Le aziende che producono strumenti tecnologici in grado di incidere sulla nostra salute e sulle nostre malattie sembrano finalmente aver capito che non è sufficiente realizzare un prodotto, seppur tecnologicamente avanzato, ma a questo devono seguire studi clinici approfonditi in grado di garantirne l’affidabilità.
Infatti, solo alla fine di un percorso che termina con una certificazione da parte di un ente regolatorio, lo strumento realizzato può avere buone possibilità di porsi (e imporsi) sul mercato. Le aziende americane sono particolarmente attente al fenomeno, come dimostra il numero sempre più elevato di prodotti tecnologici che esse sottopongono alla Food and Drug Administration perché siano certificati e classificati come dispositivi medici. E anche la Food and Drug Administration, a differenza di quanto accade per le omologhe istituzioni europee, mostra una particolare sensibilità su questi argomenti, come dimostrano le recenti certificazioni riconosciute ad applicazioni davvero all’avanguardia.
Gli esempi di tecnologie
Lo dimostra il recente caso di KardiaBand, il primo accessorio per dispositivi medici prodotto da AliveCor (una società fondata da Vic Gundotra, ex direttore di Google+), approvato dalla Food and Drug Administration per l’uso con Apple Watch e venduto negli Stati Uniti al prezzo di 199 dollari. Un sensore inserito nel dispositivo misura la frequenza cardiaca ogni cinque secondi e indica agli utenti che lo indossano quando i valori sono fuori dai valori consentiti, invitandoli a eseguire, tramite un altro sensore allocato nel braccialetto, un elettrocardiogramma (ottenuto in 30 secondi), che può essere visualizzato sul display dell’Apple Watch ed inviato automaticamente al medico o al cardiologo. La particolarità dello strumento è che attraverso una rete neurale e algoritmi di intelligenza artificiale di cui dotato, è in grado di analizzare la frequenza cardiaca di chi lo indossa in base alla sua storia e ai dati cardiovascolari raccolti da persone malate e sane (personalizzando così il concetto di anormalità) e di predire con un certo anticipo il manifestarsi di malattie come la fibrillazione atriale e l’ictus. D’altra parte, quello cardiovascolare è un ambito nel quale anche la Apple sta massimizzando la sua attenzione. I suoi sforzi si sono concentrati sul recente progetto Apple Heart Study, uno studio nato in collaborazione con la Stanford Università per raccogliere dati sui ritmi cardiaci degli utenti che possiedono un Apple Watch in modo da poter individuare le persone con aumentato rischio di incorrere nelle principali malattie cardiovascolari.
Un altro recente caso è quello di Butterfly Network IQ, un piccolo dispositivo che trasforma lo smartphone in strumento per eseguire ecografie. Lo strumento ha di recente ricevuto la certificazione dalla Food and Drug Adminitration per 13 diverse applicazioni, comprese quelle per misurare la funzionalità del cuore, quelle fetali e ostetriche, e quelle relative ai problemi all’apparato muscolo scheletrico. L’apparecchio funziona con una tecnologia diversa da quella degli ecografi tradizionali. In questo caso delle micromacchine generano un’onda sonora che colpisce il corpo, il cui rimbalzo viene poi analizzato da un sistema di intelligenza artificiale. Tutti i controlli e il salvataggio dei dati sono affidati allo smartphone a cui il sistema è collegato.
Gli studi condotti dimostrano una qualità dell’immagine paragonabile a quella degli ecografi professionali, ma con costi molto più contenuti (circa 2.000 dollari; la commercializzazione avverrà a partire dall’inizio del 2018). La Food and Drug Administration ha per ora limitato il suo impiego solo ai medici e in contesti ospedalieri, anche se, come è facile intuire, potrà trovare presto impiego anche tra altri medici che operano al di fuori delle strutture ospedaliere.
Non è la prima volta che strumenti del genere sono stati certificati come dispositivi medici dalla Food And Drug Administration, come dimostra il via libera dato a partire dal 2011 alla start-up Mobisante per una dei primi ecografi basati sugli smartphone.
È invece la prima volta che la Food And Drug Administration concede l’autorizzazione alla vendita alle “pillole digitali”. Si tratta di pillole che includono, oltre al farmaco, un sensore, assimilabile dal corpo umano, in grado di segnalare se una pillola è stata ingerita o meno. Il sensore, contenente rame, magnesio e silicio (ingredienti sicuri già presenti negli alimenti), genera un segnale elettrico quando entra in contatto con i liquidi presenti nello stomaco. Dopo diversi minuti, il segnale viene rilevato da un apposito cerotto che deve essere opportunamente indossato dal paziente. Tramite bluetooth, il cerotto invia a una specifica app installata sullo smartphone del paziente la data e l’ora di assunzione del farmaco insieme ad altri parametri che misurano la sua attività, che possono così essere inviati, insieme ad altre informazioni inserite dal paziente tramite la stessa app in un database a cui possono accedere i medici e le altre persone che sono state autorizzate.
La pillola appena approvata, denominata Abilify MyCite, è nata da una collaborazione tra Otsuka, il produttore del farmaco (in questo caso si tratta del farmaco psicotico Abilify) e Proteus Digital Health, una società californiana che ha creato il sensore. Sebbene nata in un contesto psichiatrico, l’uso della pillola digitale è in corso di studio anche per curare altre patologie come quelle cardiovascolari, l’ictus, l’HIV e il diabete. Le potenzialità di questa tecnologia sono enormi e includono il monitoraggio della aderenza al trattamento (si stima che metà dei pazienti a cui è stata prescritta una terapia farmacologica non la assume correttamente o non la assume affatto), il possibile monitoraggio di pazienti post-chirurgici per sapere se hanno assunto troppi farmaci oppioidi, e quello dei partecipanti alle sperimentazioni cliniche per sapere se hanno assunto correttamente farmaci in fase di test.