La pandemia da Covid 19 ha allargato il mortality gap, la differenza di mortalità fra gruppi etnici, che costituisce un fatto rilevante in termini di valutazione del rispetto dell’uguaglianza sostanziale fra gli individui, ma è anche un indicatore di disagio sociale.
Guardando agli Stati Uniti, ad esempio, non si può non notare la presenza di un forte mortality gap per le popolazioni di colore. Ma la presenza di un mortality gap, sia pur meno evidenziato, lo possiamo riscontrare anche in Italia. Mentre però nel caso degli Stati Uniti il mortality gap ha una connotazione razziale, nel caso italiano abbiamo, invece, una connotazione territoriale, e digitale.
Proviamo quindi a spiegare bisogna tornare a una Sanità nazionale per annullare disparità tra cittadini di uno stesso paese non più accettabili.
Cambiare la Sanità con PNRR, telemedicina e fascicolo sanitario elettronico: proposte di policy
Le cause del mortality gap
Partiamo da un dato: i bianchi muoiono a tassi più bassi a quasi tutte le età. In particolare, nel 2019 il tasso di mortalità dei neri rispetto ai bianchi è stato in tutte le età superiore di almeno il 20%, che in termini assoluti significa 72000 morti in più. Il tasso di mortalità diventa, poi, il doppio nel caso della mortalità perinatale, ossia la mortalità dei bambini con età inferiore a un anno. Ciò significa che la probabilità di morire prima di un anno è doppia se si nasce in una famiglia di colore.
Il mortality gap non è un fatto nuovo, ma si è presentato con regolarità statistica negli ultimi cento anni e in questo senso una lettura molto interessante è quella del rapporto Flexner del 1910.
Le cause del mortality gap possono esser fatte risalire a livelli più bassi di reddito, povertà alimentare, minore accesso al servizio sanitario, condizioni di vita degradate e in contesti ambientali caratterizzati da alto tasso di inquinamento, alto tasso di criminalità, stress da discriminazione. I neri americani ricevono meno cure e di qualità inferiore e presentano una maggiore incidenza e una maggiore mortalità per patologie neoplastiche, patologie cardiovascolari, patologie pediatriche e perinatali e in general e un minore accesso alla medicina preventiva.
Per quanto attiene all’impatto del covid sul mortality gap, si nota non solo un’incidenza più alta di decessi nella popolazione nera per il Covid 19, ma anche una maggiore mortalità correlata ad altri tipi di patologie che a causa del covid si sono aggravate e perché la paura del contagio ha allontanato i pazienti dalle cure, sia per la diminuzione della prevenzione.
Il mortality gap in Italia
Forti sono le differenze territoriali riguardo alla età media di morte che per l’Italia nel complesso è pari a 79,1 anni. Nelle prime 5 unità di percentile della popolazione (quella che muore più giovane) la differenza fra provincie dell’età media di morte è di ben 12 anni (48 anni nella provincia dell’Ogliastra, 60 anni nella provincia di La Spezia), nel primo decile di popolazione la differenza è di 10 (57 anni nella provincia di Napoli e 67 anni in quella di La Spezia), nel primo quartile la differenza rimane sempre elevata con una differenza di ben 8 anni (69 anni nella provincia di Napoli e 77 anni in quella di La Spezia). Trattandosi del valore dell’età media di morte si comprende bene come 8-10 anni di differenza sia rappresentativo di un divario estremamente ampio, tenuto conto che né le differenze nella mortalità infantile, né la struttura demografica della popolazione possono incidere in maniera significativa su questa variabile.
Se si esaminano, poi, dal punto di vista territoriale i dati si trovano delle aree omogenee con età media alla morte significativamente più bassa in relazione alle emergenze ambientali. Si tratta in genere di aree di de-industrializzazione ad alto tasso di inquinamento (Napoli, Caserta, Crotone, Siracusa). Accanto a queste troviamo dei territori con problemi di accessibilità al Sistema Sanitario (il caso delle provincie della Sardegna). La fotografia regionale, poi, evidenzia ancora il problema del Mezzogiorno e delle Isole dove si concentrano, con qualche rara eccezione, le provincie e le regioni con più bassa età media di morte (fig. 1)
Nel caso italiano riscontriamo, quindi, un apprezzabile mortality gap su base territoriale fra le regioni.
