Recovery fund

Una Sanità veloce e (davvero) digitale: dieci consigli al ministro Speranza

Abbiamo bisogno di una Sanità veloce, mentre ora è novecentesca. E dobbiamo risolvere il gap digitale Nord-Sud. Soprattutto dando nuova vita al Fascicolo sanitario elettronico. Alcune idee per Roberto Speranza confermato nel Governo Draghi

Pubblicato il 15 Feb 2021

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

roberto speranza

Bisogna mettere mano a un cambiamento epocale della Sanità italiana. È il solo modo con cui il nuovo Governo Draghi, con il rinnovato ministro della Salute Roberto Speranza, può sfruttare al meglio l’opportunità storica che, in piena pandemia, arriva dal recovery fund e pnrr.

Certo, questo cambiamento necessario  interessa tutti i settori dell’economia e dello Stato del Benessere, ma la riorganizzazione del servizio sanitario pubblico è una priorità perché da un anno siamo ostaggio di una terribile pandemia. E quest’ultima, più volte esorcizzata, ci ha fatto comprendere come la salute non sia uno dei tanti ‘temi verticali’ dell’agenda politica: è il tema vitale che ferma o promuove  l’economia e la vita sociale.

Immaginiamoci ora di dover dare qualche consiglio a Roberto Speranza, confermato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi.

Il primo consiglio a Roberto Speranza: fare una Sanità veloce

La prima cosa che mi sentirei di suggerire al Ministro è di una semplicità estrema E non c’è tempo da perdere. Sì, avete capito perfettamente: veloce, dinamica, abbandonando quella staticità burocratica novecentesca con la quale ha continuato a convivere, per vent’anni, anche nel nuovo millennio.

Qui non stiamo discutendo se l’Italia abbia o no un buon sistema sanitario, fatto di medici competenti e capaci, scienziati della medicina, personale sanitario che si dedica con cura, passione e spesso abnegazione al proprio lavoro. Stiamo dicendo un’altra cosa: che tutta l’organizzazione della sanità, il suo apparato amministrativo e medico-burocratico, in sostanza ‘la macchina’, è rimasta di costruzione novecentesca, cioè lenta. Perché ha fatto comodo a tanti che questo settore, così strategico e a forte impatto sociale, non entrasse a vele spiegate nel mondo digitale: alla politica, per condizionarlo; a certi settori del mercato per mantenere posizioni di rendita; a una certa classe di manager, perché più attenta al rinnovo del mandato alla fine del triennio di incarico che non al rapporto domanda-offerta di salute.

Per assumere una decisione spesso si impiega un tempo non più compatibile con le dinamiche di altri settori economici, della scienza, del mercato; e soprattutto delle modalità di comunicazione e di vita della gente. E questo accade in maniera sempre più diffusa per un numero troppo ampio di prestazioni sanitarie. L’acquisto di un servizio, poi, o di una fornitura tecnologica, per non parlare dell’assunzione di personale indispensabile per l’organizzazione, comporta criticità e un tempo procedurale incompatibile con ogni seria programmazione degli obiettivi.

Nemmeno con le pandemie, che non hanno i tempi delle burocrazie – come qualche magistrato sta scoprendo indagando su quanto accaduto nella bergamasca e dintorni –  è stato possibile cambiare i canonici ‘sessanta giorni d’attesa’ per un esame diagnostico, stabiliti dalle norme di legge e mai rispettati dalle Asl. E tutto questo appare veramente anacronistico davanti al Coronavirus che continua a restare tra di noi.

Ma cosa vuol dire far transitare il pianeta sanità dal mondo lento della burocrazia a quello ad alta comunicazione, veloce, dei tempi di Internet e del COVID19?

Serve una Sanità davvero digitale

Anche qui la risposta, il suggerimento che si può dare al Ministro, è tutto sommato semplice. Significa portare veramente l’organizzazione sanitaria pubblica su Internet. Fornire in tempo reale, attraverso la rete, una nuova dimensione della condivisione delle informazioni e dell’accesso ai servizi. In forma specifica, per curare quella persona o quella comunità di persone; ma anche per contestualizzare con efficaci policy l’azione sanitaria e di salute.

In altre parole, occorre cambiare il medium assieme al messaggio, perché il nuovo medium digitale di Internet – e solo quello – può fornirci un nuovo livello quantitativo e qualitativo delle informazioni e di articolazione dei dati; una condivisione delle  stesse informazioni nell’ambito della comunità medico-scientifica e di quella  del mondo vitale dei cittadini; una nuova modalità on line, a-burocratica, di accesso e utilizzo dei servizi di salute e assistenza.

Tre condizioni essenziali che costituiscono le fondamenta della rivoluzione industriale-digitale di Internet, non ancora acquisite culturalmente dall’insieme del management e della organizzazione sanitaria italiana, composta da aziende pubbliche e private accreditate, assessorati regionali, istituti di ricovero e ricerca, ministeri, centri scientifici, nonché dipartimenti di medicina  delle università italiane che formano il medico e gli operatori sanitari.

