La realtà virtuale (VR) in sanità permette di veicolare gli utenti finali in ambienti
di simulazione realistici tridimensionali, ma protetti. In questo ambito è possibile frequentare percorsi di formazione e addestramento. Oppure replicare condizioni ambientali critiche, per esempio in caso di emergenza sanitaria.
Ciò consente ai professionisti di acquisire competenze (saper fare) e abilità (saper essere) per poter affrontare, con maggiore sicurezza, situazioni di pratica clinica
comune o eccezionale (intervento chirurgico programmato rispetto all’urgenza). Ecco le potenzialità della virtual reality in campo sanitario e il vantaggio della simulazione, ma anche i limiti e le criticità da superare.
La realtà virtuale in sanità
La realtà virtuale è una soluzione tecnologica che offre molte applicazioni nel mondo civile e nella vita quotidiana, come per esempio la possibilità di visitare virtualmente i musei o partecipare ad altri eventi in modalità remota o, ancora, a giochi di ruolo e intrattenimento.
Le potenzialità di VR in ambito sanitario sono molteplici. Spaziano dalla semplice partecipazione a un evento formativo all’intervento di alta chirurgia specialistica. Nel mezzo sono disponibili soluzioni che, a vario titolo, possono contribuire alla definizione di un percorso terapeutico e riabilitativo personalizzato in cui il paziente assume un ruolo determinante come protagonista. Lo riporta la review pubblicata nel 2019.
Per riabilitazione si intende sia quella fisica sia quella mentale. Nel primo caso si rilevano le azioni e le reazioni cinestesiche. Nel secondo invece sono considerate quelle cognitive e comportamentali. L’ambiente di simulazione è quindi determinante
per porre il soggetto in un contesto consono alla propria problematica e dove siano presenti degli stimoli specifici e a intensità variabile cui il paziente stesso è esposto in modo controllato.
La terapia da esposizione
Questo concetto, definito come exposure therapy, rappresenta un approccio che trova interessanti applicazioni nel trattamento di particolari disturbi come il PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder) e le fobie. Ma anche in altre condizioni come i disturbi da dipendenza, ansia, depressione e il dolore cronico.
La terapia da esposizione attraverso VR è generalmente costituita dall’erogazione controllata e protetta di stimoli ambientali virtuali specifici cui il paziente viene esposto. Il vantaggio della simulazione è che l’ambiente in cui il paziente è immerso ha caratteristiche di protezione nei confronti dello stesso in quanto l’entità dello stimolo può essere predefinita e, in caso di necessità, la seduta può essere regolata o sospesa da parte del terapeuta.
L’approccio, oltre a consentire di per sé un intervento terapeutico diretto, permette anche di valutare l’efficacia di interventi complementari come, per esempio, terapia cognitivo comportamentale, mindfulness, EMDR eccetera.
Un recente articolo del Wall Street Journal riporta l’esperienza condotta presso l’University of Central Florida nel trattamento di PTSD in veterani delle guerre in Iraq e Afghanistan con la creazione di 14 ambienti specifici utilizzati per fronteggiare e rimuovere le memorie traumatiche intrusive, attraverso apprendimenti cognitivi e
comportamentali. Secondo gli intervistati, VR è uno strumento utile nella gestione di questo e altri disturbi. Ma allo stato attuale le evidenze di efficacia sono ancora poco robuste.
Questo non vuol dire che VR non sia efficace, ma che non ci sono ancora prove di efficacia certa anche per la difficoltà di standardizzare protocolli condivisi.
Raccomandazioni metodologiche
Nel 2019 sono state pubblicate le raccomandazioni metodologiche per la conduzione di clinical trial a oggetto VR che contengono alcune interessanti osservazioni tra cui la puntualizzazione di orientare le ricerche verso la valutazione oggettiva del beneficio clinico atteso e ottenuto, sia da parte degli sperimentatori (CORE, Clinical Outcome Research Experts) che da parte dei pazienti (PROM, Patients Reported Outcome Measurement). Andrebbe aggiunta la valutazione dell’esperienza vissuta da parte degli stessi pazienti (PREM).
Secondo gli autori dell’articolo, la ricerca su VR è spesso assimilata a un “Wild West” per la mancanza di chiare linee guida e standard di riferimento. Suggeriscono inoltre di non limitare la valutazione agli elementi puramente tecnici, ma di espandere i riscontri con le opinioni degli utilizzatori finali.
Allo stato attuale, le iniziative clinico-terapeutiche che tengono in considerazione il parere dei pazienti, coinvolgendoli anche nella progettazione del prodotto, sono quelle con maggiore successo clinico e imprenditoriale.
