L’Italia ha bisogno di una Sanità che ragioni con i dati. Ci saremmo evitati situazioni come quella dei vaccini e sms in Lombardia, errori evitabili. Ma il Paese alla cieca senza avere dati, su cui basare decisioni. L’ha detto, finalmente, con consapevolezza nuova dopo un anno di pandemia, anche il ministro alla Salute Roberto Speranza in audizione al Parlamento: “Investire nella trasformazione digitale del Servizio sanitario nazionale è una priorità per il nostro Paese, così come per tutti i Paesi europei – ha detto – è un lavoro che deve cominciare dal cuore stesso del sistema”.
“Ciò che ora serve sempre di più è una centrale di calcolo in grado di elaborare la grande quantità di dati disponibili, per ricavarne informazioni esaustive e puntuali destinate a supportare una governance più efficace del Sistema Sanitario nazionale e soprattutto la costruzione di analisi e scenari: questi mesi ci hanno insegnato l’importanza dei modelli predittivi per prendere decisioni da cui dipende la vita di tutti. Pertanto occorre disegnare un modello unico e una rete nazionale che permettano di gestire gli archivi dei dati disponibili e di raccogliere e organizzare una mole di informazioni che crescerà in modo esponenziale”.
Un tema che riteniamo importante, tanto che vi dedichiamo la puntata del primo aprile della tv 360 on (qui per registrarsi).
Come potremmo vaccinare meglio con una Sanità basata su dati
La pandemia ha mostrato in modo chiaro e ineludibile che il controllo sui dati è necessario per una Sanità efficiente.
Consideriamo proprio i vaccini. I dati ci permettano di capire chi è davvero a rischio e chi no e su questo dato pianificare le vaccinazioni.
Sapremmo:
- Chi ha avuto certe patologie, associato a un maggiore rischio ricovero.
- Chi è obeso, condizione che aumenta il rischio morte per covid.
- Chi ha il diabete, distinguendo tra chi ce l’ha sotto controllo e chi ce l’ha fuori controllo.
Ora non sappiamo le caratteristiche cliniche salienti di chi si è ricoverato e di chi deceduto rispetto a chi non si è ricoverato.
L’anamnesi di chi si è ricoverato non finisce in un database nazionale, oggi (quello evocato da Speranza).
Con i dati avremmo potuto sapere chi era a rischio realmente e chi non lo ero. E stabilire chi vaccinare per primo e chi dopo.
E tenere conto anche dei conviventi, come badanti (care-giver) e vaccinare anche quelle. Altrimenti il rischio continua a esserci. Sui soggetti fragili nei Paesi che ragionano con i dati ci sono queste informazioni.
Ancora: quanti sono gli insegnanti che si sono ammalati rispetto alle altre categorie professionali, per decidere chi vaccinare? Stanno vaccinando i bidelli…davvero sappiamo che sono a rischio, quanto gli insegnanti? Se non hai i dati spari alla cieca.
Infine, se avessi avuto dati robusti e analizzati sui pazienti vaccinati con Astrazeneca, la decisione a riguardo sarebbe stata più accurata o perlomeno più velocemente l’Italia avrebbe deciso lo sblocco; non sarebbe stato necessario analizzare le singole cartelle cliniche.
Invece l’unica cosa digitale con i vaccini che riusciamo a fare è la piattaforma di prenotazione vaccini, con l’intermediazione del medico curante, che forse ha qualche dato in più. Non avendo dati centralizzati, è la sola cosa che possiamo fare.
Una migliore prevenzione grazie ai dati
Finora abbiamo parlato solo di vaccini. Ma in generale una Sanità data-driven è la sola che correttamente può pianificare le risorse in base ai fabbisogni reali della popolazione, conoscendo le une e gli altri; costruendo anche modelli di monitoraggio e prevenzione. Ora il Sistema sanitario nazionale non sa se chi ha subito un infarto si fa regolari visite cardiologiche. Se lo sapesse, se ne interesserebbe e contatterebbe quella persona. Idem chiederebbe al diabetico di fare esami del fondo oculare per evitare una futura cecità. Contatterebbe la figlia di chi ha avuto un tumore alla mammella, che è ereditario (e non tutti lo sanno), e la indirizzerebbe a esami mammografici.
Così il Ssn favorirebbe la prevenzione aumentando la salute della popolazione e riducendo i costi a carico per il sistema Paese, conseguenza di disabilità e peggioramento di patologie non monitorate.
Con i dati possiamo fare una Sanità predittiva, mentre ora ne abbiamo una reattiva.
Il ruolo incompiuto del Fascicolo sanitario elettronico
Il punto ultimo di raccolta di questi dati è o meglio dovrebbe essere il Fascicolo sanitario elettronico, con tutti gli esami, ricette, patologie di un paziente. Dati che andrebbero analizzati da algoritmi per trarne un senso, altrimenti restano poco fruibili per prendere decisioni data driven. Resterebbero solo come un “cassetto del comò elettronico”.
Piattaforma vaccinazioni, si può fare di più: cosa c’è e cosa manca
Come riportato da Agendadigitale.eu, i fascicoli funzionano bene solo in poche Regioni del Nord. Pochissimi medici alimentano il fascicolo e una quota appena più grande di sanitari nelle Asl. I dati del ministero riportano 32,8 milioni di fascicoli registrati, ma quelli attivati sono circa la metà. Il balzo avanti delle registrazioni è avvenuto perché un decreto dello scorso autunno l’ha resa automatica senza il consenso esplicito del paziente. Ma ora vanno usati dai cittadini, che spesso nemmeno sanno di avere un fascicolo, e soprattutto dai medici, sanitari, aziende ospedaliere. Il PNRR rilancia gli investimenti sul fascicolo, ma il lavoro da fare è complesso ed è capillare: asl e cliniche anche private devono alimentare il fascicolo, cosa che richiede un investimento tecnologico e competenze.
L’obbligo di legge è solo per quelle pubbliche, obbligo per altro in larga parte disatteso. Anche qui, servono competenze, investimenti; termini precisi di legge di alimentazione e sanzioni. I sistemi regionali vanno resi interoperabili, i medici formati.
Il PNRR parla di fascicolo ma come strumento di governance, non di cura. Come ci chiede l’Europa, il PNRR dovrebbe esprimere in dettaglio i passaggi da finanziare e realizzare, con tempi e investimenti precisi. E poi l’Italia dovrebbe dare seguito con leggi nazionali e attuazioni regionali corrispondenti, anche per non perdere i miliardi di finanziamento europeo.
Aspettiamo quindi una versione rivista del PNRR, in questo senso.
Primo passo per realizzare quella Sanità data-driven di cui parla anche Speranza, ci chiede l’Europa e serve alla popolazione tutta.