Mortality gap territoriale: le cause del divario
Entrambi i gap – sia quello razziale che quello territoriale – sono il risultato di una sanità diseguale, anche se le origini della diseguaglianza sono diverse. Nel caso americano la diseguaglianza era dovuta al fatto che la segregazione razziale portava anche a una sanità segregata, con meno medici, meno ospedali, meno attrezzature avanzate, minore capacità reddituale degli individui per accedere a cura di alta specializzazione. In Italia la sanità diseguale è dovuta alla diversa efficienza ed efficacia nella gestione della sanità e a livello regionale e alla sperequata distribuzione di risorse fra le regioni che di fatto ha territorialmente consolidato sanità di serie A e sanità di serie B. Mentre negli Stati Uniti una più forte attenzione alle politiche anti-segregazionistiche potrebbe, in linea di principio, portare a ridurre/eliminare il black mortality gap, più difficile è ridurre il mortality gap italiano perché legato ad una componente territoriale che è difficile da modificare nel breve periodo.
Due sono le cause principali a cui può essere imputato questo divario. La prima causa è legata ad una politica sanitaria miope, la seconda è legata alla scarsa digitalizzazione della sanità italiana.
Con riferimento alla prima causa, analizzando i principali indicatori di politica sanitaria non si può non notare una situazione di divario regionale evidente sia nei Lea, che nella mobilità regionale. La considerazione fondamentale che emerge da è che occorre ripensare il modello del regionalismo italiano e soprattutto correggere alcune anomalie nate dalla riforma del titolo V della Costituzione che hanno dimostrato limiti evidenti nell’applicazione alla sanità.
La correlazione fra mortality gap e divario tecnologico
Con riferimento alla seconda causa non si può non notare la correlazione fra mortality gap e divario tecnologico nella sanità digitale regionale (che potremmo chiamare con un termini evocativo digital gap sanitario) che può anch’esso essere ricondotto alla frammentazione regionale delle politiche sanitarie. In Italia il fascicolo sanitario elettronico oggi è un miraggio per un numero consistente di cittadini. Anche le regioni che hanno avviato progetti in questo campo, non hanno sempre tenuto in debito conto la necessità dell’interoperabilità nello scambio dei dati. Senza fascicolo sanitario elettronico non solo diventano impossibili le applicazioni avanzate della sanità 4.0, ma perdono di efficacia anche le normali procedure sanitarie.
Le grandi difficoltà che molte regioni hanno avuto nell’implementazione di una strategia vaccinale efficace sono causate da questa mancata digitalizzazione.
Se avessimo avuto un sistema di gestione nazionale del fascicolo sanitario elettronico, avremmo potuto procedere alla vaccinazione chiamando nominativamente e in base alle priorità i singoli cittadini, sapendo in anticipo quali erano i più fragili, andando a vaccinare a domicilio quelli che non erano in grado di spostarsi. Avremmo quindi velocizzato la procedura, evitato il costo del ricorso a piattaforme di prenotazione esterne al sistema sanitario, eliminato il problema dei furbetti del vaccino. Avremmo potuto vaccinare in ordine di rischio, riducendo significativamente e velocemente la letalità della malattia.
Ma il digital gap della sanità italiano produce effetti negativi a prescindere dal covid. Secondo alcune stime il semplice tele-monitoraggio a casa dei malati cardiologici ridurrebbe il numero di giorni di degenza del 26% e consentirebbe un risparmio del 10% dei costi sanitari, con un aumento dei tassi di sopravvivenza del 15%. Oggi con l’utilizzo dei big data e delle tecniche di deep learning siamo in grado di fare una effettiva medicina preventiva molto tempo prima della comparsa dei sintomi e per le patologie croniche e ingravescenti questo costituisce un notevole vantaggio. L’accesso istantaneo all’intero set di dati può consentire di prevedere l’evoluzione del quadro clinico attraverso algoritmi decisionali di supporto che rendono maggiormente efficiente l’intero processo. Ma per gran parte dei pazienti questa è fantascienza pura!
Conclusioni
Il Covid-19 ha contribuito a mettere a nudo chiaramente tutta la debolezza di un sistema che dietro un apparente aura di efficienza, nascondeva i limiti di un modello organizzativo che non aveva il paziente come riferimento finale.
Si è costruito un sistema ospedalicentrico misto pubblico privato, che insegue i DRG più sostanziosi e che drena risorse, attraverso la mobilità sanitaria, ad altre regioni. La sanità territoriale viene penalizzata e ridotta al lumicino, lasciando ai pronto soccorso degli ospedali il compito di diventare il trait d’union fra il paziente e il sistema sanitario. Un modello, in sostanza, che tendeva sostanzialmente ad ampliare i divari regionali della sanità piuttosto che ridurli.
Nella gestione della pandemia è stato immediatamente evidente che è difficile avere una strategia di contrasto unica, che è pur necessaria, se 20 regioni possono decidere in maniera difforme, ma a ben pensare anche in condizioni di normalità una sanità regionale non fa che amplificare le disparità regionali, alimentando una competizione sulle risorse fra le diverse regioni il cui effetto è la mobilità sanitaria.