Le smart pills sono farmaci equipaggiati con sensori elettronici da ingerire che, quando inghiottiti, inviano messaggi in modalità wireless a dispositivi come cerotti, tablet, smartphone, situati all’esterno del corpo del paziente.
L’uso delle digital pills in Sanità rappresenta uno strumento che combina la tecnologia al drug delivery, permettendo un remote monitoring continuo, una migliore gestione della patologia, la possibilità di auto-tracciamento e auto-gestione del disturbo ed un aumento dell’aderenza al trattamento.
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Al contempo, questi dispositivi pongono seri problemi inerenti gli aspetti bioetici, di sostenibilità e sicurezza e, in definitiva, di reali opportunità di utilizzo nella pratica clinica.
Aderenza terapeutica: una criticità in sospeso
L’aderenza terapeutica è definita come il livello con cui il paziente segue la prescrizione del medico, più specificamente riguardo l’assunzione di farmaci. Ciò che i medici considerano un’aderenza terapeutica soddisfacente al fine di tutelare efficacia e sicurezza del trattamento – un parametro verosimilmente intorno all’80% -, rimane comunque un miraggio nella maggior parte dei pazienti cronici.
A penalizzare questo obiettivo, non sono solo dimenticanze occasionali accadute a persone consapevoli, autonome nella cura di sé, ma subissate da mille impegni, ma purtroppo diventa una “regola” nei soggetti anziani e alle prese con numerose altre difficoltà, in particolare associate alle labilità mnemoniche.
Allo scopo di risolvere o migliorare questo problema, la ricerca è impegnata su diversi fronti. Lo sviluppo delle digital pills è una delle strategie studiate per aumentare l’aderenza terapeutica nelle cronicità.
Le stime suggeriscono che, in questo ambito, l’utilizzo di bio-dati provenienti da sensori inseriti nei farmaci potrebbe garantire risparmi per 100-300 miliardi di dollari ogni anno.
Approvato da FDA il primo device da ingerire
La prima smart pill approvata da un ente regolatore è stata, nel 2017, Abilify MyCite, prodotta dall’azienda Proteus, che di recente ha dichiarato bancarotta.
Il dispositivo è stato autorizzato per il trattamento della schizofrenia e del disturbo bipolare. La patologia psichiatrica è fra le più coinvolte nel pericolo di bassa compliance allo schema di trattamento, con il rischio di causare conseguenze molto serie.
I pazienti tendono a saltare le dosi del prodotto perché correlato ad alcuni spiacevoli effetti collaterali, ma il farmaco protegge loro dagli ancora più spiacevoli effetti della malattia. Alcuni studi quantificano l’aderenza alla terapia nella popolazione di pazienti schizofrenici all’interno di un range che va dal 26,5% al 58,8%, un intervallo analogo a quello di molte altre malattie croniche. Tuttavia, in questo caso, la mancata assunzione dei medicinali ad orari e dosi stabiliti può portare ad esiti anche drammatici, come un tentativo di suicidio.
Il funzionamento di Abilify MyCite si basa sul fatto che, nella sua struttura, è incluso un meccanismo che consente il tracciamento del medicinale (aripiprazolo) tramite smartphone: uno strumento di grande aiuto, sia per il personale sanitario che ha in cura il soggetto (medici e farmacisti) che per il caregiver.
Quando il dispositivo arriva all’interno dello stomaco, l’ambiente acido determina l’attivazione del sensore, che invia il segnale di avvenuta assunzione del farmaco ad uno wearable posizionato sulla superficie cutanea del paziente. Da qui, partono i dati sull’avvenuta ingestione all’indirizzo degli operatori sanitari e del caregiver.
Alle informazioni di base possono essere aggiunte anche informazioni sull’attività della persona in esame, sul suo stato di movimento o di riposo.
Le sfide poste dal trattamento orale dei tumori
Pur avendo suscitato un grande entusiasmo iniziale, Abilify MyCite è andata tuttavia incontro a un destino non all’altezza delle aspettative. Nel frattempo, però, molte altre aziende si sono impegnate nello sviluppo di ingestible medical device.
La stessa Proteus è stata protagonista del lancio di un farmaco digitale analogo, stavolta indicato per la terapia del carcinoma del colon retto. La tecnologia alla base di questo dispositivo combina la chemioterapia, realizzata attraverso il rilascio del farmaco antitumorale capecitabina, con l’attivazione di uno speciale sensore che permette la raccolta di dati sull’aderenza terapeutica, che vengono inviati ad un cerotto applicato sulla pelle del paziente e condivisi con medici e caregiver.
Aspetti particolarmente importanti sono sollevati nell’ambito del trattamento del tumore con un farmaco per uso orale, accentuati dal fatto che la capecitabina debba essere assunta più volte al giorno, ponendo più di un problema nella compliance da parte del paziente.
Da allora Proteus ha incorporato questo chip di base in decine di altri suoi medicinali.
Le preoccupazioni riguardano la tutela della privacy
Se, da un lato, il paziente apprezza che ci sia uno strumento in grado di ricordargli quando deve assumere un medicinale, dall’altro lato, potrebbe nutrire dubbi sul coinvolgimento di terze parti, informate del fatto che egli stia assumendo quel farmaco.
