Se ciascuno di noi avesse avuto in casa un visore di realtà virtuale, avremmo vissuto meglio i lockdown, sia psicologicamente che professionalmente. Io, perlomeno, ne sono convinto.
Ci penso da qualche mese, non solo come una delle innumerevoli persone che hanno vissuto una condizione di reclusione forzata dal Covid-19, ma soprattutto come psicologo a contatto con persone con difficoltà e fragilità emotive. Me lo sono chiesto spesso anche come manager, lavorando con diversi gruppi di professionisti disseminati un po’ ovunque.
In molti, ormai, sappiamo che la realtà virtuale è una tecnologia esperienziale in grado di trasportarci percettivamente in ambienti reali o immaginari e di farci sentire come se ci trovassimo effettivamente in quei luoghi.
La maggior parte di coloro che conoscono questa tecnologia, la identificano come uno strumento di intrattenimento, ma ancora in pochi sanno che ha tutte le caratteristiche per diventare il mezzo di comunicazione e apprendimento più efficace del prossimo futuro. Un mezzo dagli ampi margini applicativi e dai casi d’uso già oggi straordinariamente interessanti, che le organizzazioni e le istituzioni dovrebbero osservare con grande attenzione.
Alcuni recenti progetti, infatti, hanno dimostrato le enormi potenzialità della realtà virtuale nei contesti sanitari, scolastici, professionali, in cui impatterà largamente ben prima di quanto si pensi, soprattutto dopo la falsa partenza dei nuovi anni ’20, mesi che ci hanno imposto comportamenti inediti e la necessità di un’ulteriore, repentina evoluzione degli attuali paradigmi digitali.
Psicotecnologie per la salute mentale
Il 2020 è stato l’anno in cui l’intera collettività ha colto l’importanza del supporto psicologico nella sua forma più ampia.
Si sono moltiplicati i servizi di telepsicologia tramite videochiamata, messi a disposizione da psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, per aiutare le persone ad affrontare – a distanza – i disagi sviluppati a seguito delle condizioni di solitudine e isolamento, malattia e lutto legate a questo Coronavirus.
E se ci fosse stata la possibilità – da parte delle persone – di parlare con un terapeuta non tramite uno schermo impersonale, ma immersi in un luogo virtuale? Cosa sarebbe cambiato se fosse stato possibile condurli e conversare con loro in setting che, già di per sé, avrebbero potuto alleggerire un vissuto di segregazione, come una spiaggia tranquilla, la prateria di una collina o un giardino zen? Del resto, le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato che gli ambienti virtuali sono efficaci quanto la realtà nell’indurre risposte emotive.
Tra i vari esempi del 2020 di realtà virtuale utilizzata per fronteggiare i disagi da Covid-19, citiamo due casi emblematici applicati al supporto psicologico.
Il caso della clinica israeliana “Sheba Medical Center”
Il primo riguarda la clinica israeliana “Sheba Medical Center”, che ha offerto servizi di assistenza sanitaria a distanza in realtà virtuale ai pazienti affetti da Coronavirus, al fine di monitorare il loro ritorno a casa dall’ospedale.
Nell’ambito di speciali programmi di supporto, supervisionati da remoto da personale medico, sono state proposte applicazioni VR per trasportare i pazienti in ambienti in cui poter gestire meglio lo stress e i vissuti di isolamento, grazie alla possibilità di rilassarsi e visitare virtualmente luoghi straordinari, aumentando inoltre il coinvolgimento del paziente nel percorso di cura.
