La crescente disponibilità di robot e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale possono essere strumenti di grande impiego in sanità.
La scienza dei materiali, infatti, sta progressivamente evolvendo verso esoscheletri “soft” e “ultra soft” che promettono migliori prestazioni terapeutiche rispetto agli esistenti rigidi e potrebbero addirittura portare ad un ripensamento del concetto di corpo sano.
Elettronica flessibile e materiali altamente ingegnerizzati (vetri metallici, a memoria di forma), poi, estenderanno la funzionalità dell’abbigliamento riabilitativo anche a soggetti con ridotte o assenti capacità motorie, per monitorare e assisterne il movimento.
Tra alcune soluzioni allo studio, tute riabilitative per monitorare e assistere i movimenti, braccialetti sonori per persone con disabilità visive, guanti robotici che “leggono” i segnali bioelettrici direttamente dai muscoli per comprendere le intenzioni e indirizzare i movimenti, alcuni esempi che non solo incidono sulla qualità di vita dei pazienti con disabilità, ma anche sulla sostenibilità a lungo termine dei sistemi di assistenza sanitaria.
Tuttavia, occorre fare attenzione ai potenziali rischi ed alle conseguenti responsabilità che possono derivarne e che gli odierni strumenti giuridici non sono ancora in grado di affrontare in maniera adeguata.
Secondo la società WinterGreen Research, la dimensione della riabilitazione robotica vale 43,3 milioni di dollari con una previsione di crescita a 1,8 miliardi entro il 2020.
Invece, in base a quanto riportato nella Risoluzione del Parlamento U.E. del 16 febbraio 2017 (recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica), tra il 2010 e il 2014 la crescita media delle vendite di robot era stabile al 17% annuo mentre nel 2014 è aumentata al 29%.
Del resto, uno dei temi sociali e sanitari con cui le moderne nazioni dovranno fare i conti è proprio l’invecchiamento della popolazione, consistente nell’allungamento della speranza di vita dovuto ai progressi (in primis, migliori condizioni di vita ed efficacia della medicina moderna) per cui si stima che entro il 2025 oltre il 20% dei cittadini europei avrà 65 anni o più e si assisterà a un aumento particolarmente rapido di chi ne avrà 80 o più.
Anche su queste riflessioni si basa la crescente attenzione riservata dalle Istituzioni pubbliche alla, ormai, ampia ed inarrestabile diffusione dei robot, la quale, peraltro, si pone nel solco di una quasi ancestrale spinta dell’uomo a regolamentare i rapporti giuridici non solo all’interno della specie umana, ma soprattutto nei confronti di tutto ciò che umano non è ma che ha profondi riflessi sulle sfere giuridiche proprie degli umani, dagli esseri vegetali agli animali.
La robotica, da questo punto di vista, va ad arricchire tale elenco, aggiungendo, peraltro, la possibilità di rendere l’uomo una sorta di “creatore” di altri esseri che, per certi aspetti, potrebbero anche essere considerati “viventi”.
Inizialmente, la produzione di macchine chiamate robot (dalla parola “robota”, utilizzata negli anni ’20 del secolo scorso dallo scrittore ceco Capek, per indicare il lavorare duro, lavorare forte) è stata quasi esclusivamente associata alla mera esecuzione di compiti fisici e meccanici ripetitivi, che potevano essere svolti senza particolare difficoltà oppure in ambiti ad elevato tasso di pericolosità o di precisione, quasi sempre sotto la guida di un operatore (cosiddetti robot industriali).
Il salto di qualità che ha reso la robotica sempre più performante e di largo uso è, invece, soprattutto merito di quella che viene chiamata Intelligenza Artificiale, e che sta ormai diventando un requisito pressoché inscindibile, nel senso che ogni macchina oggi considerata robot è dotata di I.A.
Oggigiorno, del resto, non si può fare a meno di considerare inscindibile il connubio tra robotica ed intelligenza artificiale, se si vuole porre la base giuridica per il riconoscimento della autonomia dei robot, della loro eventuale personalità robotica e, soprattutto, della responsabilità derivante dal loro uso o dai loro comportamenti.
