Le ultime evidenze sulla rTMS (ripetitiva stimolazione magnetica transcranica) per il trattamento della dipendenza, disturbo ossessivo compulsivo, depressione, ansia, malattia di Parkinson e malattia di Alzheimer sono state esaminate nel seminario scientifico organizzato dalla Brain&Care Group insieme a LetscomE3.
Cefalea, curarla con la tecnologia: così il Biofeedback sta rivoluzionando il trattamento
Il confronto tra esperti e professionisti del settore medico scientifico è avvenuto all’interno del corso Ecm “L’approccio clinico integrato e la rTMS in ambito neurologico e psichiatrico” realizzato con l’obiettivo di guidare i clinici nella decisione circa l’utilizzo e gli effetti clinici di questo trattamento, aumentare la conoscenza degli studi sul ruolo della rTMS nel trattamento dei disturbi neuropsichiatrici e favorire un approccio clinico interdisciplinare integrato per il trattamento di queste condizioni.
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è una metodica di neuromodulazione cerebrale non-invasiva
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è una metodica di stimolazione cerebrale non invasiva che consente, attraverso la generazione di impulsi elettromagnetici, di modulare l’attività della corteccia cerebrale e determinare una modificazione delle risposte comportamentali dell’individuo.
Questa tecnica è conosciuta e usata dal 1985, ben 37 anni di dati, informazioni ed evidenze che raccontano quanto possa essere efficace nell’aiutare le persone che soffrono di depressione resistente, di ansia o di dipendenze come, ad esempio, quella da cocaina, da gioco d’azzardo o da alcol.
Dalla prima approvazione da parte della US Food and Drug Administration (FDA) nel 2008 per il trattamento della depressione maggiore resistente, ad oggi la rTMS trova indicazioni per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo, del dolore cronico e di alcune forme di emicrania, delle dipendenze da sostanze psicoattive e dei disturbi d’ansia, patologie neurodegenerative quali la Malattia di Parkinson e i disturbi cognitivi in fase iniziale.
Gli effetti benefici della TMS e la sua azione sul cervello
Sono almeno quattro gli effetti benefici che la stimolazione magnetica transcranica ha sul cervello: chimico, di plasticità cerebrale, antinfiammatorio, ossigenativo. È proprio la combinazione di questi quattro effetti il motivo per cui la TMS funziona anche quando i farmaci sembrano non funzionare più offrendo risposte terapeutiche lì dove la medicina non ha ancora risposte farmacologiche.
Il primo effetto della TMS è di tipo chimico, ossia di rilascio di sostanze importanti per il nostro cervello: la stimolazione sulla corteccia cerebrale attraverso questa macchina, che non è invasiva ma che tocca solamente il cuoio capelluto produce il rilascio di sostanze chimiche come dopamina e serotonina che aiutano, ad esempio, a combattere la voglia di assumere alcol o droghe che si ha in questo tipo di dipendenze.
Poi c’è un effetto di plasticità cerebrale. Dati che vengono da studi realizzati in Israele dimostrano che la TMS produce una plasticità sinaptica, ossia delle nuove connessioni tra cellule cerebrali, e questo ha implicazioni importanti non solo perché crea delle nuove memorie cellulari, quindi rimuove i vecchi comportamenti patologici, ma anche perché crea delle nuove connessioni nel cervello che vengono scritte sopra le vecchie abitudini patologiche.
Recentemente è venuto fuori anche un effetto antinfiammatorio. Ci sono dati che dimostrano come alcune molecole chiamate interleuchine che si producono durante i processi infiammatori, sia cerebrali che fisici, diminuiscano in seguito a stimolazione magnetica transcranica.
Infine, c’è il quarto effetto: l’aumento della circolazione sanguigna e, quindi, dell’ossigenazione cerebrale, è un effetto importante perché si sa che quando si aumenta il contenuto di ossigeno si ha poi una maggior produzione di energia nel cervello ma ci sono anche effetti più profondi e più importanti come, ad esempio, quelli a livello dei mitocondri, i polmoncini che abbiamo all’interno delle cellule cerebrali.
