E’ inverosimile credere che una crisi come questa scatenata dal Coronavirus si risolva con un’app. La Sanità digitale ha bisogno di una regia più estesa: servono un insieme di capability organizzate in un’architettura di tecnologie abilitanti e inserite in un contesto organizzativo e di governo. Vediamo come.
Picco, pianoro, discesa
La buona notizia è che ora si comincia a parlare della fase post-acuta: cosa succederà una volta che avremo superato il picco. La cattiva notizia è che, come ci ha spiegato il Presidente dell’ISS Brusaferro, il picco è un plateau. Quando l’ho sentito mi sono tornati in mente i bei tempi delle “convergenze parallele”. Brusaferro aggiunge anche che la curva dopo il picco, che in realtà è un pianoro, non è detto che scenda, perché potrebbe anche risalire. Questo mi sa davvero di fregatura. Da amante della montagna, guardando i dati mi viene da pensare che potremmo essere di fronte ad un’anticima. Un po’ come la Grande Bosse, la Petite Bosse o la Rocher de la Tournette, quelle tre piccole cime che trovi prima della vetta del Bianco e che ti massacrano le gambe e il fiato.
La verità vera è che non lo sappiamo dove siamo ma, come in montagna, dobbiamo andare avanti passo dopo passo fiduciosi che la cima vera non può essere troppo distante. Anche perché zone geografiche diverse del paese avranno velocità di salita e discesa diverse. Nel mentre dobbiamo attrezzarci per gestire bene l’ultimo pezzo di salita (speriamo breve) e la discesa che, come ogni appassionato di montagna sa, è molto più insidiosa e pericolosa della salita stessa.
Non basta un’app di contact tracing
Ora l’unico problema sembra essere quello di avere un’app per il contact tracing, ma dovremo prima o poi ragionare a mente fredda e capire che una crisi di questa portata non si risolve con un gadget tecnologico. Sarebbe come dire che per scalare una montagna bastano degli scarponi costosi.
È piuttosto necessario pensare ad un insieme di capability (strumenti, preparazione, organizzazione, pianificazione…) organizzate in un’architettura di tecnologie abilitanti e inserite in un contesto organizzativo e di governo.
Vediamo come questa architettura potrebbe svilupparsi a partire dai 3 layer fondamentali: tecnologia di delivery (hw e sw), informazioni e dati, modello operativo o requisiti di business.
Ci sono tanti modelli, il più famoso dei quali è quello del NIST. Il NIST prevede 5 livelli che sono facilmente riconducibili ai tre citati. Partiremo come stanno facendo tutti in questo momento dall’ultimo, ossia da “quello che si vede” come le app e tecnologie, per arrivare poi al modello dei dati e alla visione strategica e operativa. E per scoprire che in realtà avremmo dovuto partire al contrario…
- Modello strategico e operativo
- Modello e architettura delle informazioni e dei dati
- Applicazioni e tecnologie di delivery
Applicazioni e tecnologie di delivery
Raggruppiamole in 4 ambiti: diagnosi/cura, assistenza, prevenzione/contenimento e ricerca. Ci soffermeremo in particolare sulle tecnologie meno note o più interessanti.
- Diagnosi/Cura: questo è l’ambito più sotto stress in questo momento. È naturale, perché siamo nella fase acuta della pandemia. Da questo punto di vista diverse tecnologie, spesso al confine tra digitale e ingegneria clinica, sono fondamentali. Vediamo le principali:
- Stampa 3D e ventilatori. In questo ambito rientrano le tante innovazioni che stanno emergendo per far fronte alla scarsità di ventilatori polmonari. Lo scorso anno 77.000 ventilatori sono stati sufficienti per il fabbisogno dell’intero pianeta, ora solo New York ha annunciato che avrà bisogno di 30.000 ventilatori! C’è una vera e propria gara dove la Stampa 3D ha un ruolo da protagonista. Ovviamente il tema è delicato, perché un ventilatore polmonare è uno strumento critico. Se non funziona, nella maggior parte dei casi il paziente muore.