Più un robot sarà intelligente, o meglio, dotato di una intelligenza artificiale più sofisticata, infatti, più crescerà la sua capacità di autodeterminarsi, fino ad arrivare al punto di potergli attribuire una sorta di “soggettività giuridica” se non, addirittura, una “capacità giuridica”.
Alla curva di crescita dell’intelligenza artificiale robotica corrisponderà, poi, una diversa ripartizione delle responsabilità in capo ai vari soggetti coinvolti: progettista, produttore, operatore, utilizzatore-proprietario, robot, terzi (compresi altri robot).
Ovviamente, tale scala di autonomia robotica non potrà prescindere dalle caratteristiche costruttive e di funzionamento del robot, specie in relazione alle connessioni per lo scambio di dati, ai sensori e alle forme utilizzate.
Come pure non può, comunque, essere trascurato che la responsabilità dei diversi soggetti può variare anche in base al tipo di abilità e capacità di cui è dotato il robot o all’impiego per il quale lo stesso robot è utilizzato, non solo in relazione all’ambiente di riferimento (sede stradale, abitazione privata, struttura sanitaria ecc.), ma anche in base al contesto di utilizzo (persone coinvolte, minori, anziani, persone con ridotte capacità sensoriali o di mobilità ecc.).
Ed è proprio nell’ambito sanitario che si stanno riscontrando le prime applicazioni operative di robot, ossia macchine intelligenti dotate di sensori e programmate per l’assistenza ai pazienti.
Del resto, la sanità è il settore che meglio si presta allo sviluppo di soluzioni innovative che consentano di ottenere un sensibile miglioramento non solo dal punto di vista terapeutico e diagnostico, ma anche da quello organizzativo e gestionale, potendo conseguire un elevatissimo livello di efficienza ed efficacia che comporta, a livello aggregato, un significativo risparmio in termini di costi per le spese dell’intero sistema socio-sanitario.
Come spesso succede, però, la normativa fatica a seguire il rapido progresso dell’evoluzione tecnologica, anche se da più parti si manifestano concrete esigenze di colmare lacune che necessitano di prescrizioni normative specifiche e pertinenti al tema.
In questa direzione, uno dei primi rilevanti tentativi è rappresentato dalla citata Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017.
Con tale Risoluzione, il Parlamento, tra l’altro, prende atto che gli sviluppi nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale possono e dovrebbero essere pensati in modo tale da preservare la dignità, l’autonomia e l’autodeterminazione degli individui, soprattutto nei campi dell’assistenza e della compagnia e nel contesto delle apparecchiature mediche atte alla “riparazione” o al “miglioramento” degli esseri umani.
La Risoluzione indica tre ambiti specifici, nel settore sanitario, cui prestare particolare attenzione:
- A) robot impiegati per l’assistenza;
- B) robot medici;
- C) interventi riparativi e migliorativi del corpo umano.
Per quanto riguarda il primo, la Risoluzione sottolinea che la ricerca e lo sviluppo di robot per l’assistenza agli anziani sono diventati, nel tempo, più diffusi ed economici, permettendo così di produrre dispositivi dotati di maggiori funzionalità e più facilmente accettati dai consumatori, evidenziando l’ampia gamma di applicazioni di tali tecnologie utilizzate per la prevenzione, l’assistenza, il monitoraggio, lo stimolo e l’accompagnamento degli anziani, come pure delle persone affette da demenza, disturbi cognitivi o perdita della memoria.
Tuttavia, la Risoluzione sottolinea che gli assistenti in carne e ossa continueranno a essere necessari e a svolgere un ruolo importante e non completamente sostituibile nella loro interazione sociale.
Per quanto riguarda il secondo ambito, viene sottolineata l’importanza di un’adeguata istruzione, formazione e preparazione per il personale sanitario, al fine di garantire il grado più elevato possibile di competenza professionale nonchè per salvaguardare e proteggere la salute dei pazienti, evidenziando la necessità di definire i requisiti professionali minimi che un chirurgo deve possedere per poter far funzionare ed essere autorizzato a usare i robot chirurgici.
Il Parlamento UE considera fondamentale rispettare il principio dell’autonomia supervisionata dei robot, in base al quale la programmazione iniziale di cura e la scelta finale sull’esecuzione spetteranno sempre a un chirurgo umano, sottolineando la particolare importanza della formazione onde consentire agli utenti di familiarizzarsi con i requisiti tecnologici del settore.
