distretti sociosanitari

Sanità, come rafforzare i servizi sul territorio col digitale



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Il ribaltamento della piramide demografica rende necessario un ripensamento dei servizi sanitari, partendo dall’individuazione di un percorso di cambiamento basato sull’utilizzo di strumenti digitali. In particolare, sull’uso dei big data a partire da dati amministrativi per attività sociosanitaria

Pubblicato il 26 giu 2023

Marcello Corbo

Responsabile “Sanità Digitale” PA Advice



Sanità digitale: l'importanza dell'anonimizzazione

Per cambiare davvero la Sanità grazie al PNRR, è necessario costruire un modello di offerta basato sull’effettiva domanda da parte della popolazione – un risultato che si può ottenere solo grazie agli investimenti sulla sanità digitale, e inquadrando in questo contesto il ruolo del nuovo Distretto Socio-Sanitario (DSS).

Una necessità che parte da un dato incontrovertibile: a guardarla da un lato, la piramide demografica è ormai invertita, con sempre più anziani e sempre meno giovani, per cui i cittadini hanno e avranno statisticamente sempre maggiore bisogno di cure, in particolare per ciò che riguarda i cronici e i non autosufficienti.

Dall’altro lato, il bilancio pubblico non ha i margini di manovra che aveva un tempo e la spesa sanitaria, in percentuale sulla ricchezza prodotta, si riduce progressivamente ogni anno (in previsione, dal 7,2% del pil nel 2021 al 6,2% nel 2025). Ed è già oggi inferiore alla media europea. Per cui è lecito, anzi doveroso domandarsi: come è possibile mantenere servizi pubblici per la salute che siano efficienti? Ovviamente con diverse, congiunte e convergenti azioni, ma con un minimo comune denominatore: la sanità digitale.

Sanità digitale, alla ricerca di un nuovo modello di offerta

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tramite la Missione 6, destina quasi 16 miliardi alla sanità, a cui aggiungere altri 4 miliardi di fondi complementari. Di questi 20 una buona fetta è dedicata alla digitalizzazione del sistema sanitario in particolare per l’assistenza territoriale e sociosanitaria. E forse è la parte strategicamente più importante. C’è da rilevare infatti come vengano previsti tutta una serie di progetti (per esempio, case e/o ospedali di comunità, centrali operative territoriali) che avranno però necessità di ulteriori azioni (come assunzioni/ricollocazioni di personale). In pratica, dopo aver realizzato le infrastrutture fisiche e tecnologiche necessarie, servirà trovare chi ci lavora. Ma, oggettivamente il budget è comunque limitato: circa 20 miliardi di PNRR in sette anni, a fronte di una spesa annua di circa 120 miliardi all’anno.

Il Population Health Management

Un valido strumento utile alla definizione di una corretta offerta sociosanitaria, in termini organizzativi, tecnologici e di servizi, in risposta all’effettivo bisogno della popolazione, può essere rappresentato dal Population Health Management (PHM). Il PHM individua un percorso di cambiamento basato sull’utilizzo di strumenti digitali. In particolare, sull’uso dei big data a partire da dati amministrativi per attività sociosanitaria (ricoveri, SDO, Specializzazione Ambulatoriale, Hospice, Esenzioni, etc), dati clinici e (FSE, CCE) informazioni socioeconomiche (banche dati nazionali). Una raccolta dati in grado di fornire informazioni precise a partire dalle esigenze concrete. Ma la sanità digitale consente anche una migliore “offerta sanitaria individuale”, poiché permette di organizzare il modello di presa in carico del paziente e della gestione delle informazioni tra i diversi punti di assistenza. E costruire percorsi dettagliati e personalizzati. Senza dimenticare la valutazione degli esiti (e dei costi), anche al fine di futuri miglioramenti.

Secondo una ricerca della School of Management del Politecnico di Milano realizzata in collaborazione con Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) nel 2022 la spesa in sanità digitale è stata di 1,8 miliardi, solo il 7% in più del 2021. Si prevede che il 54% delle aziende sanitarie italiane investirà nello sviluppo della cartella clinica elettronica e il 51% nell’integrazione con sistemi regionali e nazionali, ma risulta ancora rallentata la diffusione del fascicolo sanitario elettronico, utilizzato dal 33% degli italiani. Esistono certamente strumenti informali di comunicazione tra medici e assistiti (e-mail e WhatsApp), e le app o le piattaforme specializzate sono sempre più prese in considerazione dai dottori per migliorare la relazione e la comunicazione con i diversi attori che intervengono nel percorso di cura, in primis con i professionisti sanitari, ma siamo ancora all’alba di un vero percorso di digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.

Una strategia organica per la telemedicina

Sulla telemedicina si può fare un discorso simile. Con la pandemia se ne è capita la necessità. Infatti, ne fa uso il 39% dei medici specialisti e il 41% dei medici di medicina generale. Tuttavia, la potenzialità ancora inespressa è la capacità di sviluppare piattaforme di telemedicina a livello regionale e nazionale. Si tratta di un progetto sostenuto dal PNRR. Su questo quindi i fondi ci sono, i progetti anche, la tecnologia pure. Ma non basta. È necessaria una strategia organica che prenda in considerazione tutte le diverse dimensioni. Per avere un’idea di quanto siamo indietro, basta vedere che tre strutture sanitarie su quattro sono convinte che la cartella clinica elettronica debba essere una priorità assoluta. Ma solo il 42% la utilizza in tutti i reparti.

Certamente, vista la cronica carenza di personale, una delle sfide è quella di riallocare, riformare, generare nuove competenze attraverso l’ottimizzazione dei processi, la loro semplificazione, una migliore efficienza.

Il nuovo Distretto Socio-Sanitario

Forse la cartina di tutto questo è analizzare il paradigma del nuovo Distretto Socio Sanitario (DSS). I processi di fusione tra aziende sanitarie hanno aumentato il territorio, la rete di offerta e la popolazione di riferimento per i DSS. E infatti la Missione 6 del PNRR arricchisce la filiera di offerta territoriale, introducendo nuovi modelli di relazioni tra paziente e sistema di offerta e rafforzando la connessione tra servizi. Non si parte però da zero, perché esiste una cultura regionale sul DSS, frutto di una lunga tradizione, di politiche sull’assistenza territoriale e di scelte specifiche sugli assetti istituzionali e organizzativi delle aziende territoriali.

Ora è necessario inquadrare le trasformazioni del DSS in termini di funzioni emergenti per una rinnovata rete di offerta. E, anche, capire come cambia il ruolo del DSS e la sua organizzazione in funzione delle innovazioni prodotte dal PNRR e dal DM77/2022. In particolare, servirà descrivere le principali interdipendenze con le altre partizioni (macro-articolazioni) delle aziende sanitarie, quindi definire le nuove funzioni del DSS.

Conclusioni

Purtroppo, se anche oggi c’è molta enfasi sulla filiera dei servizi territoriali, su questo aspetto il dibattito e le riflessioni sembrano ancora in una fase molto embrionale, mentre servono azioni forti per costruire quelle relazioni istituzionali/community building per un presidio territoriale più adeguato ed evoluto.

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