La tms e le patologie neurodegenerative
La TMS si pone come uno strumento adiuvante di terapie già esistenti, anche nell’ambito delle patologie neurodegenerative più diffuse, quali le malattie di Parkinson e Alzheimer. Ad oggi, non abbiamo terapie risolutive, nel senso che i farmaci non bloccano il processo che porta le cellule a morire, per questo la ricerca e la clinica si stanno orientando verso metodiche in grado di controllare e rallentare i sintomi di queste patologie migliorando la qualità di vita dei pazienti.
La tms e la malattia di parkinson
La malattia di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa, colpisce in età adulta, ma ci sono molti casi prima dei 40 anni. I dati sull’incidenza riportano 12 casi ogni 100mila abitanti. È una patologia molto complessa causata dalla perdita delle cellule che producono dopamina e si caratterizza per la presenza di sintomi motori (il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia e l’instabilità posturale) e di sintomi non motori, come depressione, ansia, disturbi cognitivi e dolore che possono precedere di anni quelli motori. Nell’applicazione della TMS è importante distinguere tra ciò che è possibile fare per l’aspetto motorio e ciò che, invece, è possibile fare per la parte non motoria.
Gli studi dimostrano, infatti, che la stimolazione di aree connesse con il controllo cognitivo del movimento migliora i sintomi di rigidità e di bradicinesia e ha effetti positivi su un fenomeno del cammino che si chiama ‘freezing della marcia’. Parliamo della difficoltà che molti malati vivono nel fare il primo passo nonostante la loro intenzione di camminare, sulla quale la terapia dopaminergica non è sempre efficace. Questi risultati sono migliori quando il trattamento TMS sono abbinati a percorsi di riabilitazione neuromotoria. I benefici della TMS permangono anche ad un mese dal termine del trattamento ma essendo il Parkinson una patologia cronica e progressiva è consigliabile fare cicli di mantenimento. La stimolazione magnetica, infatti agisce sulla plasticità sinaptica, che è la base del nostro apprendimento e del nostro recupero. Abbinandola a un continuo riapprendimento motorio, gli effetti saranno più consistenti ed evidenti.
Il 35-40% dei pazienti con malattia di Parkinson soffre di disturbi di depressione e ansia. Una sfida importante nel trattamento di queste problematiche nei pazienti con malattia di Parkinson è l’insorgenza di effetti collaterali con i comuni farmaci antidepressivi, perché molto spesso sono controindicati se assunti contemporaneamente ad alcuni farmaci dopaminergici. Inoltre, la risposta terapeutica dei pazienti parkinsoniani con depressione non è sempre ottimale. La TMS agisce sulle aree cerebrali disfunzionanti che stanno alla base dei sintomi depressivi e ha dimostrato di essere efficace nei pazienti con Parkinson e depressione.
La TMS e la malattia di alzheimer
La malattia di Alzheimer può colpire almeno il 5% delle persone con più di 60 anni e si stima che in Italia ci siano 500mila malati. Un numero che nel 2050, secondo gli esperti, potrebbe triplicarsi. Nel caso della malattia di Alzheimer c’è una degenerazione delle aree temporo-parietali, dove ha sede la nostra memoria. Quando la malattia progredisce può interessare altre aree cerebrali e provocare ulteriori sintomi. La TMS si inserisce innanzitutto in una fase iniziale, in cui il cervello ha ancora delle risorse e in cui ci sono delle aree che possiamo stimolare per il recupero di una funzione o l’attivazione di una azione suppletiva, in sostituzione dell’area cerebrale che non funziona più bene. Recenti studi hanno chiarito che stimolando, nelle fasi iniziali della malattia, una regione del cervello che si chiama precuneus, si verifica un miglioramento delle funzioni di memoria episodica e a breve termine. Gli studi dimostrano che già dopo due settimane di stimolazioni, i pazienti mostrano un sostanziale miglioramento della memoria, testato mediante prove cognitive prima e dopo le due settimane di trattamento, e mediante studi neurofisiologici, come ad esempio l’osservazione dei cambiamenti della loro attività cerebrale.
