La pandemia Covid-19 fornisce un’opportunità unica per (ri)lanciare un serio programma di digital health e di telemedicina in Italia. Ma serve un adeguamento delle Linee di indirizzo nazionali sull’impiego della Telemedicina, e un ripensamento del FSE (Fascicolo sanitario elettronico) con finalità cliniche e di sorveglianza (anche epidemiologica). E soprattutto con la diffusione di sistemi ormai accettati (almeno parzialmente) anche dalla classe medica.
Vediamo lo scenario e le strategie che sta attuando il Governo, purtroppo limitate, come si vede dall’ultimo decreto Rilancio.
Ostacoli al digitale spazzati via dall’emergenza
Si tratta di sfruttare quest’opportunità unica per sostenere la telemedicina e gli strumenti di digital health. Questi strumenti, sebbene disponibili da molti anni, hanno avuto molte difficoltà ad affermarsi per varie ragioni tra le quali la (mancata) rimborsabilità, l’affidabilità, l’efficacia, l’economicità, la privacy, l’arretratezza nella cultura del digitale da parte degli operatori sanitari e dei pazienti, gli scarsi investimenti, e per tante altre ragioni che l’Osservatorio per l’Innovazione digitale in Sanità del Politecnico di Milano ogni anno monitora. Molti di questi limiti sono stati spazzati via dall’emergenza e della necessità di visitare e monitorare i pazienti da remoto, evitando un possibile contatto con i medici (spesso causa del contagio soprattutto nella prima fase della pandemia) e con altri pazienti.
Gli strumenti e i servizi di telemedicina attivati
Sono molti gli strumenti digitali che sono stati sviluppati a supporto della gestione dei pazienti Covid-19. L’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) dell’Universita Cattolica in un report in costante aggiornamento ne ha contati 108 impiegati dalle Aziende Sanitarie italiane a partire dal 1 marzo 2020, delle quali 38 per la gestione dei pazienti Covid-19 e 70 per gestire da remoto patologie croniche come il diabete, le patologie cardiovascolari, oncologiche, dermatologiche, neurologiche e psicologiche. Lo stesso report evidenzia che il 42% degli strumenti riguarda visite a distanza, mentre il 33% il monitoraggio. Inoltre tali strumenti sono basati principalmente su strumenti di video chiamata con eventuale scambio di informazioni mediante chat o posta elettronica (33%), contatti telefonici con eventuale scambio di documenti mediante posta elettronica (27%), sistemi web che permettano l’accesso e la collaborazione di più operatori (21%) e app individuali dedicate a processi e attività specifiche (19%).
Una simile situazione è stata descritta in un articolo scientifico di recente pubblicazione che illustra come in Catalogna, da sempre delle regioni più all’avanguardia per quanto riguarda l’adozione delle tecnologie sanitarie digitali, a partire dal 15 marzo si è assistito a un capovolgimento nell’impiego di sistemi di teleconsultazione/telemedicina rispetto alle tradizionali visite mediche face-to-face (fig1).
Non mancano poi instant book che illustrano le varie tipologie di strumenti digitali sviluppati in Italia e all’estero per la gestione dei vari aspetti di Covid-19 (dalla comunicazione ai pazienti alla teleassistenza, dalla diagnosi al monitoraggio della epidemia fino alla erogazione delle cure), utili per strutturare un servizio efficiente di telemedicina.
Il debutto della ricetta elettronica
Un primo tentativo di introdurre strumenti digitali in ambito sanitario in risposta alla pandemia è stata la ricetta elettronica. Il 20 marzo la Protezione Civile ha dato il via libera alla procedura di trasmissione della ricetta via email o con messaggio sul telefono del paziente. Grazie a questa semplice delibera i pazienti oggi possono ritirare il farmaco direttamente in farmacia, senza passare dallo studio del medico curante. In alcune regione, dove la dematerializzazione della ricetta è già una realtà, le cose non sono cambiate poi molto. In molte altre, dove questo servizio non esisteva, il paziente può ora ricevere via email o telefono (e/o whatsapp) il Numero di Ricetta Elettronica (NRE) inviato dal medico di famiglia che consegnerà al farmacista per poter ritirare i farmaci prescritti.