- AI per la diagnosi: questo tema è fondamentale soprattutto se pensiamo alla (già cronica prima della pandemia) scarsità di medici e di diagnosti. L’intelligenza artificiale può aiutare ad esempio nella diagnosi del COVID-19 a partire dalle immagini radiologiche.
- Tele* e… tutto on-line: sembra un’ovvietà (e non è certamente una tecnologia top), ma è fondamentale in questa fase e in quelle successive mettere on line tutto il possibile. Questo per evitare accessi alle strutture ospedaliere da parte di pazienti non COVID che potrebbero infettarsi. Telediagnosi, televisite, telecura, referti on-line, prenotazioni on line… insomma tutta la digitalizzazione “standard” della sanità su cui siamo purtroppo in colpevole ritardo e non per carenza di tecnologie.
- Assistenza: non ci dimentichiamo che oltre all’ospedale (setting per pazienti acuti) c’è anche il territorio e le strutture per non acuti (residenze di vario tipo per anziani e disabili, cronici che vivono a casa…). Alcune tecnologie interessanti in questo ambito:
- IoT e teleassistenza: anche qui tecnologie non nuove, spesso poco diffuse per problemi normativi e di modello di rimborso, che sono però fondamentali per il distanziamento tra pazienti e operatori sanitari. Infatti gli operatori che passano di casa in casa potrebbero essere veicolo di contagio, oltre che soggetti a rischio personale.
- Strumenti di comunicazione: anche questo sembrerà banale, ma il distanziamento sociale funziona meglio se ci sono degli strumenti compensativi (non sostitutivi) del contatto personale. Per tutte le persone fragili, sia in residenze che presso il proprio domicilio, dovrebbe essere attivato un massiccio programma per ridurre il digital divide. Molte persone non hanno gli strumenti o la connettività adeguata. Si poteva fare prima? Sì, anche su questo abbiamo un colpevole ritardo.
- Prevenzione/contenimento: qui ci sono delle tecnologie iper inflazionate a altre meno note ma altrettanto interessanti:
- App per il contact tracing: questo è l’argomento del giorno. Sembra che tutto dipenda da quale app sceglieremo. Il tema è trattato bene dall’Avv. Bolognini e lo sintetizzo così: vanno usate tutte le tecnologie necessarie, anche invasive purché efficaci, purché ci sia un contesto normativo chiaro e tutelante. L’app “su base volontaria” rischia di essere inefficace perché noi non vogliamo controllare le persone di buona volontà, vogliamo controllare in particolare gli incoscienti. E sono molti. Ultima nota: alcune big tech (Apple e Google) si stanno muovendo sul tema per garantire interoperabilità tra IOS e Android. È una buona notizia. Resta da capire chi vigilerà sull’uso dei dati, in un contesto dove le piattaforme tecnologiche sono mondiali e la legislazione sulla privacy è se ci va bene continentale…
- Fogne digitali: un modo per tenere sotto controllo anche dopo il famigerato picco le infezioni di ritorno è quello di monitorare le acque di scolo delle fogne! Lo sostengono in questo articolo su Nature. Mettere sensori nelle fogne e raccogliere dati tramite device IoT da monitorare nel tempo può essere un ottimo modo per accorgersi se in una certa zona la pandemia sta riprendendo a correre. Questa è una delle idee più originali ma anche più interessanti.
- Sorveglianza intelligente e rispettosa per… il rispetto delle regole: il tema sorveglianza evoca sempre incubi da grande fratello, ma se fatta in modo intelligente e rispettoso può dare un grandissimo contributo alla prevenzione. Immaginiamo sistemi di video-sorveglianza in grado di rilevare persone che non indossano le mascherine. Potrebbero non identificare la persona ma segnalare al personale di vigilanza (delle aziende o pubblico) che pattuglia fisicamente gli spazi dove focalizzare gli interventi. Lo stesso per l’analisi dei dati delle cellule telefoniche o wi-fi per verificare potenziali assembramenti.
