Con la sentenza n. 452 depositata lo scorso 23 febbraio il TAR Lombardia – sede di Milano – si è pronunciato sul tema della qualificazione come dispositivo medico di una piattaforma software utilizzata nell’ambito della fornitura a distanza di servizi sanitari.
In tale occasione il TAR, in linea con la (limitata) giurisprudenza disponibile e le linee guida fornite dall’EU Medical Devices Coordination Group, ha ritenuto che, in assenza di una funzione di analisi ed elaborazione dei dati a fini medici – non rinvenibile nella sola archiviazione e classificazione degli stessi – la piattaforma non può essere qualificata come dispositivo medico.
Telemedicina: l’algoritmo è meglio del dottore? Forse, ma non è garante dei nostri diritti
Queste indicazioni, seppure non si discostino da quanto ci si sarebbe potuto attendere, sono sicuramente di grande rilevanza alla luce dei numerosi progetti che le pubbliche amministrazioni stanno lanciando per coinvolgere operatori privati nell’implementazione delle infrastrutture necessarie per la telemedicina. Si menziona, da ultimo, quello lanciato a fine marzo dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) per esplorare la possibilità di istituire un partenariato pubblico/privato per la progettazione, realizzazione ed erogazione di servizi informatici che facilitino l’accesso alla Piattaforma Nazionale di Telemedicina, con l’obiettivo di migliorare l’integrazione tra i fornitori di servizi locali e la suddetta Piattaforma, nonché potenziare i servizi di telemedicina su scala nazionale.
Peraltro, in questo ambito, il quadro regolatorio è sempre in evoluzione, come testimonia la bozza di Decreto del Ministero della Salute (trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni a fine aprile) previsto dal PNRR che contiene le linee guida organizzative per il “Modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare”. Pertanto, la formazione di una giurisprudenza che fissi alcuni punti fermi nella disciplina della telemedicina rappresenta sicuramente un elemento positivo, che contribuisce a dare certezza agli operatori del settore.
Il caso deciso dal TAR
La sentenza in commento è stata pronunciata nel contesto di una gara indetta da un’azienda sanitaria per la fornitura di un servizio di telemedicina domiciliare, destinato a pazienti affetti da BCPO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva) e SCC (Scompenso Cardiaco Cronico). In particolare, la fornitura aveva ad oggetto sia il noleggio di apparecchiature elettromedicali necessarie all’acquisizione dei parametri dei pazienti (saturimetri ed elettrocardiografi), sia i servizi collegati all’archiviazione e gestione dei dati dei pazienti, dei dati di monitoraggio e di quelli relativi alla terapia e alle decisioni cliniche.
Mentre per le apparecchiature il capitolato speciale d’appalto prevedeva espressamente il requisito della certificazione CE per i dispositivi medici, oltre che l’iscrizione alla CND (Classificazione nazionale dei dispositivi medici) e relativo RDM (Repertorio generale dei dispositivi medici), nessuna indicazione in tale senso era invece prescritta con riferimento alla piattaforma software per l’archiviazione e gestione dei dati.
A seguito di aggiudicazione della gara in favore della società Alpha, la società Beta presentava ricorso contestando la legittimità dell’affidamento in quanto (tra l’altro) la piattaforma telematica offerta dall’aggiudicatario non aveva ottenuto la marcatura CE. Ciò sull’assunto che la definizione di dispositivo medico contenuta nell’art. 2, n. 1, del Regolamento (UE) 2017/745 (e già nell’art. 1, par. 2 della Direttiva 93/42/CEE, applicabile al caso in esame) include anche qualunque software destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una delle finalità mediche ivi indicate, fra le quali la diagnosi, il monitoraggio, la prevenzione, la prognosi o l’attenuazione di una malattia umana.
La sentenza si sofferma quindi sui requisiti che un software deve possedere per ricadere nell’ambito di applicazione della normativa di settore, ossia il Regolamento (UE) 2017/745 (“MDR”) e, in precedenza, la Direttiva 93/42/CEE.
La decisione del TAR
Nel pronunciarsi sul motivo di ricorso, il TAR analizza le specifiche caratteristiche funzionali della piattaforma telematica oggetto di fornitura, evidenziando in primo luogo come dalla stessa disciplina speciale di gara emerga che il software sia destinato a fungere da mero collettore dei dati acquisiti mediante le apparecchiature elettromedicali.
I dati sanitari, una volta raccolti, sono infatti trasmessi alla piattaforma che si limita a classificarli e archiviarli creando una banca dati consultabile nell’ambito dell’erogazione dei servizi di telemedicina. Il software non è destinato a svolgere alcuna attività medica in senso stretto (diagnosi, monitoraggio, controllo, etc.), a differenza delle apparecchiature di misurazione che acquisiscono i dati dei pazienti.
Ciò che è assente, dunque, è una funzione di analisi ed elaborazione dei dati a fini medici – non rinvenibile nella sola archiviazione e classificazione degli stessi – indispensabile ad attribuire una destinazione d’uso medica specifica al software e di conseguenza a qualificarlo come dispositivo medico.
Sul punto il TAR richiama anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale statuisce che “un software è un dispositivo medico quando è specificatamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una o più delle finalità mediche stabilite nella definizione di dispositivo medico” e che “ciò non avviene nel caso di un software che, pur destinato a essere utilizzato in un contesto medico, ha tuttavia l’unico scopo di archiviare, memorizzare e trasmettere dati”. In queste circostanze il software, benché utilizzato in un contesto sanitario, non è un dispositivo medico.
Per tali ragioni il TAR ha rigettato (tra gli altri) questo motivo di ricorso non ritenendo, dall’analisi delle funzionalità della piattaforma telematica, che questa dovesse essere classificata come dispositivo medico e recare di conseguenza la relativa marcatura CE.
L’analisi ed elaborazione dei dati a fini medici come criterio determinante
Come anticipato, la pronuncia del TAR si pone in linea con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema della distinzione fra “mero” software e piattaforme che devono invece qualificarsi come dispositivi medici.
Indicazioni in tale senso si rinvengono nella stessa definizione di dispositivo medico ai sensi del MDR (art. 2, n. 1 e Considerando n. 19) nonché nelle linee guida del Medical Device Coordination Group già pubblicate nell’ottobre 2019. Proprio queste ultime escludono espressamente dal campo di applicazione del MDR tutti quei sistemi informatici destinati solamente a trasferire, memorizzare, convertire, formattare o archiviare i dati, senza alcuna elaborazione degli stessi per uno specifico scopo medico.
Conclusioni
In conclusione, è evidente che la qualificazione di una piattaforma telematica come dispositivo medico non può prescindere da un’indagine approfondita sulle sue modalità di funzionamento e di utilizzo, non essendo sufficiente la sola circostanza che il software sia impiegato nello svolgimento di attività medica.
Da ultimo, è bene ricordare che anche in assenza di una destinazione d’uso medica specifica, un software può comunque rientrare nell’ambito di applicazione del MDR se costituisce accessorio di un dispositivo medico, in quanto destinato ad essere utilizzato “con uno o più dispositivi medici, per permettere in particolare che gli stessi siano impiegati conformemente alla loro destinazione d’uso, oppure per assistere specificamente e direttamente la funzionalità sul piano medico dei dispositivi in relazione alla loro destinazione d’uso” (art. 2, n. 2, del MDR).