminando questa sua incomprensibile chiusura, rendendolo accessibile (in maniera ovviamente sicura) alle app per mobile, e, pertanto, più accessibile e fruibile attraverso tecnologie e strumenti di uso ormai largamente comune e generalizzato.
Altrettanto importante sarebbe integrare i sistemi di pagamento elettronico, peraltro ormai vero e proprio diritto del cittadino-paziente, sancito dall’art. 5 del Codice dell’Amministrazione Digitale, soprattutto nella recente riforma dello stesso, operata con il D. L.vo 179/16.
La possibilità, ad esempio, di poter concludere la consueta transazione relativa alla prenotazione visita-pagamento ticket-ricevimento certificato/referto in un unico luogo virtuale, ma così reale da essere sempre nel palmo della nostra mano (o al massimo in tasca o nella borsa), sarebbe una vera killer application per sbloccare l’uso del digitale nella sanità.
Sarebbe, dunque, necessario che la consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini-pazienti arrivi ad essere essa stessa la spinta essenziale per “convincere” l’amministrazione sanitaria a mettere in atto tutte le iniziative più idonee per rendere effettivo e concreto tale diritto, anche nell’ottica del completamento della tutela del primario diritto alla salute che passa, fondamentalmente, dall’art. 32 della Costituzione.
Recentissimamente, peraltro, esso è stato rafforzato dalla L. 24/2017 (recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”), il cui art. 1, intitolato “Sicurezza delle cure in sanità”, recita proprio “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. 2. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative”.
Come, inoltre, non citare quella che possiamo definire una sorta di occasione sprecata con la pubblicazione dei nuovi L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza) ad opera del D.P.C.M 12 gennaio 2017, nel quale si sarebbe potuto dare molto più spazio alla innovazione ed alla digitalizzazione.
Prevedibilmente, quindi, il mercato della sanità digitale, soprattutto nel mobile, ma non solo, sarà guidato, in via prevalente, dalle preferenze degli utenti-pazienti, vera massa critica del settore, le cui scelte dovrebbero essere opportunamente incanalate, da importanti e lungimiranti decisioni strategiche degli stakeholders pubblici e privati, verso idonee soluzioni di sanità digitale, ormai irrinunciabili per il reale perseguimento di tangibili obiettivi di performance.