Per quanto riguarda il terzo ambito, quello che desta maggiori problematiche anche di natura etica, la Risoluzione citata osserva che sono stati compiuti enormi progressi dalla robotica e che l’ulteriore potenziale di quest’ultima nel campo della riparazione e della sostituzione degli organi danneggiati e delle funzioni umane, ma anche le complesse questioni sollevate in particolare dalle possibilità di interventi migliorativi del corpo umano, dal momento che i robot medici e specialmente i sistemi cyberfisici (CPS) possono modificare il nostro concetto di corpo umano in salute, dato che possono essere portati direttamente sul corpo umano o essere impiantati nello stesso.
In particolare, sottolinea l’importanza di istituire, negli ospedali e in altri istituti sanitari, comitati di roboetica con personale adeguato che abbiano il compito di esaminare e aiutare a risolvere problemi etici complessi e insoliti riguardanti la cura e il trattamento di pazienti.
Del resto, nel campo delle applicazioni mediche essenziali, quali le protesi robotiche, deve essere garantito l’accesso continuo e sostenibile alle manutenzioni, alle migliorie e, in particolare, agli aggiornamenti dei software che ovviano a malfunzionamenti e vulnerabilità, magari attraverso l’introduzione dell’obbligo per i produttori di fornire ad enti di fiducia indipendenti istruzioni di progettazione esaustive, incluso il codice sorgente.
E ciò, anche in considerazione del fatto che non vanno trascurati i rischi correlati alla possibilità di hacking, disattivazione o cancellazione della memoria dei CPS integrati nel corpo umano, dato che possono mettere in pericolo la salute o, in casi estremi, anche la vita umana.
Logica conseguenza è la fondamentale ed imprescindibile attenzione alla sicurezza, intesa nel suo complesso e, quindi, anche come trattamento dei dati personali e delle infrastrutture critiche, tanto da attribuire carattere prioritario alla protezione di tali sistemi.
Un principio fondamentale, ai fini della redazione o dell’affinamento di specifici testi normativi, quindi, in tema di responsabilità robotica, potrà essere quello della ripartizione dell’onere della prova, con eventuale inversione dello stesso a carico del soggetto che maggiormente potrà essere ritenuto responsabile, in relazione alle caratteristiche costruttive e funzionali del robot (quindi, in funzione della sua “autonomia”) oppure il criterio della gestione del rischio, anche sotto forma di apposite soluzioni assicurative, che tengano in considerazione le peculiarità della materia.
Ad ogni modo, un aspetto fondamentale della responsabilità dei robot da non trascurare è quello del patrimonio, tradizionalmente utilizzato come forma di tutela per il ristoro dei danni subiti dalle vittime, apparendo difficile, allo stato, concepire un robot dotato di autonomia patrimoniale, sulla base della quale farlo rispondere, pecuniariamente, degli eventuali danni cagionati.
Come si vede gli interrogativi e le problematiche giuridiche che si presentano sono diverse e di non facile soluzione, anche in considerazione del fatto che, nella rigorosa (quanto utopistica) attuazione delle c.d. leggi della robotica di Asimov, non si dovrebbero mai verificare ipotesi in cui il robot arrivi a cagionare danni tali da comportare una responsabilità ed il conseguente risarcimento.
In fondo, ma sempre utopisticamente, il vero progresso ed il principale scopo del settore della robotica dovrebbe essere proprio quello di creare macchine talmente perfette da evitare, attraverso l’uso di Cloud, Big Data Analytics ed I.A. (Deep Learning, Natural Processing Language ecc.), la possibilità di incidenti o danni di qualsivoglia entità (o, comunque, ridurli al minimo tollerabile).
La strada intrapresa dalla Ue, con la citata risoluzione del 16.02.2017, si pone nel solco della creazione di un quadro giuridico, almeno europeo, che eviti la frammentazione normativa, sovente causa di ulteriori problemi e di una più lenta diffusione del progresso, ma che, comunque, dovrebbe tenere in considerazione il respiro universale delle questioni giuridiche (ed etiche) sottese, riguardanti l’umanità nel suo complesso.