La TMS per combattere le dipendenze da sostanze e comportamentali
In presenza di soggetti con dipendenze da sostanze, quali alcool, cocaina, sostanze stupefacenti o con dipendenze comportamentali, come da gioco d’azzardo, video-giochi, internet, cibo, la TMS permette di agire sulle aree frontali del cervello, che sono deputate alla funzione di prendere le decisioni ed avere il controllo sulle nostre azioni.
Ciò che accade nelle dipendenze, infatti, è che l’attività del cervello viene alterata: si spengono alcune parti della corteccia cerebrale frontale e diventano più attive quelle aree che rispondono solo agli stimoli come può essere ad esempio quello di un cartellone pubblicitario. La stimolazione magnetica transcranica riequilibra l’attività elettrica del cervello e riaccende quelle aree che le dipendenze avevano spento, in sostanza riabbassa l’attività eccessiva delle aree del cervello che sono troppo sensibili agli stimoli. La TMS, quindi, restituisce al paziente la capacità di decidere per sé stesso, per quello che è meglio per lui e non per quello che la dipendenza gli fa credere sia meglio. Uno studio pilota condotto nel 2016, con la collaborazione del Prof. Antonello Bonci, neuroscienziato di fama internazionale, fondatore di GIA Miami, Vita Recovery USA e Direttore Scientifico di Brain&Care Group, ha dimostrato che la TMS è efficace nel ridurre il craving (il desiderio di assumere una sostanza) e le ricadute nei soggetti affetti da dipendenza da cocaina che si sottoponevano al trattamento TMS rispetto al gruppo di controllo che riceveva solo terapia farmacologica e psicoterapia. Questi risultati sono stati confermati da uno studio osservazionale più recente pubblicato su sulla rivista scientifica internazionale Frontiers in Psychiatry. Questo studio, condotto su 284 pazienti con dipendenza da cocaina e seguiti per due anni e 8 mesi, ha dimostrato che il trattamento TMS è associato ad una riduzione significativa del craving e del consumo di cocaina a lungo termine (Madeo et al., 2020 Front Psychiatry;28;11:158).
In genere, già entro pochi giorni dall’inizio del trattamento TMS, i pazienti percepiscono importanti cambiamenti, ma sono cambiamenti che non durerebbero nel tempo se ci si fermasse subito con il trattamento. Per questo il percorso prevede almeno 4 -6 settimane di stimolazioni iniziali e un programma di mantenimento di 8-12 settimane a seconda del paziente. È importante, infatti, accompagnare la persona nel suo percorso di cambiamento e di uscita dalla dipendenza, affiancando al trattamento TMS un percorso psicoterapico appropriato e un supporto psicologico ai familiari. Questo approccio integrato e multidisciplinare consente di dare al paziente tutti i mezzi per riappropriarsi della propria vita.
Il neuro-covid e la TMS
La situazione pandemica ha creato un’enorme problematica clinica da un lato slatentizzando quadri disfunzionali già presenti, e dall’altro creando condizioni di sofferenza protratte che hanno definito nuovi quadri clinici. In questo contesto, da valutazioni recenti che raccontano l’impatto della pandemia sulla qualità di vita della popolazione generale, è emersa una problematica specifica data dagli effetti dell’infezione da Covid sul sistema nervoso centrale (‘neuro-Covid’) e, in particolare, sulla cosiddetta ‘Brain Fog’ da Long Covid, ovvero un’alterazione dello stato cognitivo ed emotivo data dall’effetto virale”. A tracciare il quadro è Cristina Abbiate, psicologa e presidente di Brain&Care Group.