Gli strumenti di triage
Diversi sistemi di chatbot sono stati sviluppati per attivare il triage dei pazienti, utile soprattutto nelle prime fasi della pandemia quando era difficile anche solo potersi mettere in contatto con un numero verde per ottenere informazioni. Particolarmente interessante è quello sviluppato da Paginemediche e adottato da diverse istituzioni come Regione Lombardia, Provincia Autonoma di Trento e Regione Campania.
Lo strumento, costruito su indicazioni, protocolli e algoritmi rilasciati dal Ministero della Salute (e approvati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) indaga sui comportamenti considerati a rischio e gli eventuali sintomi manifestati da un individuo. In particolare permette di effettuare la valutazione dei sintomi per il Covid-19 tramite chat in tempo reale e guidare l’utente ai punti di contatto più appropriati in base al rischio di contagio (calcolato su indicazioni rilasciate dal Ministero/Regioni) e alla sintomatologia dichiarata.
Oltre alla possibilità di monitorare la situazione in tempo reale, sistemi di questo genere permettono di ottenere altri benefici, impensabili con l’impiego del triage telefonico, come per esempio l’individuazione di possibili casi positivi “sfuggiti” al tradizionale triage, l’individuazione di possibili focolai (spesso questi sistemi sfruttano sistemi di geolocalizzazione compatibili con il GDPR). Soprattutto forniscono una base di dati sulla quale possono essere condotti importanti studi epidemiologici utili per capire eventuali fattori di rischio alla base della malattia.
Come funziona la videovisita
Fondamentali per affrontare questo periodo sono i sistemi di videovisita. Mai come in questo periodo si è fatto un grande uso dei classici strumenti di videoconferenza (Skype, Zoom, Whatsapp, ecc) per eseguire una “videovisita” ai pazienti, in particolare quelli fragili (affetti cioè da patologie croniche o di lungo periodo), evitando in questo modo un loro passaggio dallo studio del medico.
In questo periodo in Italia c’è chi ha studiato (e proposto) una metodologia e un manuale per utilizzare Skype per fare una visita medica “virtuale”. Perché la scelta è caduta su Skype? Perché rispetto ad altre piattaforme è gratuito e già abbastanza diffuso e conosciuto, è sufficientemente intuitivo e di facile utilizzo anche da parte dei non esperti, consente di interagire senza che il medico debba condividere con il paziente il proprio numero di telefono, e adotta protocolli crittografati che garantiscono la protezione e la riservatezza delle comunicazioni. Il manuale, più che concentrarsi sugli aspetti tecnici, focalizza l’attenzione sulle modalità di integrazione di questa piattaforma nel processo assistenziale, affinché i medici possano rendere disponibili i dati raccolti secondo queste modalità nei loro consueti record, conformemente a quanto prescritto dal GDPR. In sintesi, il manuale suggerisce di:
- gestire tutte le comunicazioni con il paziente in un unico ambiente integrato, che consenta sia l’interazione in audio e video, sia lo scambio di comunicazioni e di documenti durante la televisita o prima/dopo la televisita;
- archiviare in modo strutturato la documentazione scambiata con il paziente all’interno dei sistemi aziendali già presenti e/o della cartella clinica;
- consentire a tutti gli operatori sanitari responsabili che hanno in cura il paziente di accedere alle comunicazioni intercorse e ai documenti scambiati;
- attivare un sistema di tracciamento delle attività eseguite ai fini della tutela responsabilità del medico e della rendicontazione delle attività eseguite.
Simili iniziative sono nate per la gestione delle televisite e le telesedute di sostengo piscologico in pazienti oncologici.
I suggerimenti, a ben vedere, non sono diversi da quelli inclusi nelle linee guida per l’uso della posta elettronica nella comunicazione medico-paziente elaborate una ventina di anni fa dall’American Medial Informatics Association anche se qui sono riadattati al nuovo strumento tecnologico. E sono coerenti con quelli che la stessa American Medical Association ha pubblicato lo scorso aprile nel tentativo di introdurre strumenti di digital health e di telemedicina nella pratica clinica quotidiana per gestire la salute dei pazienti americani e fronteggiare la pandemia.
