Un percorso di digitalizzazione coniugato con una revisione dei processi in un’ottica di cooperazione tra operatori sanitari e integrazione socio-sanitaria: è questo il presente e il futuro della sanità digitale, in cui la condivisione delle informazioni tra i vari “attori” dei Servizi Sanitari Nazionale e Regionale (ambulatori, ospedali, strutture riabilitative) diventa il perno di un processo di deospedalizzazione con ricadute certe, sia economiche che di qualità di cure e quindi di vita dei pazienti.
Il contesto attuale
Il mutare del contesto in cui opera il sistema sanitario del nostro Paese, con l’aumento dei flussi migratori, l’invecchiamento della popolazione e la crisi economica strutturale, obbligano a ripensare in maniera radicale i modelli organizzativi attuali riallocando le risorse per setting assistenziali. Le tecnologie dell’informazione giocano un ruolo primario poiché permettono di implementare nuove soluzioni e di condividere le informazioni (cliniche e diagnostiche) nell’ambito dei percorsi di diagnosi e cura.
Il Patto per la sanità digitale del 2016 approvato dalla conferenza Stato-Regioni va sicuramente in tale direzione, ma gli investimenti previsti per il mondo della Salute sono in diminuzione (la percentuale sul PIL scenderà, in proiezione, dal 6,7 al 6,4% nel 2019 fino al 6,3% nel 2020, sotto la soglia di qualsiasi altro Paese dell’Unione Europea). In tale quadro le risorse destinate alla sanità digitale sono esigue e pari all’1,2% della spesa sanitaria pubblica – circa 22 euro per cittadino – e insufficienti per incidere efficacemente sui necessari processi di cambiamento.
Soluzioni e proposte
La gestione capillare delle informazioni, sia amministrative che cliniche, mediante codifiche di base condivise, sta già permettendo, grazie a nuovi strumenti di analisi e ai Big Data, di avere una maggiore consapevolezza dei fenomeni e quindi di pianificare ed implementare politiche sanitarie mirate. Migliorare la pianificazione e la programmazione consentirebbe di implementare presidi di controllo, come l’appropriatezza prescrittiva, e così liberare risorse da allocare per gli investimenti.
Nella fase attuale elemento primario e di necessità è una governance solida (possibilmente al livello dello Stato centrale) che non “pieghi” i migliori modelli organizzativi alle forti spinte dei portatori d’interesse.
Sul piano metodologico esiste il bisogno della redazione e condivisione di un piano strategico di medio-lungo periodo, la sua successiva declinazione in obiettivi da perseguire e il disegno di una roadmap per raggiungerli, a livello nazionale e regionale. Questo permetterebbe un’omogeneizzazione ed una convergenza delle innumerevoli iniziative oggi in essere, con economie di scala maggiori e migliori risultati complessivi.
Definiti i progetti strategici e valutati gli investimenti, è poi necessario individuare puntualmente le figure che dovranno assumersi la responsabilità di capitalizzare gli investimenti, per non rischiare che questi ultimi rimangano incompiuti e, quindi, che si trasformino in soli costi, come spesso è accaduto.
Sulla base delle priorità si dovrebbero poi allocare le risorse, umane e strumentali, necessarie. In un contesto di risorse scarse saranno da prediligere le progettualità che, una volta implementate, permettano rapidamente di ripianare i costi d’investimento: ad esempio, una distribuzione capillare dei referti e un controllo puntuale sull’appropriatezza prescrittiva permetterebbero un notevole risparmio.
Le aree d’intervento
Un primo intervento, uno fra i molteplici, che permetterebbe di recuperare preziose risorse, è sul piano infrastrutturale: la disponibilità di reti geografiche efficaci permetterebbe oggi di implementare modelli centralizzati (centri di servizi) che potrebbero servire più strutture sanitarie e semplificare i processi d’integrazione tra sistemi applicativi. Potenzialmente, in tale scenario, potrebbero essere sufficienti alcuni data center in ogni Regione per fornire servizi a tutte le strutture sanitarie del territorio (ospedali, strutture di riabilitazione, RSA, Medici di Medicina generale).
Un secondo intervento economico potrebbe riguardare la razionalizzazione dei software applicativi: attualmente ogni struttura ospedaliera ha implementato soluzioni diverse e variegate, spesso moltiplicando i costi e aumentando le difficoltà in termini di interoperabilità. Tale difficoltà è resa evidente dal percorso lungo e complesso dell’adozione Fascicolo Sanitario Elettronico: ad oggi sono solo 6 le Regioni italiane che lo hanno adottato. La definizione di standard comuni di interscambio delle informazioni tra gli applicativi può certamente essere un fattore positivo verso una maggiore integrazione delle informazioni, punto centrale di una rete sanitaria digitale efficiente ed efficace.