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Sanità digitale in ritardo: i problemi italiani nello studio The Lancet



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La sanità digitale in Italia ha compiuto passi avanti, soprattutto con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), ma i progressi sono frenati dalla mancanza di interoperabilità tra sistemi regionali. La frammentazione ostacola l’accesso ai dati, aumenta costi e ritardi nelle cure, mentre l’Ue spinge per uno spazio sanitario digitale comune

Pubblicato il 30 gen 2025

Roberta Cocco

Esperta di Trasformazione Digitale ed Empowerment femminile – Docente universitaria



Il PNRR ha stanziato ben 19,7 miliardi con la Missione 6 – Salute, per rivedere i processi di cura nella sanità digitale

La digitalizzazione della sanità in Italia ha portato a significativi miglioramenti nell’accessibilità e nella gestione dei dati sanitari, ma persistono criticità legate all’interoperabilità tra sistemi regionali. L’adozione del Fascicolo Sanitario Elettronico rappresenta un passo avanti fondamentale, ma la variabilità territoriale e la mancanza di standardizzazione limitano la sua efficacia, ostacolando una gestione uniforme e ottimale dei servizi sanitari a livello nazionale.

Sanità digitale: vantaggi individuali e di sistema

La digitalizzazione del Sistema sanitario nazionale è una sfida fondamentale per migliorare accessibilità e qualità delle cure. Strategie di digitalizzazione ben strutturate possono contribuire a semplificare l’accesso ai servizi, monitorare l’evoluzione dello stato di salute e in particolare migliorare la gestione delle malattie croniche.

Ma oltre ai potenziali vantaggi a livello individuale, sono notevoli quelli a livello di sistema: riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni, telemedicina, sorveglianza epidemiologica, monitoraggio e prevenzione…insomma tutto ciò che diventa possibile quando i dati sono a servizio della grande missione della salute pubblica.
In questa prospettiva, la raccolta e disponibilità dei dati gioca ovviamente un ruolo cruciale. Un dettagliato studio pubblicato in queste settimane sulla rivista scientifica The Lancet Regional Health – Europe mostra però a che al netto dei passi avanti significativi fatti permangono criticità che richiedono interventi mirati e tempestivi.

Per comprendere al meglio i risultati raggiunti e le sfide aperte, tuttavia, è bene ripercorrere il percorso di digitalizzazione compiuto negli ultimi anni.

La novità del Fascicolo Sanitario Elettronico

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), istituito dal Parlamento nel 2012 e attivato dal 2015, è lo strumento attraverso il quale il cittadino può tracciare e consultare tutta la storia del proprio percorso sanitario, condividendolo con i professionisti del settore. La pandemia da Covid-19 ha impresso una fortissima accelerazione alla sua diffusione, con interventi legislativi che hanno semplificato le modalità di implementazione di dati e informazioni, generando un automatismo al caricamento dei dati.
Il Decreto del Ministero della Salute 20 maggio 2022 – Adozione delle Linee guida per l’attuazione del Fascicolo sanitario elettronico hanno dato un ulteriore impulso descrivendo contenuti, servizi, architettura e governance che caratterizzeranno il nuovo FSE,  danno il via all’attuazione dell’investimento 1.3.1 del PNRR, Missione 6, Componente 2.

Si è trattato di un passaggio fondamentale nell’ottica di raggiungere gli obiettivi indicati dal PNRR, cioè che l’85% dei medici di base alimentino il FSE entro il 2025 e tutte le Regioni e Province Autonome lo adottino e utilizzino entro il 2026.

Adozione del FSE: a che punto siamo?