Digital health: oltre la videoconferenza
Accanto all’impiego di piattaforme generiche di videoconferenza, in questo periodo sono stati proposti sistemi più sofisticati. Un esempio è quello di Videovisita di Paginemediche. Il servizio, attualmente già inserito in un programma di presa in carico del paziente COVID–19 da parte della medicina generale, permette a qualunque medico di eseguire (gratuitamente) una videovisita e prenotare per conto del paziente altre visite di follow-up, garantendo l’archiviazione dei consulti e dei documenti condivisi con il paziente.
Simili esperienze sono state sviluppate da Plusimple (che insieme a Paginemediche condivide l’adesione al progetto di Solidarietà Digitale, l’iniziativa del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione e di AgID) e del Centro Medico Sant’Agostino.
Strumenti di telemonitoraggio
Tra gli strumenti di telemedicina, quelli di telemonitoraggio (più o meno integrati con i sistemi di videovisita) sono stati quelli più fortemente incentivati dal diffondersi della pandemia. Gli individui asintomatici e quelli paucisintomatici con presentazioni cliniche di bassa e media gravità sono i candidati ideali per questo genere di sistemi.
La possibilità di condurre un monitoraggio manuale ma strutturato delle misurazioni fatte a domicilio dal paziente o il “vero” telemonitoraggio in caso di disponibilità di device integrabili come saturimetri, ECG, misuratori della pressione arteriosa, misuratori della temperatura, permette infatti ai medici di ricevere alert e messaggi automatici in presenza di valori alterati o critici (ottimizzando così gli accessi presso il domicilio dei pazienti) o, nei casi più critici, di richiedere l’intervento del 112. Non meno importante è la possibilità da parte di medici e pazienti di fruire della possibilità di strumenti per visualizzare i trend dei parametri rilevati e ottenere in tempo reale la situazione relativa alla salute. Oggi questi strumenti sono rivolti al monitoraggio dei pazienti Covid-19 ma un domani potrebbero tornare utili per il monitoraggio dei pazienti più fragili e di quelli che soffrono di patologie croniche.
Non è un caso che sistemi di questo genere siano stati suggeriti congiuntamente dalla Società Italiana di Diabetologia, l’Associazione Medici Diabetologi e la Società Italiana di Endocrinologia per la gestione dei pazienti con diabete.
Oltre ad iniziative private (spesso gratuite), come quella di Paginemediche esistono altre iniziative istituzionali. Un esempio è l’App “Lazio Doctor Covid” distribuita da Regione Lazio che consente un rapido ed immediato monitoraggio delle persone che si trovano in sorveglianza domiciliare.
Monitoraggio epidemiologico
La tecnologia, insieme all’analisi di big data, è stata al centro anche dello sviluppo di strumenti di monitoraggio (epidemiologico). Sono un esempio le applicazioni di contact tracing sviluppate in Italia (vedi Immuni) e in particolare quelle adottate nei paese asiatici. In Corea del Sud (ma anche in altri paesi come Singapore o la Cina), l’integrazione di tecnologia e analisi di big data (come i database dei pagamenti, delle immagini di videosorveglianza e dei viaggi) ha permesso di identificare focolai della malattia e monitorare pazienti positivi e loro contatti.
Ben più interessante (e meno problematico dal punto di vista del rispetto della privacy) è l’esperienza di biosorveglianza attivata dalla Regione Veneto che consente la raccolta, l’elaborazione, la verifica della qualità dei dati di tutti gli esami di biologia molecolare effettuati da tutti i laboratori dell’intero territorio regionale, la loro la rappresentazione e la loro integrazione con numerosi database regionali. Lo strumento ha avuto il merito di contenere l’epidemia in Veneto grazie anche al continuo monitoraggio degli ospiti delle strutture per anziani, dello stato di infezione degli operatori sanitari, del numero di tamponi per laboratorio di erogazione, degli spostamenti della popolazione e delle violazioni delle misure di osservanza della quarantena.
