Il diritto alla salute è universale, ma in alcune regioni del mondo è più facile trovare una CocaCola di un medicinale.
La chiave è la supply chain, ma i fattori da considerare per una catena di approvvigionamento efficace comprendono la razionalità nel consumo dei farmaci, i prezzi accessibili e un finanziamento sostenibile della spesa sanitaria. A ciò si aggiungono, nei paesi in via di sviluppo, fattori stagionali ricorrenti che rendono inaccessibili alcune aree.
Caos supply chain, la risposta da startup innovative con robot e automazione
Supply chain e diritto alle cure: quando e perché non funziona
Un sistema di fornitura sanitario assicura che i medicinali partano dal luogo di produzione sino al luogo di cura del paziente.
Il sistema è efficiente laddove la consegna sia eseguita senza ritardi di rilievo e in misura adeguata al fabbisogno.
In economie sviluppate come quella degli Stati Uniti, il sistema si basa su pochi attori principali che ne assicurano l’efficienza.
Le medicine sono inviate su base settimanale, dopo la raccolta di ordini: questo presuppone sistemi ICT evoluti di raccolta ordini e di elaborazione dei dati.
Nei paesi sviluppati il sistema sanitario fornisce i medicinali attraverso magazzini medicali centralizzati (CMS – Central Medical Stores), spesso parte del Ministero della Salute.
I CMS procurano i medicinali in base a una programmazione annuale e sono poi distribuiti in maniera capillare su base mensile o trimestrale.
Tali sistemi dimostrano una notevole capacità di evitare malfunzionamenti nei Paesi che hanno buoni sistemi di infrastrutture.
Al contrario, in regioni con sistemi viari e ferroviari carenti, il sistema non si è dimostrato efficiente, come alcune ricerche hanno evidenziato in Nepal.
Questo accade spesso anche per l’assenza di strutture periferiche di immagazzinamento efficienti, nonché per l’assenza di elettricità e quindi anche di una vera e propria catena del freddo, che causa non pochi problemi di conservazione.
La situazione a volte appare paradossale: durante la pandemia da COVID19, l’India, sebbene sia uno dei maggiori luoghi di produzione dei vaccini, ha di fatto affrontato una penuria di dosi.
Non solo per le allocazioni delle società produttrici, che hanno privilegiato l’esportazione, ma anche per l’incapacità di eseguire le vaccinazioni in maniera capillare a causa dell’assenza di infrastrutture ma anche di banche dati che potessero assicurare una proficua allocazione delle dosi.
Tali criticità negano il diritto alla salute per le fasce più povere e disagiate della popolazione.
Supply chain e diritto alle cure: l’uso del data management
I sistemi di approvvigionamento presentato lacune in molti paesi, per ragioni diverse. Non esiste una soluzione unica, ma occorre individuare le singole necessità per sopperire alle carenze.
Un fattore sicuramente essenziale da considerare è senz’altro costituito dalle peculiarità locali. Le persone e le circostanze cambiano di luogo in luogo.
In un Ted Talk, Melinda French (meglio conosciuta come Gates) ha affermato che l’uso dei dati in tempo reale è quanto consente alla Coca Cola di approvvigionare i suoi consumatori in modo continuo: l’immediato riscontro sui consumi dovrebbe essere l’approccio che anche le ONG dovrebbero utilizzare per fare fronte ai bisogni di medicinali.
La Repubblica Centrale Africana è un esempio della validità di questa affermazione: attraverso l’aiuto dell’UNICEF, si è potuto constatare che le debolezze della catena di distribuzione sono molto spesso dovute alla mancata formazione del personale sanitario sul giusto dosaggio da applicare nella somministrazione di alcune medicine così come dell’errato utilizzo di altre. Ad esempio, per scopi afrodisiaci invece che per quelli curativi.
Supply chain e diritto alle cure: come migliorare
Tutti gli Stati stanno focalizzando la propria attenzione su come assicurare le forniture medicali, per evitare le complicazioni sorte con la pandemia.
La gestione delle forniture non si limita alla sola consegna: gli aspetti che devono essere considerati sono più ampi e la soluzione passa per un approccio intersezionale.
Diversi sono i piani di intervento:
Utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI)
L’AI ha il potenziale di rivoluzionare la creazione di un’efficiente rete di fornitura ottimizzando il trasporto, analizzando i bisogni e prevedendo i fabbisogni così da poter rispondere in tempo reale alle necessità.
E quando si parla di AI, non si tratta solo di processare immagini satellitari, dati telefonici e report online, ma ci si riferisce anche alla creazione di piattaforme mediche per assistere i pazienti da remoto, specialmente in quelle aree dove l’utilizzo dei telefoni cellulari è molto ampio, consentendo così di operare attraverso la telemedicina.
Utilizzo dei droni
La medicina a distanza fa sempre più ricorso ai droni, anche se la valutazione dei relativi costi e benefici non è ancora stata completamente eseguita.
I droni, che vediamo in azione nella Guerra in Ucraina o nella sorveglianza a Shanghai durante il lockdown, sono sempre più utilizzati in Africa per la consegna dei medicinali e per il ritiro dei prelievi.
Oltre al Ruanda, che ne ha introdotto l’uso sin dal 2016, ora anche in Malawi i droni sono utilizzati in un programma di assistenza medicale sostenuto dall’UNICEF.
I droni, oltre che per i trasporti, si prestano ad operazioni di rilevazione aerea che possono poi essere utilizzate per elaborare scenari relativi anche al deteriorarsi di condizioni igienico-sanitarie, prevenendo epidemie quali il colera.
Creazione di piattaforme per la gestione delle vaccinazioni
Il governo del Madhya Pradesh, in India, sta lavorando con il programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) per rafforzare la capacità degli operatori sanitari di gestire la logistica dei vaccini.
La piattaforma, denominate eVin electronic vaccination provvede informazioni in tempo reale sulla disponibilità giornaliere di dosi di vaccino, attraverso un’app scaricata sugli smartphone.
Attraverso questo sistema, le vaccinazioni infantili hanno avuto un notevole incremento nel Madya Pradesh.
Creazione di un’efficiente catena del freddo
Uno dei problemi che affligge i paesi in via di sviluppo è l’assenza di un’adeguata elettrificazione, che comporta l’impossibilità di avere sistemi di refrigerazione per la conservazione del cibo e anche dei medicinali.
Tornando al tema delle vaccinazioni, la carenza dei vaccini causa ogni anno la morte di circa 1,5 milioni di persone: morti che potrebbero essere evitate laddove le persone fossero vaccinate.
Gli esperti farmaceutici indicano l’importanza di una collaborazione internazionale che rafforzi l’esistenza di una catena del freddo: la creazione di vari luoghi di immagazzinamento che consentano la conservazione al freddo dei medicinali alle basse temperature richieste.
Ciò passa anche attraverso sistemi di elettrificazione rurale che consentano la creazione di energia off-grid, potenziando sistemi di immagazzinamento a macchia di leopardo.
Anche in questo caso la pandemia ha premuto l’acceleratore sull’innovazione: ad esempio, il Gambia ha iniziato un processo di creazione di catena del freddo proprio per agevolare la consegna dei vaccini, in ciò sostenuto dall’UNICEF e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.