società digitale e salute

Salute mentale, i governi contro le Big Tech: approcci e strumenti per limitare i danni

Per assistere una collettività in seria difficoltà, in cui i giovani (e non solo) sono sempre più spesso vittime dei condizionamenti dei social, i governi si muovono su un doppio fronte: regolamentare le piattaforme tech e accelerare il rilascio di servizi di salute mentale digitale, per renderli maggiormente accessibili

Pubblicato il 08 Mar 2022

Luca Bernardelli

Psicologo, Autore del libro "Guida Psicologica alla Rivoluzione Digitale", CEO di BECOME. Augmented Life, Cofounder di BOWMAN - Data Matter

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La salute mentale non ha mai ricevuto così tante attenzioni a livello globale come nel biennio pandemico. Le ragioni sono, ormai, evidenti. La rivoluzione della nostra quotidianità imposta dal COVID-19 ha innescato una serie di disagi psicologici a catena in tutte le fasce della popolazione, mettendone a dura prova la resilienza.

Dall’Europa alle Americhe, dall’Estremo Oriente all’Oceania, startup e corporate non hanno mai visto una tale generosità di investimenti privati e pubblici sulla salute mentale (digitale), rappresentata da tutti quei progetti specificatamente destinati allo sviluppo di servizi tecnologici per supportare le persone con disturbi transitori o psicopatologie conclamate.

Dall’altra parte, diversi Paesi dei continenti sopracitati stanno combattendo importanti battaglie normative contro le Big Tech proprietarie dei principali social media e dei videogame più diffusi, che si stanno dimostrando sempre più nocivi per la salute comportamentale e affettiva di bambini, adolescenti e adulti.

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Di seguito, vedremo i più recenti sviluppi delle azioni di alcuni dei governi più consapevoli, da una parte per regolamentare le piattaforme tecnologiche che invadono sempre più pericolosamente la nostra quotidianità, dall’altra, per accelerare il rilascio di servizi di salute mentale mediati dal digitale, così da renderli maggiormente accessibili alla cittadinanza.

Governi vs. big tech: la battaglia per la salute mentale

La Cina si sta dimostrando la Nazione più risoluta nei confronti della cronofagia che contraddistingue le app delle Big Tech. Così come in Corea del Sud, la grande preoccupazione è derivata dalla crescente dipendenza dai videogiochi dei giovani (peraltro formalmente riconosciuta come malattia dall’OMS nell’ICD-11 dal gennaio 2022), considerata la principale causa del basso rendimento scolastico e della miopia dilagante, effetti nefasti direttamente proporzionali agli abusi digitali.

Le misure di Pechino

Nel luglio 2021, infatti, il governo cinese ha deciso di non approvare la pubblicazione di nuovi videogiochi per un tempo indefinito. Quando nel 2018 emanò una simile restrizione (per 9 mesi consecutivi), vi fu una ripercussione tale da far fallire più di 32.000 aziende e da far perdere il lavoro a centinaia di sviluppatori, oltre a dissipare parecchi punti in Borsa a colossi digitali videoludici quali, per esempio, “Tencent”.

Successivamente nell’agosto 2021, lo stesso governo ha varato nuove misure restrittive sui videogame online, che prevedono la possibilità per i minori di giocare solo per un’ora al giorno (dalle 20 alle 21), da venerdì a domenica, per un massimo di 3 ore alla settimana, in un crescendo regolatorio partito nel lontano 2007, quando venne introdotto il primo “sistema di prevenzione delle dipendenze dai giochi online”.

L’approccio Usa

Negli Stati Uniti, il 2021 è stato l’anno in cui i legislatori hanno presentato nuovi progetti di legge ora all’esame del Congresso, i quali prevedono misure volte ad affrontare un’ampia gamma di preoccupazioni originate dalle grandi piattaforme digitali, soprattutto riferite alle condotte anticoncorrenziali, alla disinformazione diffusa e… all’impatto sulla salute mentale delle generazioni junior e senior.

La news più eclatante è stata sicuramente lo scandalo del settembre 2021 noto come “Facebook Papers”, in cui l’ex dirigente Frances Haugen ha sostenuto – grazie a documenti interni – che i dirigenti di Menlo Park avessero ripetutamente e consapevolmente anteposto i profitti aziendali alla sicurezza e alla salute pubblica.

