Al Forum S@lute2017 di giovedì scorso – coordinato come sempre in modo intelligente e vivace dall’amico Paolo Colli Franzone – ascoltavo il richiamo di tutti i relatori all’investimento ICT in sanità. Assieme alla denuncia dei ritardi e delle lentezze burocratiche tipiche della situazione italiana. Ho però avuto la netta sensazione che dietro quella volontà e quelle critiche (e perfino dietro le buone pratiche esposte) ci fosse un sostanziale fraintendimento su l’oggetto della riflessione. L’eHealth italiana – questo è nel vocabolario europeo il termine giusto – è intesa in modi assai diversi dai tanti interlocutori, al punto che tutto il cantiere della ‘dematerializzazione’ sanitaria appare come una specie di Torre di Babele. Cercherò quindi di proporre di seguito una specie di riflessione-glossario.
Per prima cosa c’è la dematerializzazione: si dematerializzano le informazioni di salute del paziente (o del cittadino) passando da un medium cartaceo che viaggia alla velocità delle gambe delle persone (o degli aerei di carta) a uno elettronico, basato su impulsi elettrici (bit) che possono raggiungere la velocità della luce. Il medium elettronico permette di stivare, aggregare ed elaborare enormi masse di dati (strutturati) del paziente e di materializzarli (materializzazione) nella cura. Einstein diceva che anche un consiglio è composto di energia e che tra energia e materia non c’è grande differenza. Quindi materializziamo i bit ‘sanitari’ in consigli, pillole e manipolazioni varie del corpo, tra cui quelle chirurgiche.
In un sistema totalmente dematerializzato è possibile reperire una massa enorme di dati personalizzati sulla malattia e il corpo del paziente. Se prima il medico ‘materializzava’ la cura con un livello 10 di informazioni, ora lo può fare con un livello 1000 e in prospettiva con un livello 10 all’ennesima potenza. Immaginate di dover riprodurre oggetti con la stampante tridimensionale, che entro tre anni avremo tutti in casa: la qualità della riproduzione dipenderà dai gigabyte di informazioni che inserirete nella macchina. Un sistema sanitario a alta informazione – quindi a alta comunicazione e bassa burocrazia – è la condizione per progettare un nuovo modello di sanità: pro-attiva (non ci si limita agli interventi di cura della sanità difensiva); di continuità assistenziale (il paziente viene preso in carica con la nuvola di bit delle sue informazioni) e di empowerment (il paziente gioca un ruolo attivo, partecipativo).
La condivisione in tempo reale dei Big Data e dei Micro Data di salute prospetta un nuovo sistema di governance che assomiglia più a quello delle Smart City asiatiche o californiane che a un assessorato regionale alla sanità; assieme a un empowerment, dove il paziente condivide non solo i dati di salute del suo corpo, ma quelli della comunità in cui vive (se tutti stanno peggio di me, forse io scopro di star meglio di quanto pensassi). Un modello di sanità proattiva ha bisogno di assistiti informati in tempo reale. Nessuno, per altro, si appassionerebbe a un telegiornale trasmesso con due anni di ritardo, come i dati delle SDO.
Tanti dati in tempo reale permettono di costruire l’architettura immateriale di un sistema sanitario e di un ospedale virtuale, che regge su tre pilastri (che sono aggregazioni intelligenti di informazioni de-materializzate), già previsti dalle leggi italiane: il Fascicolo Sanitario Elettronico (generato dalla rete eHealth regionale); il Dossier Sanitario (che si forma nelle reti aziendali e che aggrega le cartelle cliniche elettroniche); gli ePDTA, i percorsi assistenziali dematerializzati, in particolare per i pazienti cronici (ma non solo).
I sistemi internet di seconda generazione (eHealth) introducono una forte innovazione nella sanità italiana. Ma innovare non significa razionalizzare per ottenere qualche risparmio settoriale. Forse è giunto il momento di condividere una comune cultura eHealth, come premessa per ogni credibile programma di investimento tecnologico in sanità.