SANITA' DIGITALE

Social in Sanità, pro e contro: servono regole chiare

L’adozione delle piattaforme di sharing possono rivelarsi essenziali per diffondere in modo capillare ed “economico” informazioni sui servizi offerti dalle Asl. Ma la liquidità del mezzo non solleva da obblighi e responsabilità. Servono norme in grado di garantire una presenza responsabile e pianificata sui canali digitali

Pubblicato il 13 Nov 2019

Marzia Sandroni

Coordinatrice Tavolo nazionale Sanità Associazione PA Social

La realtà virtuale (VR) in sanità

Web, social e dispositivi mobili hanno cambiato in pochi anni la medicina e la sanità contribuendo a spianare la strada per una Sanità digitale. In questo senso è però auspicabile un sistema di regole chiaro, non solo interno alle Aziende, che definisca e legittimi i “nuovi” strumenti.

Il rapporto medico-paziente, le relazioni dei cittadini e degli operatori con il Servizio sanitario, le società scientifiche e le associazioni di pazienti sono partecipi, attivamente o passivamente, consapevolmente o inconsapevolmente, di una vera e propria rivoluzione. Anche la richiesta di informazioni da parte dei cittadini ha trovato nelle risorse mediche online, nel web e nei social network una fonte pressoché inesauribile di informazioni anche se, non sempre, autorevoli e affidabili.

Attraverso una presenza responsabile e pianificata sui canali social, può iniziare un nuovo percorso di avvicinamento e di apertura ai cittadini in grado di favorire lo sviluppo di processi virtuosi di collaborazione, stimolando la partecipazione e la cittadinanza attiva.

Salute e social network, così miglioriamo la comunicazione medico-paziente

PA e accesso ai dati, il lungo cammino dell’Italia

Fin dagli anni ’90, ogni atto legislativo della Pubblica Amministrazione è stato inteso a favorire il coinvolgimento e la partecipazione dell’utente: nelle fasi di accesso, nella fruizione e nella valutazione del servizio per rafforzare il rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadino: dall’art.7 della legge 142/1990, che garantiva il diritto ad accedere” alle informazioni, alla legge 241/1990 che definiva le responsabilità e le misure per il diritto di accesso; dal d.lgs. 29/1993 che istituiva gli Uffici per le Relazioni con il pubblico” alla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1994 che sancisce, attraverso le carte dei servizi, un patto con il cittadino.

A sottolineare, poi, questo ruolo essenziale dell’Informazione e della Comunicazione nelle Pubbliche amministrazioni viene emanata, finalmente, nel 2000 la L. 150.

Dopo un lungo periodo di immobilismo e, soprattutto, di disomogenea applicazione della stessa norma, per rafforzare la trasparenza ed il contrasto alla corruzione sono pubblicate la L. 190/2012, il D.Lgs 33/2013 e, nel 2016 il Freedom of information act: che riprende e dà concretezza a quel concetto di trasparenza – intesa come accessibilità a tutte le informazioni della PA – già citata nel 1908 da Filippo Turati, che invitava le Pubbliche amministrazioni ad essere “Case di vetro” dove i cittadini possono guardare e appurare la correttezza nella gestione dei beni comuni quali la salute.

Oggi, d’altra parte, anche quando si parla di Relazioni Pubbliche e di relazione tra Pubblica amministrazione e cittadini, in linea con il modello di Grunig (1952), si fa riferimento ad un rapporto paritario, non più mediato o asimmetrico come è stato dai primi ‘800 a metà degli anni ’90. Ciò significa un rapporto non di subordinazione, ma a due vie, dove la PA incorpora gli obiettivi dei portatori di interesse: un dialogo cooperativo, quindi, caratterizzato dall’ascolto e dalla reciproca comprensione per la costruzione di una relazione virtuosa e continua che riduce, opportunamente, la distanza tra aspettativa e risposta.

Sanità digitale: ecco perché non ci sono più alibi

In tale contesto, quale strumento può essere più idoneo e “democratico” dei social? Per anni – considerato che il diritto alla salute è un diritto universale, quindi garantito a giovani e anziani, ricchi e poveri – le aziende hanno sostenuto che la Sanità digitale fosse solo per pochi e che il suo utilizzo aumentasse le disuguaglianze sociali escludendo dall’informazione e dall’accesso alle cure ampie fasce di popolazione.

Oggi, visti i numeri e la tipologia di fruitori digitali, questa motivazione non ha senso e non esistono più scuse per non seguire una transizione digitale che porti con sé, con le debite misure di attuazione, anche l’uso dei social. Questo significa però, via via che lo strumento si diffonde, sotto una spinta propulsiva ormai inarrestabile, la necessità di consolidare, negli operatori e negli assistiti del Sistema Sanitario, competenze e piena coscienza dello strumento, anche per ovviare a quella “asimmetria conoscitiva” tra cittadino e Pubblica Amministrazione che può rendere discutibile la legittimazione nell’uso dei social.

Non esistono, come sarebbe auspicabile, normative che obblighino la Pubblica Amministrazione ad essere presente e attiva sulle piattaforme social; in numerosi documenti è stata più volte ribadita l’importanza di una presenza costante su questi nuovi mezzi di comunicazione. In questo senso si citano la Direttiva n. 8 del 26 novembre 2009 del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e la più recente Circolare n. 2 /2017 Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato.

Social in Sanità, uno strumento complementare

D’altra parte è opportuno ricordare che nell’esercizio dei diritti e dei doveri e nelle responsabilità non c’è differenza tra online e offline. E la cittadinanza digitale non è un’alternativa, bensì un’estensione della cittadinanza “tradizionale” dovuta all’ampliamento dei mezzi a disposizione del cittadino per l’esercizio di alcuni suoi diritti e doveri e dell’assunzione delle proprie responsabilità a partire dalla salute.