- Ricerca: la tecnologia sta dando e darà grandi contributi anche in ambito ricerca. Non dimentichiamoci che tutte le misure di cura e distanziamento sociale che stiamo attivando sono fondamentali ma non risolutive. L’unico modo di debellare veramente l’epidemia è trovare una cura, che sia un farmaco o un vaccino. Qui ci sono due tipi di tecnologie a supporto:
- Intelligenza artificiale per trovare nuove molecole: ho già citato in altri articoli alcuni esempi di AI applicata a questo tema. Innanzitutto ci sono Google Deepmind e BenevolentAI, che cercano di analizzare il virus e proporre nuove molecole per combatterlo oppure l’uso di farmaci già esistenti che potrebbero limitare la virulenza del coronavirus. In Italia non stiamo a guardare: CINECA è uno degli attori che si è attivato su questo tema. Il concetto è di utilizzare algoritmi di simulazione per studiare il comportamento delle proteine che consentono al virus di replicarsi in modo da verificare quali farmaci/molecole possano rallentare questo processo. Utilizzando un super computer i tempi di analisi passano da mesi a settimane.
- AI per clinica trials: altro filone interessante è quello di usare piattaforme di AI per velocizzare i clinical trials. Sappiamo infatti che uno dei problemi con lo sviluppo dei nuovi vaccini è quello dei tempi. I clinical trials sono doverosi per essere sicuri che il vaccino non faccia più danni di quelli che cura, purtroppo sono processi che durano mesi o anni. Le simulazioni digitali potrebbero aiutare a ridurre questi tempi. Una manna nella situazione attuale!
I big data non sono una soluzione pronto uso
Qualcuno potrebbe osservare che fino ad ora non ho mai citato uno dei temi più trendy di oggi e anche di ieri, quello dei big data (non so perché ma tutti lo scrivono in maiuscolo, ma credo sia più corretto in minuscolo) magari accoppiati con l’intelligenza artificiale. La risposta “politically correct” è che big data + AI sono trasversali a tutte le applicazioni di cui ho parlato. La verità però è che onestamente non ne posso più di sentire che grazie ai big data e all’AI potremo predire il futuro, agire in modo preventivo e risolvere tutti i nostri problemi.
La pandemia di COVID-19 ha dimostrato che l’insipienza umana non ha limiti. Quello che sta succedendo era ampiamente prevedibile almeno dalla SARS in poi (novembre 2002), tanto è che alcuni stati lo hanno previsto e si sono attrezzati. Purtroppo nonostante ci siano da tempo tutte le informazioni (in big o small data) per capire cosa sarebbe successo o succederà, fino a 2 settimane fa Trump minimizzava, Boris Johnson stringeva mani agli infetti e ancora oggi gli svedesi vanno in giro come niente fosse.
Vale sempre il vecchio adagio di chi lavora sui dati: i dati non necessariamente creano informazioni, le informazioni non sempre alimentano conoscenza, la conoscenza non sempre genera saggezza. Inoltre stiamo misurando in modo evidentemente diverso lo stesso fenomeno negli stessi paesi della Comunità Europea. Più che big data e AI qui ci vorrebbero small data (= guardiamoci intorno) e HI (Human Intelligence).
E ora torniamo a guardare gli altri due layer della piramide dell’architettura (Informazioni/dati e modello strategico/operativo) per qualche considerazione. Da un certo punto di vista le applicazioni e le tecnologie che abbiamo visto, contrariamente alla rappresentazione che ne fa il NIST, sono la cima della montagna. Nessuna escursione o scalata parte dalla cima. Si parte dalla pianura, dove dobbiamo confrontarci con le tre domande fondamentali: perché vogliamo partire, dove vogliamo andare e quali informazioni ci servono (e solo dopo con che mezzi).