Social media e problemi di immagine corporea

Facebook (oggi Meta), che studia dal 2019 l’impatto del proprio social sugli stati d’animo degli utenti più giovani, ha scoperto che è dannoso per una grande percentuale di essi. Una ragazza su 3 iscritta a Instagram ha sviluppato problemi di immagine corporea e gli adolescenti incolpano questo social per l’aumento del tasso di ansia e depressione. Un’altra indagine ha rilevato che oltre il 40% degli utenti di Instagram che hanno riferito di sentirsi poco attraenti, ha affermato che la sensazione è iniziata usando l’app e coloro che hanno segnalato pensieri suicidi – il 13% nel Regno Unito e il 6% negli Stati Uniti – li hanno ricondotti a Instagram. In realtà, già dal 2017 una ricerca di YoungMinds e della Royal Society for Public Health aveva evidenziato che il social media che ha l’impatto più negativo sul benessere mentale dei giovani è proprio Instagram.

Il preoccupante disturbo del dismorfismo corporeo da social media

Oltre a questi preoccupanti e sempre più diffusi sintomi, si sta affermando il “dismorfismo corporeo da social media”, che potrebbe risultare un upgrade digitale del più tradizionale disturbo mentale nel quale si investono tempo ed energie preoccupandosi del proprio aspetto fisico.

Sappiamo, inoltre, che i problemi di immagine corporea possono condurre verso diete estemporanee con relative condotte nutritive sregolate, fino a strutturare veri e propri disturbi alimentari, a volte rinforzati da algoritmi che orientano verso personaggi e contenuti che contribuiscono a rinforzare i disagi dei più giovani, promuovendo modelli stereotipati di fisicità difficilmente raggiungibili.

Se TikTok sostituisce lo psicanalista per i teenager: il problema

Inoltre, durante la pandemia, vari medici e psicologi in tutto il mondo hanno osservato un drammatico aumento dei giovani pazienti in cerca di cure per i tic. Infatti, uno studio dell’agosto 2021 ha mostrato che l’insorgenza di tic inspiegabili passava dall’1% pre-pandemia al 35% del periodo pandemico. I tic sono spesso rappresentativi di un disagio psichico in cui il cervello può esprimere uno stress emotivo sotto forma di disturbo fisico. Indagando meglio, diversi specialisti si sono resi conto che la maggior parte di questi giovani pazienti ha guardato contenuti di creator di TikTok con una presunta sindrome di Tourette, un disturbo neurologico caratterizzato da tic multipli ripetuti. Dato che cumulativamente questi video sono stati visti più di 5 miliardi di volte e che i tic possono avere una componente sociale e un alto livello di suggestionabilità, gli esperti hanno supposto un nesso causale, seppur quest’ultimo non sia stato ancora provato. Piuttosto, gli studi evidenziano un disturbo del movimento multifattoriale, causato da stress e ansia, presumibilmente aggravato dalla pandemia e dal contemporaneo aumento del consumo di questi specifici video sui social media.

Dipendenza da lootbox (già vietati in alcuni paesi Ue)

A questi inquietanti fenomeni, si aggiungono i meccanismi deleteri tipici del gioco d’azzardo presenti nelle app freemium che propongono i “lootbox” (bottini), oggetti virtuali che possono essere acquistati per ricevere una selezione casuale di ulteriori oggetti virtuali, a cui giocano milioni di bambini e adolescenti. L’accusa nei confronti dei produttori è di progettare software che sfruttano tecniche che favoriscono la dipendenza (il famigerato “addiction-by-design”). A tal proposito, sono diverse le class action intentate negli ultimi anni ai danni dei produttori di app (es.: Electronic Arts in Canada) o addirittura contro gli app store (es.: Apple in California), seppur le cause legali nordamericane siano state archiviate tra la fine del 2021 e l’avvio del 2022.

Al contrario, nell’Unione Europea, Belgio e Olanda hanno riconosciuto questo problema, tanto che esiste già il divieto di “lootbox”, proprio ai sensi delle normative sul gioco d’azzardo.

Il Cile inserisce i neurodiritti in Costituzione

Un’altra singolare notizia tematica riguarda il Parlamento cileno che, nel 2021, ha approvato all’unanimità un disegno di legge che modifica la Costituzione a tutela dei “neurodiritti”, ovvero i diritti del cervello, proponendosi come primo Paese al mondo a normare le cosiddette “neurotecnologie”, dispositivi in grado di monitorare, registrare o addirittura modulare l’attività neurale. Considerato il rapido sviluppo di progetti avveniristici quali “Neuralink” di Elon Musk e “Kernel” di Bryan Johnson, il rischio che queste tecnologie cerebrali diventino presto invasive della “privacy mentale” e dei suoi dati sensibili è molto concreto. Una regolamentazione che limiti i potenziali futuri eccessi neuro-commerciali e argini una prossima neuro-pirateria è un buon punto di partenza per prevenire un fenomeno e non curarne a posteriori gli effetti insalubri, come purtroppo sta avvenendo in Cina e negli Stati Uniti.