Uno studio realizzato in Inghilterra su un campione di 240mila pazienti che hanno avuto la malattia manifesta, ha messo in evidenza come dopo l’infezione acuta circa il 50% delle persone, anche a distanza di mesi dalla malattia, riportava sintomi permanenti come difficoltà nella concentrazione, insonnia, ansia, depressione, difficoltà nel ricordare le cose, insomma un calo della performance mentale e un aumento delle dipendenze in persone che già ne soffrivano. In questo contesto si è visto come la TMS, grazie ai suoi quattro effetti, riesca ad aiutare queste persone.
La TMS e la depressione
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) durante la pandemia ha posto particolare attenzione sulla malattia depressiva, indicandola come la principale causa di disabilità nella popolazione occidentale e la seconda causa di invalidità per malattia dopo i disturbi cardiovascolari. Nel mondo ne soffre circa il 5% degli adulti. Si tratta inoltre di un disturbo che non in rari casi tende a ripresentarsi nel corso della vita, tanto che studi recenti segnalano una probabilità di ricaduta dopo un episodio depressivo compresa in un range tra il 35% e il 65% dei casi.
Sono disponibili diverse possibilità di trattamento, che vanno dalla terapia farmacologica alla psicoterapia, alle tecniche di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), ma occorre ricordare che circa il 70% delle forme di depressione risulta resistente al trattamento farmacologico. Per questo è importante individuarla prima, avere fattori che ne contrastano lo sviluppo e, una volta, comparsa, curarla fino in fondo perché il rischio di recidive è alto.
La depressione si può prevenire con corretti e sani stili di vita. L’uso della TMS (riconosciuto da anni da FDA – U.S. Food and Drug Administration) si è dimostrato altamente efficace, in particolare nel contesto di un progetto terapeutico integrato con tutte le professionalità competenti, mai tralasciando gli interventi fondamentali di terapia psicologica e supporto familiare.
Nella depressione esistono importanti differenze di genere. Le donne nel corso del loro ciclo di vita presentano un rischio più alto di sviluppare una malattia depressiva, con una prevalenza che è circa il doppio rispetto agli uomini. Studi recenti, inoltre, indicano che la depressione perinatale – che si manifesta nel periodo che precede o segue immediatamente la nascita e fino a 12 mesi dopo il parto – è frequente e si attesta su una media del 13% delle donne in gravidanza o nel periodo del post-partum.
Di primaria importanza è la messa in atto di efficaci misure preventive per consentire una diagnosi precoce. Occorre tener conto che tutti gli psicofarmaci attraversano la barriera placentale, pertanto, la decisione di attuare un trattamento farmacologico va ponderata valutando non solo i rischi dell’esposizione al farmaco, ma anche il rischio dell’impatto della depressione della madre sul nascituro. In questo contesto l’uso delle Tecniche di Stimolazione Magnetica, che si sono dimostrate altamente efficaci e prive di effetti collaterali nella cura dei disturbi depressivi, può rivestire un ruolo terapeutico molto importante nelle donne alle prese con le forme di depressione perinatale.
Fondamentale adottare un approccio clinico integrato
La rTMS è uno strumento valido il cui utilizzo deve essere inserito in un approccio integrato e interdisciplinare per la corretta gestione delle patologie suscettibili di questo trattamento.
L’integrazione delle conoscenze in ambito psicologico, terapeutico, medico e tecnologico permette, infatti, di raggiungere risultati più efficaci che permettono di aiutare i pazienti con patologie dove non si non dimostrati altrettanto efficaci approcci rapportati ad un singolo contesto terapeutico. Infatti, è necessario intervenire con un approccio multidisciplinare integrato che preveda l’inserimento della TMS, strumento riconosciuto a livello internazionale, affiancata da un approccio psicoterapeutico che riguardi non solo il soggetto ma anche il gruppo famiglia per un accompagnamento multicomponenziale.
Modificare il vissuto del paziente e del suo ambiente permette di depositare “tracce esperienziali di efficacia” necessarie per una qualità di vita migliore.
Anna Palermo Giornalista
Graziella Madeo Neurologa e Direttrice dell’Unità di Neuromodulazione e Ricerca Clinica del Centro Clinico Brain&Care