Il sito istituzionale stesso del Fascicolo Sanitario Elettronico dà conto del monitoraggio dell’utilizzo dell’FSE – cioè dell’adozione da parte di cittadini, medici e aziende sanitarie – e della disponibilità di documenti e servizi. Mentre scriviamo, i dati riportati sono aggiornati al 31 agosto 2024 (per il Friuli-Venezia Giulia al 31 marzo 2024).
La situazione, come evidenziato a fine 2024 anche da Fondazione Gimbe, appare frammentata. Per esempio, ad oggi solo 7 tipologie di documenti sono accessibili su tutto il territorio nazionale: lettere di dimissione ospedaliera, prescrizioni farmaceutiche e specialistiche, referti di laboratorio, di radiologia e di specialistica ambulatoriale, verbali di pronto soccorso.
Nei FSE regionali sono disponibili 37 servizi: si va dal pagamento di ticket e prestazioni alla prenotazione di visite ed esami, fino alla scelta del medico di medicina generale o alla visione delle liste d’attesa. La disponibilità di questi servizi varia in maniera significativa tra le Regioni: tra chi offre la di funzionalità più ampia spiccano Lazio (67%) e Toscana (64%), mentre all’estremo opposto, in Abruzzo e Calabria, i servizi accessibili tramite il FSE non superano l’8%.
La pandemia, insomma, ha fatto spiccare un salto alla diffusione di uno strumento come il Fascicolo Sanitario Elettronico che è un pilastro della sanità digitale, ma la sua adozione e la sua implementazione variano ancora molto a seconda dei territori.

Il nodo dell’interoperabilità

Nonostante i progressi dell’FSE, resta un grande nodo da sciogliere, una sfida con cui le operazioni di digitalizzazione dei servizi pubblici si trovano spesso a fare i conti. Parlo dell’interoperabilità, ossia la capacità delle applicazioni e dei sistemi di scambiare dati in modo sicuro e automatico indipendentemente dai confini geografici, politici o organizzativi.
Il recente studio apparso su The Lancet Regional Health – Europe ricostruisce come la strutturazione dei servizi sanitari su base regionale abbia generato, nel tempo, una situazione frammentata: negli anni, ciascuna delle 20 Regioni ha sviluppato i propri sistemi sanitari digitali con impianti normativi, strategie e tecnologie diverse.
È qui che entra in gioco la necessità di incrementare gli sforzi per rendere interoperabili i sistemi. Database e sistemi operativi che non comunicano tra loro, infatti, hanno conseguenze pratiche molto concrete: per esempio, che i medici non riescano ad accedere al registro delle visite ed esami effettuati da un cittadino che abbia trasferito il suo domicilio o residenza da una Regione all’altra, con una perdita parziale o totale dei dati della sua storia sanitaria.

Il fenomeno della mobilità sanitaria

Va considerato anche il fenomeno della mobilità sanitaria, per cui i pazienti residenti nelle Regioni meridionali, che in genere dispongono di risorse più limitate, si recano negli ospedali settentrionali più attrezzati per essere curati. Un fenomeno che coinvolge circa 300 mila persone all’anno, secondo Svimez. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del nord spesso non possono accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, con conseguenti esami diagnostici ripetuti e ritardi nelle cure. La conseguente duplicazione fa lievitare i costi – la sola mobilità sanitaria interregionale incide per circa 3,3 miliardi di euro all’anno – con il rischio di ritardare i percorsi di cura dei pazienti.
Questo stato di cose pone un serio ostacolo all’operazione del Fascicolo Sanitario Elettronico. La frammentazione del sistema rischia da una parte di non rispondere adeguatamente ai bisogni della popolazione, dall’altra di costituire onere economico al Paese nel suo complesso. Non solo: all’orizzonte c’è la creazione dello European Health Data Space, lo spazio europeo dei dati sanitari, che ha l’obiettivo di portare a livello comunitario la condivisione dei dati, estendendo a tutti i cittadini europei e quindi moltiplicando il potenziale di monitoraggio della salute, studi scientifici basati sulla processazione di big data con il supporto dell’AI, sviluppo di politiche sanitarie più data-driven, nonché coordinamento in risposta a potenziali emergenze. Un percorso partito nel 2024 per cui è importante farsi trovare pronti.
La strada è tracciata e ancora una volta la sfida tecnica dell’interoperabilità si conferma un tassello fondamentale per l’implementazione di un’idea di servizi pubblici digitali che mettano al centro il cittadino, le sue esigenze e i suoi diritti, ma anche la sua esperienza di utente digitale.

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