Telemedicina: best practice all’estero
Anche all’estero sono stati implementati strumenti simili. Un esempio è quello sviluppato dagli scienziati del Weizmann Institute of Science, in collaborazione con i ricercatori della Hebrew University di Gerusalemme, su incarico del ministero della Salute. Il sistema, usando questionari sui sintomi da Covid-19 compilati dai cittadini, tecniche di big data e strumenti di intelligenza artificiale, è oggi utilizzato per monitorare, identificare e prevedere le zone di diffusione (fino ai singoli quartieri) del Coronavirus. La mappatura dei casi ha consentito in questo periodo alle autorità sanitarie di concentrarsi sulle aree in cui era previsto un focolaio, allentando dall’altra parte le misure di contenimento in aree dove il virus non si era diffuso.
Il ruolo del Fascicolo Sanitario Elettronico
La pandemia da Covid-19 potrebbe essere una buona occasione per il (ri)lancio del Fascicolo Sanitario Elettronico. Come avevo scritto in un mio precedente articolo il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) rappresenta il cuore del sistema per la semplificazione nel SSN e il miglioramento dei servizi al cittadini.
Oggi più che mai dovrebbe essere considerato come strumento clinico capace di adattarsi al nuovo corso della digital health post Covid-19. Per esempio integrando dati provenienti dalle varie app di triage o di symtom checkers, i video (o gli audio) e i documenti scambiati tra medico e paziente nelle videovisite, i dati raccolti dai sistemi di telemonitoraggio (e da altre app focalizzate sulla prevenzione di patologie croniche), quelli raccolti o derivati dall’App Immuni (perché in un modo o nell’altro le informazioni sull’esecuzione del tampone o del test seriologico da qualche parte bisognerà pure memorizzarle), e fornendo funzioni che favoriscano la comunicazione medico paziente in un ambiente protetto nel quale medico e paziente possano scambiarsi esami, referti, richieste di prestazioni.
Un FSE con queste caratteristiche sarebbe anche in grado di svolgere strette funzioni di sorveglianza clinica ed epidemiologica. Infatti se il FSE non rappresentasse un mero strumento amministrativo ma uno strumento clinico, si sarebbero potute osservare per tempo le anomalie (a livello regionale) del numero di polmoniti atipiche e del numero di decessi avvenuti a gennaio. Se solo fossero stati attivati sistemi di sorveglianza (oggi mirati a individuare eccessi di spesa per determinate patologie o per singolo medico convenzionato con il Sistema Sanitario Regionale) per monitorare eventi clinici importanti (e i conseguenti decessi), forse oggi ci ritroveremmo ad affrontare una situazione ben diversa.
Il recente Decreto Rilancio prescrive alcune misure urgenti in materia FSE. Peccato che le modifiche proposte siano insufficienti e non vadano esattamente nella direzione auspicata.
Il ruolo delle istituzioni per la telemedicina
In vista della gestione dell’emergenza Covid-19, lo scorso 13 aprile l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un rapporto sulle “Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria Covid-19”. Il documento si focalizza sulle necessità tecniche e operative per fornire “servizi di assistenza a domicilio in telemedicina alle persone in isolamento o che si trovino di fatto isolate a seguito delle norme di distanziamento sociale, allo scopo di sorvegliare proattivamente le loro condizioni di salute, in relazione sia alla prevenzione e cura del COVID-19 sia alla continuità assistenziale eventualmente necessaria per altre patologie e/o condizioni che lo richiedano”.
Nel documento vengono affrontati aspetti tecnici, aspetti legati alla sicurezza dei dati e alla privacy, aspetti riguardanti la responsabilità personale del medico. Le categorie di individui che hanno bisogno di servizi di telemedicina sono diverse fra loro. E infatti il documento prevede quattro differenti scenari che riguardano:
- le persone non affette da patologie precedenti al momento in cui è stata necessaria la quarantena o l’isolamento, asintomatiche e che rientrino nella definizione di contatto stretto o di caso confermato;
- le persone non affette da patologie precedenti al momento in cui è stato necessario l’isolamento, che presentino sintomi da lievi a moderati compatibili con infezione COVID-19 e che rientrino in una delle definizioni di caso sospetto, probabile o confermato;
- le persone affette da patologie croniche, malattie rare e persone in condizioni di fragilità, oppure che richiedono trattamenti di lungo periodo o di particolare assistenza e/o supporto non ospedalieri, e che necessitano di mantenere la continuità dei servizi durante la quarantena, l’isolamento o nel periodo di applicazione delle norme di distanziamento sociale;
- le persone bisognose di Tele-supporto psicologico che si trovino in isolamento o in quarantena, oppure isolate di fatto a seguito delle norme di distanziamento sociale, in corso di COVID-19.
