Le terapie digitali sono ancora poco conosciute, anche tra gli addetti ai lavori. Usate per curare patologie riguardanti la salute mentale, quelle croniche e le dipendenze, sono basate prevalentemente su App, interventi basati sul web e videogiochi.
Una maggiore diffusione delle conoscenze sulle terapie digitali e delle loro peculiarità tra gli addetti ai lavori potrebbe favorire una loro diffusione. Un maggior ricorso alla ricerca clinica (in particolare alle sperimentazioni cliniche randomizzate) potrebbe favorire una loro validazione. Un maggiore collaborazione tra produttori tecnologici e mondo della ricerca (accademia e centri di ricerca abituati a usare queste metodologie), renderebbe più agevole e veloce il raggiungimento di entrambi i risultati.
Terapie digitali: perché l’Italia non può perdere quest’opportunità
Sono i principali risultati di una revisione sistematica degli studi clinici riguardanti le terapie digitali condotta dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, appena pubblicata sulla rivista Ricerca&Pratica e presentata al recente congresso della European Society of Cardiology.
Il punto sulle terapie digitali
Le terapie digitali sono una sotto-categoria degli strumenti di digital health (che comprendono software o componenti hardware) che offrono veri e propri interventi terapeutici in grado di gestire, trattare e prevenire alcune patologie e che sono basati sulla modifica degli stili di vita e sulla codifica di terapie cognitivo comportamentali. A differenza degli strumenti più generali della digital health, sono terapie basate sull’evidenza scientifica ottenuta attraverso sperimentazioni cliniche controllate e randomizzate confermatorie, così come accade per misurare l’efficacia delle terapie farmacologiche tradizionali.
In sintesi: si tratta di interventi curativi (e non per esempio a supporto della aderenza al trattamento farmacologico) studiati attraverso la metodologia della ricerca più rigorosa. Questa precisazione è importante. Molti sviluppatori e molte aziende hi-tech che, spesso per la prima volta si affacciano al campo medico-sanitario, infatti realizzano strumenti che chiamano “terapie digitali” ma, che, pur essendo digitali, non possono essere inquadrati come terapie. Hanno a che fare in genere con il concetto di strumento di digital health (che raccolgono, archiviano o trasmettono dati sanitari e/o erogano o supportano servizi sanitari) o nei casi più fortunati con il concetto di strumento di digital medicine (che misurano e/o intervengono a servizio della salute umana come fanno per esempio certi orologi intelligenti che misurano la fibrillazione atriale o alcuni sistemi che trasformano uno smartphone in un ecografo). Inoltre, spesso non sono supportati da prove scientifiche, o, quando questo accade, la metodologia di studio (clinico) non è sufficientemente solida.
Una revisione sistematica degli studi clinici condotti sulle terapie digitali
Per misurare quanto questi aspetti siano frequenti, abbiamo condotto una revisione sistematica degli studi clinici condotti sulle terapie digitali che sono raccolti su ClinicalTrials.gov. Si tratta del più importante registro di sperimentazioni cliniche internazionali (quasi 400.000 condotte in 219 Paesi nel mondo) nel quale i ricercatori di tutto il mondo segnalano le sperimentazioni cliniche in corso, la maggior parte delle quali riguarda terapie farmacologiche e non farmacologiche (come i dispositivi medici o gli strumenti di digital health).
Nel database abbiamo ricercato tutti gli studi condotti nel corso degli ultimi anni nel campo delle terapie digitali e li abbiamo classificati per condurre successivamente una analisi delle loro caratteristiche.
Il dato più interessante è che dei 560 studi individuati, 424 (il 76%) sono stati esclusi perché gli interventi in studio non erano coerenti con la definizione di terapia digitale. Duecentocinque sono stati esclusi perché si trattava di studi clinici che non erano randomizzati (il disegno non prevedeva, cioè, un braccio/intervento di confronto, necessario per misurare se l’efficacia dell’intervento digitale è statisticamente differente da quella osservata in coloro che usano l’intervento tradizionale o il non intervento), 181 non coinvolgevano alcun tipo di intervento tecnologico, 38 lo prevedevano ma non erano identificati come terapia digitale (per esempio lo strumento di digital health in studio era stato realizzato per favorire l’aderenza al trattamento farmacologico o il monitoraggio di sintomi/eventi avversi).
Dei 136 studi analizzati, l’intervento di terapia digitale è rappresentato da App (41.9%), da interventi basati sul web (25.7%), da videogiochi (8.8%) e da sistemi di realtà virtuale (4.4%). Non mancano strumenti tecnologici meno avanzati come i messaggi testuali (SMS e email, 3.7%), piattaforme di social media (2.9%) e software basati su computer (2.2%).
Per quanto riguarda le patologie in studio, le più presenti sono quelle riguardanti l’area della salute mentale (34.6%), seguite da quelle croniche o quelle che producono dolore cronico (19.1%), dalle dipendenze da fumo, consumo di alcol, abuso di sostanze che creano dipendenza (12.5%), dai problemi legati al sonno (8.8%), da quelle riguardanti obesità, alimentazione e esercizio fisico (8.1%), e dalle malattie cardiovascolari (7.4%). Altre patologie erano presenti con percentuali minori.
Il 26.5% degli studi è promosso dall’industria, molto probabilmente digital/tecnologica, da sola o in collaborazione con altre organizzazioni istituzionali, mentre i restanti studi (73.5%), sono promossi da altre organizzazioni e istituzioni differenti dall’industria, tra cui accademie, società scientifiche, istituzioni pubbliche ma anche ricerca pubblica e indipendente no profit. Altro dato interessante è che metà degli studi sono iniziati nel 2019 ad indicare come solo negli ultimi anni le terapie digitali si siano fatte maggiormente strada.
Conclusioni
Quali suggerimenti trarre?
Esistono studi che dimostrano la scarsa conoscenza delle terapie digitali da parte dei medici, dei pazienti e delle istituzioni. Questo studio dimostra una conoscenza superficiale sul tema anche da parte dei produttori di nuove tecnologie e degli stessi ricercatori.