Il progetto italiano “Covid Feel Good”
Il secondo esempio è rappresentato dal progetto italiano “Covid Feel Good” (Riva, Wiederhold et al.), un protocollo gratuito di auto-aiuto in realtà virtuale, che consiste nel guardare almeno una volta al giorno, per sette giorni, un video di realtà virtuale denominato “Il Giardino Segreto”, attualmente disponibile in dieci lingue. La sperimentazione è oggetto di uno trial controllato multicentrico che coinvolge una trentina di ricercatori da tutto il mondo. Le persone possono fruire di questo video a casa tramite un qualsiasi visore di realtà virtuale, seguendo una serie di esercizi forniti sul sito web del progetto, con specifici task per ogni giorno della settimana, riguardanti l’autostima, la memoria autobiografica, il senso di comunità, l’empatia, gli obiettivi e i cambiamenti a lungo termine.
Negli Stati Uniti, la realtà virtuale è oggetto di altissima attenzione ed è presente in diverse roadmap di validazione clinica verso le innovative terapie digitali prescrivibili dai medici, un tema ben conosciuto anche in Germania e in Inghilterra, nazioni che hanno anticipato il resto dell’Europa in quanto a predisposizione di specifiche leggi e normative di regolamentazione. La realtà virtuale ha addirittura meritato una sottocategoria tra i “Digital Therapeutics” denominata “Immersive Therapeutics” o “Medical Virtual Reality”, peraltro già adottata ampiamente da alcuni istituti che quest’anno l’hanno ulteriormente valorizzata nell’assistenza a distanza, tra cui l’ospedale californiano Cedars-Sinai.
La collaborazione a distanza nel prossimo futuro
Le svariate piattaforme di videoconferenza – Zoom, Teams, Meet, WebEx – hanno consentito alle persone di spostare la propria vita, personale e professionale, online durante i lockdown. E se avessimo avuto l’opportunità di collaborare attraverso la realtà virtuale?
L’ho personalmente sperimentato con diversi gruppi di lavoro e clienti, attraverso applicazioni gratuite per piccoli gruppi (ad esempio “vTime XR”), grazie alle quali abbiamo organizzato riunioni immersive, scoprendo alcuni interessanti effetti.
Innanzitutto, a differenza delle ormai canoniche videochiamate in 2D, anche qui l’engagement è drasticamente migliorato. I colleghi non vedevano l’ora di collegarsi e di essere proiettati ogni volta in una nuova ambientazione. Abbiamo provato riunioni in uffici futuristici, mostrando presentazioni aziendali su singolari megaschermi, abbiamo conversato di strategie finanziarie su una terrazza all’ombra della Tour Eiffel, siamo stati sospesi su una parete di roccia, abbiamo conversato di obiettivi di breve e medio periodo seduti su un relitto nelle profondità dell’oceano, sotto la luna intorno a un fuoco, tra le palme di una spiaggia caraibica, fino a una stazione spaziale ad ammirare la Terra. Non solo il coinvolgimento del team è aumentato rispetto alla videoconferenza, ma lo stupore di fronte a questi luoghi, ha contribuito a creare un particolare clima creativo, la cui correlazione è stata peraltro dimostrata dalle ricerche d’avanguardia sui rapporti tra realtà virtuale e awe, awe e creatività (Gaggioli et al.).
Oltre alla comunicazione immersiva, nel corso del 2020 sono state prodotte ricerche e report che hanno confermato la realtà virtuale come mezzo esperienziale in grado di incrementare l’efficacia della formazione e la capacità di allenare lo stress management e di apprendere soft skills.
Tra i vari, citiamo un report di IDC dal titolo “Technology Evolution and Use Case Expansion Drive Virtual Reality Growth in the Enterprise”, che afferma che le imprese lungimiranti stanno riconoscendo il potenziale della realtà virtuale per cambiare il modo in cui i dipendenti si formano e collaborano tra loro.
Realtà virtuale e competenze in azienda
Anche una ricerca di PwC dal titolo “VR Soft Skills Training Efficacy Study” sostiene che la realtà virtuale potrebbe essere lo strumento elettivo per il miglioramento delle competenze dei dipendenti di un’azienda, dato che, rispetto alla formazione in aula e all’eLearning, ha dimostrato che le persone sono molto più attente e concentrate, più sicure nell’applicare ciò che hanno appreso e più emotivamente connesse ai contenuti, una condizione ottimale per i processi mnemonici e di apprendimento.