Le soluzioni della realtà virtuale in sanità
Nel 2022, la Food and Drug Administration (Fda) ha pubblicato l’elenco di soluzioni VR sottoposte a valutazione per la loro approvazione d’uso. Anche in questo caso le aspettative di efficace applicazione sono favorevoli. Specialmente per popolazioni vulnerabili: bambini, soggetti con disturbi mentali o deficit cognitivo, soggetti con deficit neurologici; o con scarso accesso al circuito di cura.
Esistono anche alcuni rischi relativi all’usabilità della soluzione (tensione muscolare al capo e al collo) e alla tolleranza all’ambiente virtuale e ai suoi contenuti (cybersickness con vertigini e nausea, perdita del senso di orientamento nello spazio fisico) generalmente controllabili con tempi bervi di esposizione. Si ipotizza anche una possibile insorgenza di disturbo da dipendenza da VR, non ancora verificato.
Effetto Proteus
Una trattazione a parte meriterebbero l’Effetto Proteus e la teoria della de-individuazione, intesi come l’assunzione di desiderabilità personale e sociale derivanti dalle caratteristiche assunte dal proprio avatar in ambienti virtuali. Aspetti che contribuiscono ampiamente a determinare favorevolmente l’effetto cognitivo e comportamentale della terapia da esposizione con VR.
La VR nella neuroplasticità
In ambito aspetti clinici, VR è una soluzione che agisce in modo importante sulla neuroplasticità, mobilitando, molto verosimilmente, riserve cognitive cerebrali da cui derivano i suoi ambiti di applicazione terapeutica. In particolare, la riabilitazione fisica e mentale con riapprendimento di abilità motorie e cognitivo-comportamentali deteriorate.
Neuro-architettura: una nuova disciplina
L’esposizione ad ambienti virtuali “arricchiti” sembra aumentare l’effetto clinico. La progettazione dell’ambiente acquisisce, pertanto, un significato particolare in quanto
risulta essere un elemento fondamentale per il disegno e lo sviluppo di contesti di simulazione (“ecocebo”, effetto placebo indotto dal contesto spaziale immersivo o reale), ponendo quindi le basi per l’origine di una nuova disciplina definita Neuro-Architettura.
Oltre ai contenuti terapeutici in senso stretto, le caratteristiche dell’ambiente virtuale hanno un preciso significato a sostegno del risultato clinico aumentando l’attenzione e facilitando l’apprendimento da parte dell’utilizzatore.
Ulteriori e interessanti sviluppi della realtà virtuale in sanità sono attesi dalla convergenza con altre soluzioni tecnologiche. La sensoristica cinetica permette la determinazione e la valutazione dei movimenti, sensori aptici, interfacce cervello computer, effetti sonori ad alta definizione eccetera.
Limitazioni alla realtà virtuale in sanità
Oltre alle potenziali evoluzioni, una serie di limitazioni rallenta l’adozione della realtà virtuale nella pratica clinica:
- i costi (in diminuzione rispetto al passato) della strumentazione;
- quelli per l’implementazione degli scenari virtuali;
- la frammentazione dell’offerta del mercato;
- soprattutto la diffidenza/resistenza dei clinici, come riportato in un report che restituisce i risultati di uno studio basato sul Technology Acceptance Model da parte di un gruppo di professionisti sanitari che hanno partecipato a una survey.
Nonostante una generale attitudine positiva nei confronti di casi d’uso clinici identificati come potenziali beneficiari della soluzione VR proposta, restano aperti alcuni punti da risolvere come la semplicità d’uso, l’addestramento all’uso della piattaforma e la valutazione dell’efficacia clinica nel mondo reale (RWE, Real World Evidence).
A questo proposito si ritiene opportuno sottolineare l’importanza della presenza e disponibilità di un data management strutturato necessario all’integrazione tra differenti archivi per migliorare il potere informativo delle misure registrate.
Conclusioni
Risolte le incertezze cliniche e di pratica operativa, rimane aperta una questione molto
importante, la contestualizzazione organizzativa. Come per l’adozione di ogni approccio innovativo, anche VR necessità di una visione evolutiva tendente all’assetto digitale, non solo tecnologico ma soprattutto mentale, del sistema in cui viene calata.
Infatti, come già riportato, la presenza di un assetto organizzativo già proficuo e prolifico, o disponibile al cambiamento, facilita e abilita l’introduzione di iniziative di trasformazione tecnologica e transizione digitale. Ma la presenza di falle (anche banali) espone a un elevato rischio di fallimento e conseguente aumento delle resistenze allo stesso auspicato cambiamento.
In conclusione, la realtà virtuale in ambito sanitario è un approccio molto promettente e già esperito con favore in situazioni cliniche specifiche a indirizzo riabilitativo, in particolare se adottato in un contesto organizzativo oriento al digitale. Il problema non sono solo le caratteristiche delle soluzioni tecnologiche proposte e disponibili. Invece serve un cambiamento radicale, sistemico e sistematico, per abilitare questa ed altre tecnologie innovative in sanità.