Mentre navighiamo e interagiamo con i social, siamo esposti a scatti molto spesso ricercati e a fotografie modificate dall’app attraverso dei filtri che non ritraggono accuratamente il proprio aspetto genuino. Le immagini modificate digitalmente creano una disgiunzione tra il proprio corpo e l’idea che si ha di sé, producendo quella che è definita “dismorfia digitale”, basata sugli standard di bellezza filtrati dai social media.
L’immagine digitale viene costruita alterando parti di sé apparentemente indesiderabili mediante la modifica e la correzione dell’aspetto virtuale di un individuo. Questa tipologia di dismorfia si trova all’interno dello spettro del BDD, Disturbo da dismorfismo corporeo (DSM 5), ed ha una natura digitale condizionata socialmente, modellata dalle pressioni della società e realizzata basandosi proprio sui canoni di bellezza presenti nell’ambiente digitale, con l’obiettivo di raggiungere questi standard in forma di immagine (Coy-Dibley, 2016).
Nei casi più gravi l’individuo che ne è soggetto sperimenta una significativa ansia per il proprio aspetto al punto da sviluppare abitudini e routine ossessive, spesso compulsive, come pulirsi continuamente, controllarsi incessantemente allo specchio e mimetizzare la zona del corpo “incriminata” con trucco o vestiti, specialmente in pubblico (Philips, 1998).
Gli utenti utilizzano spesso la tecnologia e i selfie per superare quest’ansia legata alla parte di loro che non accettano, cercando di ottenere quell’approvazione, che non trovano internamente, all’esterno, dagli utenti online (Coy-Dibley, 2016). Quindi, chi possiede una bassa autostima tende ad essere maggiormente coinvolto in questa tendenza comportamentale (Varnali, 2015).
Quanto tempo passiamo sui social network
Il “Digital 2022: Global Overview Report” riporta come la popolazione mondiale arrivi a passare ben 2 ore e 27 minuti al giorno sui social network[1]. Facebook rimane il social network più utilizzato: la sua piattaforma e quella di Instagram sono visitate su base giornaliera da almeno il 50% dei loro utenti (Smith e Anderson, 2018). Su base mensile invece la percentuale di Instagram aumenta fino al 97%.
Quanto riportato ci dimostra come i social network, grazie al loro crescente utilizzo, siano diventati entità così irrinunciabili nella nostra vita, capaci di influenzare anche il funzionamento dei nostri meccanismi psicologici evoluti.
Le possibili conseguenze che i social network possono avere nella vita reale dei loro utenti hanno destato una notevole attenzione da parte della ricerca, soprattutto sugli effetti che il loro utilizzo può esercitare sull’autostima di chi li usa. (Kim et al., 2009; Morrison e Gore, 2010; Nabi et al., 2013; Neira e Barber, 2014).
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Social network e autostima: la teoria del confronto sociale
Secondo la teoria del confronto sociale, le persone hanno una tendenza innata a confrontarsi con gli altri (Festinger, 1954). Due sono le tipologie di confronto, ovvero il raffronto verso l’alto e quello verso il basso.
Il confronto sociale verso l’alto si verifica quando le persone si confrontano con altri che sono migliori di loro; sebbene tale paragone sociale motivi le persone a diventare più simili al loro obiettivo, ciò provoca anche insoddisfazione e abbassa l’autostima (Emmons e Diener, 1985; Taylor e Lobel, 1989; Wheeler e Miyake, 1992).
Il confronto sociale al ribasso scaturisce al contrario quando le persone si paragonano con gli altri che stanno peggio di loro e tale confronto spesso porta a un’autovalutazione più positiva e a un umore migliorato (Wills, 1981; Pyszczynski et al., 1985).
Nei social le persone sono altamente selettive su ciò che decidono di presentare. Ciò che viene caricato ritrae sovente “aspetti perfetti” della loro vita come successi personali o fotografie gratificanti (Siibak, 2009; Mendelson e Papacharissi, 2010; Gonzales and Hancock, 2011). Le persone tendono a presentarsi positivamente sui social media caricando contenuti che rappresentano al meglio il loro sé ideale (Rosenberg e Egbert, 2011; Vogel e Rose, 2016), o una versione di se stessi che credono piacerà di più alle altre persone (Madden e Smith, 2010). Ciò che ne risulta è l’aumento di profili personali in cui si vive una vita felice e perfetta.
Grandi reti di “amici” e disadattamento sociale
Le piattaforme di social network consentono ai membri registrati di cercare con facilità altri utenti, sfogliando i loro profili e facendo facilmente amicizia con loro (Blease, 2015).