Il rapporto aiuta anche a individuare quali sono gli individui per i quali si sconsiglia, a titolo precauzionale, l’utilizzo dei servizi in telemedicina, come per esempio i pazienti gravi, i pazienti con patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche in atto, e i pazienti con patologie croniche e fragilità o con disabilità che rendano imprudente la permanenza a domicilio in presenza di sintomi da COVID-19.
Telemedicina, il risveglio delle Regioni italiane: progressi e prossimi passi necessari
Telemedicina: le Regioni virtuose
Uno dei limiti all’impiego dei sistemi di telemedicina è il rimborso delle relative prestazioni. Nonostante esistano fin dal 2012 delle Linee di indirizzo nazionali sull’impiego della Telemedicina, ci sono voluti diversi anni (e una pandemia come Covid-19) per convincere le Regioni (non tutte, purtroppo) ad applicarle. Il problema non è tanto la regolamentazione dei servizi di telemedicina (offerti da numerosi ospedali, specialmente quelli privati), quanto la loro rimborsabilità. Ad oggi la telemedicina è rimborsata ed operativa nella Regione Veneto (già particolarmente avanti con lo sviluppo e l’adozione di strumenti di digital health) che ha adottato appieno le direttive delle linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina.
Nella delibera regionale dell’8 maggio si sottolinea che “La Telemedicina non rappresenta una specialità medica separata, ma è uno strumento che può essere utilizzato per estendere la pratica tradizionale oltre gli spazi fisici abituali. Si configura, nel quadro normativo generale, come una diversa modalità di erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e pertanto rientra nella cornice di riferimento che norma tali processi…”. L’erogazione di servizi sanitari in telemedicina da parte degli enti del Sistema Sanitario Regionale è vista come strategica per limitare il rischio di contagio da Covid-19, oltre che un importante supporto ai servizi di assistenza primaria per monitoraggio, cura, riabilitazione e prevenzione secondaria nei confronti di persone fragili o affette da patologie croniche.
La scelta della Regione Veneto arriva subito dopo la scelta della Provincia Autonoma di Trento, dove il 9 aprile scorso nel tariffario provinciale delle prestazioni specialistiche è stata inclusa anche la Telemedicina nell’ambito di diverse specialità mediche sia per le televisite di primo accesso, ma soprattutto per le visita di controllo. Tale istituzione ha anche stabilito che per tutta la durata dell’emergenza coronavirus, questa tipologia di prestazione sarà erogata in regime di esenzione dalla compartecipazione dalla spesa sanitaria a tutti i pazienti iscritti al servizio sanitario nazionale, a prescindere dall’accertamento del contagio da Covid-19. Chiude la Regione Toscana, dove un analogo provvedimento ha dato il via libera alle linee di indirizzo per televisite e teleconsulto e all’esenzione dal pagamento del ticket durante il periodo della pandemia.
Eppure per prendere la strada giusta basterebbe guardare a quanto accade negli Stati Uniti (noti per concedere gratuitamente solo alcune tra le prestazioni sanitarie indispensabile) dove la televisita e la teleassistenza, in questo periodo di pandemia, viene garantita a tutti i pazienti meno fortunati che fanno parte del programma Medicare per far sì che gli americani, in particolare quelli ad alto rischio di complicanze del virus che causa la malattia COVID-19, possano beneficiarne. In base a questa decisione essi potranno utilizzare gratuitamente app interattive con capacità audio e video per interagire con il proprio medico, oltre a 80 servizi aggiuntivi forniti tramite in teleassistenza.