La situazione diventa incandescente quando si affronta il tema dell’assunzione di psicofarmaci. Pazienti, il cui equilibrio mentale è già messo alla prova dalla malattia, potrebbero sentirsi spiati o aggrediti nella loro intimità, e dunque non comprendere chiaramente le implicazioni di questa tipologia di terapia.
Nei tribunali statunitensi è già accaduto che le autorità abbiano imposto a un paziente il tracciamento digitale della terapia, in cambio della scarcerazione del soggetto in esame o della rinuncia all’assegnazione della custodia dei figli. Tuttavia, questa consuetudine potrebbe diventare lesiva della dignità di una persona già affetta da disturbo psichiatrico.
Per gli utilizzatori, non sono trascurabili gli aspetti di verifica dell’autonomia con cui sono stati compilati i consensi informati e della comprensione effettiva di cosa realmente implichi questo trattamento sanitario.
Bilancio fra vantaggi e rischi nell’uso di Smart pills
In questo scenario, le Smart pills potrebbero essere percepite dai pazienti come un escamotage per aggirare la loro capacità di autodeterminazione riguardo la cura e, nello specifico, l’assunzione di un farmaco.
Se, da un lato, le digital pills appaiono potenzialmente utili per aumentare il livello di compliance allo schema terapeutico, dall’altro sembrano poter incrinare il rapporto di fiducia fra medico e paziente.
Proprio nel frangente storico nel quale i cittadini vengono invitati ad una maggiore consapevolezza nelle questioni sanitarie, ad un maggior senso di responsabilità nell’assunzione di medicinali e nella prevenzione, la diffusione delle smart pills potrebbe danneggiare gravemente il processo di patient engagement.
La domanda da porre è la seguente: vogliamo provare a migliorare l’aderenza terapeutica aumentando il coinvolgimento dei pazienti oppure tagliandoli completamente fuori dal processo decisionale?
Oltre alle pesanti interferenze nella relazione medico-paziente, basata da sempre sulla fiducia, le smart pills sollevano questioni inerenti il coinvolgimento di terzi, la sostenibilità (come è prevedibile, una smart pill costa molto di più rispetto alla sua omologa compressa non tecnologica) e la programmazione di un piano d’azione in caso di reazioni avverse dovute al malfunzionamento dell’apparecchiatura.
Un altro interrogativo coinvolge le assicurazioni sanitarie: in caso di caso di mancata compliance, interromperebbero i rimborsi?
Si pongono, dunque, questioni di bioetica difficilmente liquidabili sulla base dell’interesse economico. Aspetti che hanno contribuito al recente raffreddamento degli entusiasmi.
Non solo compliance
Le smart pills non hanno come esclusiva prospettiva clinica il tema dell’aderenza alla cura, ma è immaginabile un loro utilizzo anche in molti altri scenari.
Sensori e videocamere possono essere introdotti in una capsula a scopo diagnostico, per ridurre l’invasività di alcuni specifici esami endoscopici. Alcuni scienziati del MIT hanno sviluppato un dispositivo che segnala il sanguinamento intestinale nelle persone a rischio di poliposi familiare ereditaria e carcinoma del colon retto. Il sensore utilizzato contiene batteri che reagiscono alla presenza del gruppo chimico Eme, contenuto nel sangue, emettendo impulsi luminosi che attivano un segnale wireless che può essere ricevuto da un dispositivo elettronico semplice come uno smartphone.
Sempre al celebre istituto di Boston è stato prodotto un dispositivo composto da uno special idrogel che, ingerito, ingloba acqua fino a moltiplicare diverse volte il suo volume originario, rimanendo intrappolato nel tratto digestivo. In questo modo può rilasciare il farmaco in esso contenuto, in modalità continua per un certo periodo di tempo.
Le sfide della PillCam
Ormai popolare anche fra i non addetti ai lavori è la PillCam, una videocamera ingeribile che filma ciò che inquadra all’interno di tutto il sistema digerente, che percorre per intero, inviando immagini ad un sensore esterno al corpo. L’osservazione dei dati provenienti dalla PillCam viene eseguita dal medico con il supporto di un sistema di intelligenza artificiale, che assicura che all’operatore non sfuggano dettagli impercettibili, ma potenzialmente impattanti in sede di diagnosi o monitoraggio.
Durante la pandemia, per poter estendere l’accesso agli approfondimenti diagnostici anche a distanza, Medtronic ha richiesto e ottenuto l’approvazione di emergenza presso FDA per l’utilizzo della PillCam da remoto. Anziché recarsi in ospedale, il paziente può ingerire autonomamente il dispositivo a casa, ottenendo l’invio automatico dei dati ai medici.
Il Center for Disease Control and Prevention (CDC) statunitense stima che i disturbi gastrointestinali affliggano fra i 60 e i 70 milioni di cittadini americani. Questo implica la necessità di milioni di procedure endoscopiche, in particolare per escludere o confermare la presenza del carcinoma del colon retto, il peggior rischio in questi casi.
Com’è noto, si tratta di un esame fastidioso e correlato ad alcuni rischi, fra cui quelli di lesioni interne, perforazione della parete intestinale e di infezione. L’impiego di un ingestible device permetterebbe di limitare notevolmente l’invasività della procedura e la trasmissione in tempo reale dei dati.
Infine, se dotato di batterie adeguate, potrebbe rimanere all’interno del corpo per un intervallo di tempo necessario al monitoraggio di parametri aggiuntivi.