Prima la strategia, poi la tecnologia
Questo è a mio parere quello che ci manca. Di fronte a risorse infinite potremmo trascurare di porci le domande di cui sopra e cominciare ad implementare tutto indiscriminatamente. Ovviamente non funziona così nella realtà. Allora per una allocazione razionale delle risorse (economiche e tecnologiche ma anche umane) l’architettura di business, ossia la strategia e il modello operativo, che condizionano il fabbisogno informativo e di applicazioni/tecnologie, vanno definiti prima.
C’è un interessante articolo sulla Harvard Business Review che analizza i modelli regionali italiani, tema ripreso anche in altri articoli. In super sintesi: il modello ospedale-centrico e con un basso numero di tamponi (Lombardia) contrapposto ad un modello più incentrato sul territorio e con uso estensivo dei tamponi (Veneto e in parte Emilia-Romagna). Sono due strategie e due modelli operativi diversi e a mio parere solo alla fine della pandemia potremo valutare a mente fredda cosa è realmente successo.
Tuttavia dalle evidenze ad oggi sembra che il modello veneto/emiliano funzioni meglio. Concentrare le persone negli ospedali e fare pochi tamponi non sembra una strategia vincente. Allora ecco perché è fondamentale decidere prima la strategia e il modello operativo: se sposiamo quanto espresso nell’articolo della HBR, il rafforzamento della rete territoriale, l’uso del ricovero ospedaliero solo per i casi non trattabili a domicilio e con un pre-triage fuori dall’ospedale oltre allo screening di massa sono strategici e alcune tecnologie dovranno ricevere più attenzione e più investimenti di altre.
Va bene l’app (con i distinguo già citati), ma anche tele-assistenza per poter seguire le persone a casa, respiratori portatili, tele* per gli ospedali in modo da tenere la gente lontano dalle strutture il più possibile, sistemi di sorveglianza intelligente… diventano certamente le priorità.
Questo potrebbe evitarci grandi investimenti in nuove terapie intensive ospedaliere, che sono difficili da creare e andranno smontate post pandemia, e dotarci invece di una rete di assistenza sul territorio che sarà utilissima per i cronici anche quando tutto questo sarà finito.
Senza contare che c’è anche una dignità nel fine vita, uno degli aspetti più drammatici di questa esperienza, che il virus spesso ci toglie. Tante persone hanno visto i loro cari sparire dentro un’ambulanza e non hanno più avuto contatti con loro. Se quindi si sposa un modello diverso da quello ospedale-centrico, cambiano le piattaforme e le tecnologie abilitanti in modo sostanziale. Altrimenti quello che succede è che… ogni regione e ogni territorio va per la sua strada senza un coordinamento! Probabilmente sarebbe meglio scegliere un modello (valutando quale ha funzionato meglio) e copiarlo (intelligentemente) per quanto possibile. Del resto, se c’è una cosa che il digitale ci ha insegnato, è che il “cut&paste” spesso aiuta!
Un ultimo pensiero, in questo articolo centrato sulla tecnologia, è riservato a soluzioni replicabili anche in contesti con digitalizzazione limitata. Lo scorso anno sono stato in Madagascar[20]. Cosa avverrà lì o in tanti altri paesi del terzo e del quarto mondo nessuno lo sa, stiamo tutti sperando che la giovane età della popolazione li preservi. Purtroppo però ci sono tante persone in condizioni di salute precarie o denutrite che non sappiamo come reagiranno al virus.
Ma non dimentichiamoci che anche in Italia e in Europa ci sono tantissime regioni o cluster di popolazione per cui la tecnologia complessa non è una leva utilizzabile, mentre tecnologie più semplici forse sì. Mai come oggi il digital divide rischia di essere una questione di vita o di morte.