I governi promotori della salute mentale digitale

Insieme alle azioni di contenimento degli eccessi dei colossi tecnologici, sono diversi i governi che stanno contribuendo alla crescita di un settore finalmente in grado di equilibrare il profitto con l’etica della relazione d’aiuto e della salute pubblica.

Nell’ottobre 2021, per esempio, la Scozia è stata la prima Nazione al mondo a fornire a tutta la popolazione, attraverso il proprio Servizio Sanitario Nazionale, l’accesso gratuito alle terapie digitali per l’ansia e l’insonnia, grazie a un accordo con il produttore californiano “Big Health”, che suggella un affascinante modello di collaborazione che supera i confini geografici e politici.

In Canada esiste un “Ministero della Salute Mentale e delle Dipendenze” che, nel 2021, ha attivato l’app “PocketWell” per aiutare i canadesi ad accedere a risorse online predisposte per monitorare e supportare l’umore e il benessere mentale. Questo servizio consente un accesso via smartphone anche a sessioni gratuite e riservate con figure di sostegno quali psicologi, assistenti sociali e altri esperti.

Va inoltre ricordato che, poco prima dell’epoca pandemica, il governo australiano aveva investito oltre 4 miliardi di dollari nella salute mentale, lanciando un gateway per supportare i cittadini chiamato “Head to Health”. Partendo dall’evidenza che gli interventi digitali possono essere efficaci quanto i servizi vis-à-vis, questa piattaforma online offre uno sportello unico che si pone da aggregatore e da garante dei fornitori di salute mentale più affidabili d’Australia. Questi servizi offrono app a basso costo o addirittura gratuite, comunità di supporto online, corsi a distanza e possibilità di parlare telefonicamente con specialisti.

Negli Stati Uniti, l’impianto normativo a favore degli strumenti digital-sanitari messo a disposizione dall’FDA (Food & Drug Administration) e la facoltosa rete di investitori pioneristici hanno consentito una vera e propria rincorsa alle startup di salute mentale digitale che, solo nel 2021, hanno raccolto la cifra record di 5,5 miliardi di dollari (+139% rispetto al 2020).

La situazione in Italia

E in Italia?

Dal Belpaese arrivano almeno due notizie che non depongono a favore di un rapido sviluppo di questo settore, né a un miglior soccorso a una popolazione in piena crisi psicologica.

La prima riguarda l’ormai famosa bocciatura dell’emendamento alla Legge di Bilancio 2022 che prevedeva di destinare 50 milioni di euro di fondi al “Bonus Salute Mentale” per aiutare economicamente le persone a rivolgersi a psicologi, psicanalisti, psichiatri o psicoterapeuti (seppur, “a furor di popolo”, il 17 febbraio scorso sia stato approvato un bonus più limitato per l’assistenza psicologica che indirizza 10 milioni a poco più di 15.000 persone).

La seconda è relativa all’anno record degli investimenti iniettati nelle startup italiane, ovvero più di 1.300 milioni di euro (+85% rispetto al 2020), nessuno dei quali, però, è stato specificatamente destinato a iniziative di salute mentale (digitale).

In un Paese che conta più di 100.000 psicologi e più di 10.000 medici psichiatri, sembra che politici e investitori non abbiano ancora ben compreso l’importanza del benessere mentale dei cittadini, la vera base sicura di una società serena e fiduciosa nel futuro.

Conclusioni

In questa fase storica, i servizi di salute mentale stanno vivendo una trasformazione digitale mai avvenuta prima. Sono quasi quotidiane le notizie di nuovi strumenti psicodigitali messi a disposizione da settori pubblici e privati, come le novità relative alle possibilità di rimborso dei Servizi Sanitari Nazionali o dalle assicurazioni private e, in alcuni casi, alle opportunità di fruizione gratuita garantite da Stati o da organizzazioni no profit.

Gli interventi psicoeducativi incentrati sui cambiamenti comportamentali e di stile di vita delle persone sono ormai ritenuti la componente predominante per mantenersi in salute e sono spesso oggetto di ampie ricerche e validazioni di efficacia che portano sempre più imprese di salute mentale digitale a proporre modelli innovativi di supporto.

È responsabilità dei professionisti della salute mentale il non restare indietro rispetto alle esigenze sempre più ampie delle persone, che possono essere seguite con una maggior profondità e ampiezza solo accettando di integrare sapientemente la componente tecnologica a quella umana, così da aumentare le chance di assistere una collettività in estrema difficoltà, in una società ancora troppo condizionata da stigmi e pregiudizi.

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