Naturalmente, se lo smart working dell’ultimo anno ha comprovato la cosiddetta “Zoom fatigue” per descrivere l’affaticamento da videoconferenze prolungate, dovremo fare altrettanta attenzione a una prossima “VR fatigue”.
È interessante citare, infine, il più grande evento virtuale immersivo al mondo nel suo genere: “Educators in VR“, una conferenza formativa gratuita, con oltre 170 relatori coinvolti in più di 150 eventi, 24 ore al giorno per 6 giorni, a cui si è potuto accedere gratuitamente con visori di realtà virtuale per essere trasportati direttamente nelle sale – virtuali – dei vari speaker, usufruendo così di un inedito modo di partecipare in tutta sicurezza a un evento professionale collettivo.
Il punto tecnologico
La realtà virtuale non è ancora un medium mainstream. Si avvale di dispositivi sempre più evoluti, ma che hanno un appeal limitato per un mercato di massa (oltre al fatto che si potrà esprimere appieno solo sfruttando il potenziale delle reti 5G).
Dal 2012, Oculus – di proprietà Facebook dal 2014 – ha investito centinaia di milioni ed è tuttora il vendor che crede maggiormente in questa tecnologia. Dal 2016, però, Apple ha effettuato numerose operazioni di M&A con società e gruppi di lavoro focalizzati sulle realtà estese (VR e AR), continuando a posticipare il rilascio del proprio dispositivo, con l’ambizione di consegnare al mondo lo spartiacque tra il prodotto di nicchia e il nuovo killer-device, come già accaduto per iPod, iPhone, iPad e iWatch.
Da Cupertino trapelano da tempo notizie di diversi dispositivi coperti da segretezza, tra cui, il più affascinante – ma per nulla sicuro di vedere la luce – è il progetto dal nome in codice “T288”, un occhiale alla moda in grado di montare lenti da vista e di supportare sia la realtà virtuale, sia la realtà aumentata. Insomma, nel corso degli anni ’20 sapremo se Apple riuscirà a scrivere un’altra pagina di “storia digitale”, questa volta con le realtà estese, contribuendo a renderle di uso comune.
Conclusioni
Certo, per evitare nuove dipendenze e il pericolo di isolamento in mondi virtuali, sarà fondamentale che l’educazione digitale diventi parte integrante delle vite di genitori, insegnanti, psicologi e – non ultimi – manager, i quali avranno l’arduo compito di accompagnare figli biologici e non verso un uso consapevole di questa straordinaria tecnologia.
Una parte del nostro futuro prossimo passerà proprio da qui e vedrà integrazioni sempre più spinte della realtà virtuale con tecnologie già esistenti, come guanti tattili che possono toccare oggetti che in realtà non esistono, smart clothes che possono simulare l’abbraccio tra persone a distanza, dispositivi che emettono odori e sapori configurabili, macchinari delle dimensioni di un tapis-roulant che simulano la corsa e il volo. E ancora, biosensori dagli algoritmi concepiti per riconoscere gli stati fisiologici (già validati) ed emotivi (in fase embrionale) e avatar fotorealistici che riproducono ogni caratteristica del nostro viso: tutte tecnologie già disponibili oggi, ma ancora poco integrate fra loro. Queste ultime rivoluzioneranno profondamente non solo l’entertainment, il marketing e la comunicazione, ma anche il mondo della formazione e della salute.
Proviamo a immaginare due persone che dialogano fra loro da luoghi distanti, ma in uno stesso scenario immersivo che si trasforma sintonicamente al variare delle rispettive emozioni. Questo sarà il mondo delle esperienze aumentate, che potrà inoltre amplificare la capacità di conoscersi e conoscere l’altro. Allora sì che – Arthur Clarke docet – avremo una tecnologia indistinguibile dalla magia.