Questa nuova modalità contribuisce alla creazione di grandi reti di “amici” che comprendono, oltre alle persone con cui sono effettivamente amici nella vita reale, anche persone che non sono amici intimi e persone che non hanno mai incontrato.
Tuttavia, gli esseri umani si sono evoluti per gestire solo un numero limitato di relazioni (Dunbar, 1998). Ciò introduce una situazione di disadattamento (Li et al., 2018), che comporta importanti implicazioni anche per i meccanismi psicologici che governano il confronto sociale.
Anche in questo caso, l’esposizione alla vita “perfetta” degli altri sui social media si traduce in una perdita di autostima. Un recente studio ha però dimostrato che l’utilizzo dei social media era associato a una minore autostima soltanto quando le dimensioni della rete social rientrava entro un range di 150 individui (Lim A.J. et al., 2021).
Adolescenza, autoverifica e ricerca del like
Secondo la teoria dell’autoverifica (Swann, 1983), i selfie sono usati per ricevere commenti positivi e “likes” all’interno di un processo di costante ricerca di valutazioni altrui, portando inevitabilmente ad un’affettività depressa, poiché l’origine di questi comportamenti è associata ad eventi di vita particolarmente stressanti, legati a difficoltà di elaborazione emotiva (Khanna e Sharma, 2017).
Questo tipo di comportamento è comune tra gli adolescenti che sono turbati dall’idea di difetti e imperfezioni nei loro corpi e nei loro volti. Nello studio “Rising dysmorphia among adolescents: a cause for concern”, Himanshu e collaboratori (2020) hanno condotto uno studio su 186 partecipanti attivi, con un’età media di 16 anni tramite l’ausilio di interviste semi strutturate e di questionari relativi alle caratteristiche del corpo.
Gli intervistati sono stati interrogati sulla percezione che hanno di alcuni tratti del proprio corpo come brutti o poco attraenti e sul modo in cui ciò ostacolava le loro dinamiche sociali durante riunioni di famiglia o feste. Lo studio qualitativo e quantitativo ha confermato come il sesso femminile si preoccupi maggiormente di alcuni aspetti quali i peli del viso, la carnagione, l’altezza e la presenza di grasso corporea. Al contrario, la controparte maschile, si focalizza su aspetti quali l’altezza, acne, diradamento dei capelli e peso.
Cosa sono la dismorfia da selfie e da Zoom
Queste nuove forme di insoddisfazione del corpo quando sono legate a video o foto sono conosciute come “selfie dysmorphia”, “Snapchat dysmorphia”, espressione coniata per la prima volta nel 2015 da Tijion Esho, noto medico britannico famoso per la medicina estetica, dopo essere venuto a conoscenza del fatto che un numero crescente di pazienti portava selfie pesantemente modificati con i filtri di Snapchat ai loro appuntamenti di consultazione anziché foto di celebrità.
Quando il disagio inerente alla propria immagine appare durante una videochiamata ci si riferisce all’espressione “Zoom dysmorphia” (Ramphul e Mejias, 2018). Diventate la principale forma di comunicazione durante la pandemia, anche i servizi di videochiamata offrono la possibilità di editare il proprio aspetto con dei filtri (Pfund et al, 2020).
La dismorfia da Zoom è un tipo di dismorfia facciale in cui l’attenzione selettiva della persona è concentrata su alcuni aspetti del viso come ad esempio il naso, i denti o le orecchie.
Uno studio (Pikos, Buzwell, Sharp, Rossel, 2021) ha valutato i comportamenti di utilizzo del video nella popolazione generale durante la pandemia di Covid-19 nel loro rapporto con l’insoddisfazione per l’aspetto e l’interesse per la bellezza.
Sono stati notati molteplici aspetti dell’utilizzo del video, incluso il coinvolgimento nelle tecniche di manipolazione video (ad es. posizionare la fotocamera o se stessi per mostrare le loro migliori angolazioni sul video) per migliorare l’aspetto e la focalizzazione dell’attenzione visiva durante le videochiamate, ma basate su video i problemi di aspetto non prevedevano un maggiore interesse per gli interventi di chirurgia estetica invasiva.
Questa scoperta è coerente con la letteratura sull’elaborazione facciale nel BDD, dove guardando un’immagine del proprio viso e di un altro viso, gli individui con BDD si sono concentrati in modo sproporzionato su sé stessi e sulle loro caratteristiche spiacevoli percepite.
L’attenzione selettiva verso gli aspetti sgradevoli dell’apparenza sembra contribuire allo sviluppo di un’immagine corporea distorta. Queste modulazioni della percezione di sé possono influenzare il senso generale di autostima, provocando reazioni emotive. (Crocker, 2020). Sebbene non appaia nella 5a edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, la dismorfia da Zoom risulta essere un argomento da non sottovalutare, il quale tuttavia necessita di ulteriori studi per verificarne la validità.