Non possiamo, infatti, sottovalutare il fatto che sempre più persone si connettono via mobile e che i social e la messaggistica istantanea rappresentano il primo motivo di connessione a internet da telefono o tablet. In questo senso i nuovi canali non devono sostituire ma affiancare i mezzi tradizionali di comunicazione per migliorare la mission dell’Azienda sanitaria che è il servizio al cittadino-paziente.

Quindi, per gli assistiti cittadinanza digitale significa attitudini e abilità per tutelare la propria salute e il proprio benessere all’interno del più ampio quadro della Cittadinanza, per gli operatori sanitari strumenti di dialogo, di informazione, di sensibilizzazione, di cura dei propri assistiti.

Vantaggi e rischi della comunicazione social

Come sempre, tanto più in questo caso, la parola chiave è consapevolezza, sia da parte dei cittadini che degli operatori. Infatti i social rappresentano quanto più di distante esista dalla burocrazia weberiana che connota le PA e sono, invece, caratterizzati da un livello tale di informalità e soggettività da minare, se non utilizzati con cognizione, il rispetto dei principi e delle norme che regolano le pubbliche amministrazioni ed il lavoro “dipendente”.

Al contempo, vale la pena ricordare che il social, il più delle volte, è un media attraverso il quale si realizza una comunicazione sistematica e diffusa con ciò che ne consegue per le norme di corretto utilizzo.

I social network o social media danno solo l’impressione di uno spazio personale o di una piccola comunità, ma non lo sono. E troppo spesso vengono trascurate le licenze, concesse al fornitore, nello scaricare un’app, relative all’uso dei dati che vengono inseriti: vale la regola generale che operatori e cittadini devono essere “informati” e sapere, prima di adoperare lo strumento, in che modo vengono trattate le informazioni, tanto più confidenziali, come quelle che riguardano lo stato di salute.

Social in Sanità trampolino per gli screening

Così gli operatori devono sapere che la liquidità del mezzo non li solleva minimamente dagli obblighi e dalle responsabilità previste nelle Aziende Sanitarie per i dipendenti pubblici: nel trattamento dei dati sensibili, nel rispetto dell’immagine dell’azienda, nell’utilizzo dei social in orario di lavoro, solo per alludere ad aspetti che rendono i social censurati da alcune Pubbliche amministrazioni.

Una volta definite le caratteristiche del mezzo si possono considerare i benefici dei social in ambito sanitario: dall’aumento dell’empowerment del paziente, all’ability to cope. Ma i social possono favorire e sostenere le campagne di prevenzione e di educazione alla salute, sia nei giovani sia negli adulti, per prevenire l’insorgenza delle patologie e promuovere corretti stili di vita, o campagne screening per la diagnosi precoce.

Proprio per la loro pervasività i social sono essenziali per diffondere in modo capillare ed “economico” informazioni sui servizi offerti dall’Azienda nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza, per promuovere iniziative, veicolare l’immagine dell’Azienda e dei professionisti, per aumentare il livello di partecipazione e, quindi, la reputazione e la fiducia.

Importante è valutare l’implementazione dei social tra i professionisti. Infatti, considerato che oggi la contrapposizione è tra una sanità vecchia che lavora a silos ed una sanità multiprofessionale e multidisciplinare che lavora sulla persona, con un approccio olistico e non a canne d’organo, è essenziale avere strumenti interoperabili e sicuri, ma anche immediati e precisi che rendano agile l’interscambio di dati e immagini e la creazione di una nuova conoscenza condivisa.

Best practice in Italia e all’estero

Numerose sono le best practice che si possono citare nell’uso dei social in sanità, sia all’estero – ad esempio il Cdc Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta o il Mayo Clinic Center in Arizona – sia in Italia come l’Azienda Usl Toscana sud est, l’IFO, la Usl di Piacenza, l’Ast di Bergamo e l’Ospedale Giglio di Cefalù. Le diverse esperienze sono accomunate da una comunicazione diretta ai cittadini nel campo della prevenzione e dei corretti stili di vita, dell’informazione ai pazienti diretta attraverso i professionisti interni e della promozione dei servizi e degli eventi, anche con il coinvolgimento di associazioni e realtà del territorio.

Secondo una recente ricerca pubblicata nel 2018 dai ricercatori Oasi su 51 soggetti italiani del settore sanitario, il 65% del campione utilizza Facebook, il 18 non utilizza alcuno strumento, 21 aziende utilizzano youtube, 15 twitter, 14 Linkedln, solo 3 Istagram. Come? In genere duplicano sui social i contenuti creati offline, solo il 23% crea contenuti originali per lo strumento. Se molte sono presenti sui social e pochissime sono quelle che fanno attività di analisi anche dei feedback, è anche vero che nel 72% dei casi non esistono, nell’organigramma aziendale, funzioni dedicate alla gestione dei social media e questa è svolta dall’Ufficio stampa o dall’Ufficio comunicazione, con una formazione raramente mirata.

Occorre, quindi, un Sistema di regole chiaro, non solo interno alle Aziende, ma una fonte di rango primario dove questi strumenti vengano definiti e quindi legittimati cosicché Pubbliche Amministrazioni e cittadini sappiano quali social possono utilizzare e con quali termini. Inoltre è necessario che sia richiesto, a garanzia dei fruitori, che questi social con la stessa agevolezza con cui possono essere utilizzati, siano resi comprensibili a tutti. Questo, per ovviare a quell’abuso di dati che, con le attuali regole, potrebbe nascondersi dietro ad una strumento che, di fatto, può rappresentare un’opportunità unica nel favorire quella trasparenza e quella partecipazione che è alla base dell’agire della Pubblica amministrazione anche in sanità.

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