Come si cura la dismorfia, on e offline
Come si cura la dismorfia? Qual è la terapia che è possibile applicare in certi casi? Nella fase iniziale può essere eseguita la “psicoeducazione” sulla problematica, che prevede un tipo di formazione rivolta al soggetto per comprendere le caratteristiche del disturbo e le strategie che è possibile adottare.
Successivamente, ci si concentra sugli aspetti cognitivo-comportamentali del BDD, si monitorano i pensieri automatici negativi e si indagano le cause scatenanti per identificare gli errori cognitivi. Lo scopo è quello di mettere in discussione le convinzioni disfunzionali che si hanno sul valore dell’apparenza e incoraggiare attività ricreative alternative più salutari, come coltivare le proprie passioni ed interessi (Khanna e Sharma, 2017).
Ovviamente, i selfie non sono l’origine del problema, per cui non bisogna demonizzare e additare tutti coloro che ne fanno uso. Le dinamiche psicologiche che sottendono sono molto profonde e radicate, agiscono mediante l’uso di queste tecnologie principalmente perché permettono di avere l’accesso su ampia scala a situazioni sociali che nella vita vera hanno una probabilità di accadere infinitesimamente minore.
Per cui, va bene farsi i selfie? Si, ma controllando i pensieri che sono dietro a queste foto. Sentirsi brutti, ogni tanto, è assolutamente normale, non siamo perfetti e va benissimo così. I bias cognitivi e il modello “distorto” di lettura della mente portano a credere a chi soffre di dismorfia, oltre alla convinzione difettosa del proprio aspetto, che gli altri siano particolarmente attenti al loro aspetto fisico e a giudicarli, deriderli o rifiutarli (Philips, 2009).
Come la realtà virtuale può essere usata a scopi terapeutici
Per cercare di correggere queste convinzioni, in sinergia al percorso terapeutico fornito dallo psicologo, si è visto come un notevole contributo lo possa dare la realtà virtuale o VR grazie alla possibilità offerta di correggere i bias di interpretazione. Lo studio “Virtual Reality Body Swapping: A Tool for Modifying the Allocentric Memory of the Body” (2016) pubblicato sulla rivista scientifica “Cyberpsychology, Behaviour, and Social Networking” ha cercato di capire se lo scambio di corpi in realtà virtuale (VR) possa essere uno strumento efficace per modificare la memoria del corpo (Serino, et al., 2016).
I ricercatori hanno raccolto 21 donne e hanno chiesto loro di stimare la larghezza e la circonferenza delle diverse parti del corpo. Dopo aver fornito le loro stime, le donne sono state soggette a due tipi di illusioni di scambio di corpi. Indossavano un visore per la realtà virtuale e quando hanno guardato in basso hanno visto un corpo virtuale magro.
Per valutare quanto fosse efficace questo esperimento, hanno poi chiesto alle donne di rispondere a un questionario sul processo, in cui hanno scoperto che le donne avevano una rappresentazione diversa della loro immagine corporea. Le donne che hanno partecipato a questo studio hanno riportato una diminuzione del rapporto tra le misure corporee stimate e quelle reali del corpo per la maggior parte delle parti del corpo considerate. È stato un primo passo prezioso per comprendere la distorsione e il disturbo dell’immagine corporea nei soggetti con disturbi alimentari e obesità.
Sulla base della teoria del blocco allocentrico (in riferimento al corpo, è la prospettiva in terza persona allo specchio per intenderci), questi risultati forniscono la prima prova che lo scambio di corpi VR è in grado di indurre un cambiamento nella memoria del corpo. Questa conoscenza può essere potenzialmente utile per i pazienti che soffrono di disturbi alimentari e di peso (Serino et al., 2016). La tecnologia della realtà virtuale negli ultimi tempi ha mostrato risultati promettenti non solo nella valutazione, comprensione e trattamento di patologie psichiatriche (Freeman et al., 2017), ma anche in ambito sanitario (Lazzeri e Zara, 2021).
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Bibliografia
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Note
- Dalla loro comparsa avvenuta nel 1997 con l’avvento di SixDegrees, i social network del calibro di Instagram, Facebook o TikTok esercitano oggi un significativo impatto sulla vita di chi li usa. Il termine social network però venne usato tuttavia per la prima volta con Friendster, piattaforma nata nel 2002 e convertita in un social gaming alcuni anni prima della sua chiusura nel 2015.↑