C’è una drammatica  asimmetria tra quel 77% delle famiglie italiane connesse a Internet (di cui il 75% con banda larga) e quel 74% di cittadini che dichiara di non aver mai avuto un collegamento Internet con PA nell’arco di dodici mesi (a differenza  del 92% dei cittadini della Danimarca che il collegamento on line ce l’hanno in modo abitudinario).

Il divario regionale

Ma soprattutto c’è un’asimmetria insostenibile tra le regioni del Centro Nord che utilizzano intensamente il Fascicolo Sanitario Elettronico e le sue piattaforme per condividere dati e servizi di salute con i cittadini e le altre dieci regioni del Centro Sud che sono in ritardo di almeno cinque anni nell’applicazione della legge nazionale sul FSE. 

Per raggiungere il traguardo della ‘sanità veloce’ consigliamo al Ministro del nuovo Governo Draghi di dare priorità ai seguenti dieci punti di programma ‘e-Health’ che già le Regioni e le ASL conoscono, ricordandogli che non sarà in alcun modo possibile una efficiente riorganizzazione del servizio sanitario nazionale senza far fare alle informazioni (dematerializzate) questo straordinario ‘cambio di passo’, perché così va il mondo.

Dieci consigli a Roberto Speranza

Ecco i 10 punti:

  1. Completare entro un anno la realizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico per tutti i 60 milioni e trecentomila cittadini italiani, dando seguito ai provvedimenti normativi assunti in regime di pandemia (maggio 2020) affinché ogni dato di salute generato nella interazione tra un paziente, un medico di famiglia (MMG e PLS) e un medico specialista ospedaliero e ambulatoriale, sia condiviso dal cittadino con il proprio medico curante. I servizi di prenotazione  e accesso alla sanità (sistemi Cup Web) devono essere operativi sul FSE, al pari della refertazione on line e del ciclo di approvvigionamento farmaceutico. Le cartelle cliniche di tutti i medici di famiglia e di tutti i medici specialisti devono poter condividere, con il consenso dell’assistito, i dati del FSE. L’interfaccia del Fascicolo va riprogettata come My Page del cittadino (Personal Health Record) con criteri unitari su tutto il territorio nazionale per dotare il fascicolo di una gamma ampia  di servizi on line.  Ogni referto, non importa in quale regione generato, deve andare sul FSE di un cittadino italiano. Tutte le cliniche e gli ambulatori, anche quelli accreditati o privati, devo essere collegati alla rete del FSE.
  2. Completare nello stesso tempo il sistema informativo e di sorveglianza della salute degli italiani con i dati generati dal FSE in forma anonima-aggregata, a livello locale, regionale e nazionale, dotando il nostro Sistema Informativo Sanitario nazionale di due poli distinti: quello economico-amministrativo-fiscale (basato sulla Tessera Sanitaria – MEF) e quello di salute basati su FSE e MDS.
  3. Tutti i medici specialisti di ospedale e ambulatorio devono essere dotati di una cartella clinica elettronica (CCE) collegata alla rete del FSE. Le regione e le ASL devono supportare in cloud  l’FSE del cittadino e la CCE del medico con una tecnologia di intelligenza artificiale, avvalendosi di datawarehouse, per elaborare in modo scientifico e predittivo i dati di ogni storia clinica individuale e poterli così anche confrontare con la disponibilità diffusa di Big Data di salute. In ogni ospedale deve funzionare una piattaforma di servizio per la telemedicina e ogni assistito ha diritto a visite a distanza con strumentazione facilmente accessibile.
  4. Il Ministero e le Regioni devono varare programmi di Intelligenza artificiale per conoscere le mappe territoriali e demografiche della fragilità di salute degli italiani, soprattutto, ma non solo, per affrontare le pandemie. Anche i maggiori fattori di rischio e le cronicità devono essere mappati. Queste mappe vanno messe a disposizione delle comunità locali che potranno organizzarsi autonomamente come ‘comunità di salute’.
  5. Il FSE va completato inserendo la conoscenza dei dati e delle informazioni sulla fragilità sociale dell’assistito e sulla presenza di fattori di non autosufficienza. Il Fascicolo deve diventare ‘socio-sanitario’, creando le reti regionali di raccolta del dato dematerializzato sociale in collaborazione con i Comuni.
  6. La conoscenza dei Big Data di salute, comprensiva dei dati sul comportamento e sulle opinioni dei cittadini riferite al funzionamento dei servizi sanitari e alle cure effettuate, va considerata componente irrinunciabile della governance sanitaria; ma anche ogni cittadino ha diritto di conoscere i dati collettivi di salute e malattia, a partire da quelli della comunità locale di riferimento, accedendo ad appositi LivingLab o richiedendoli sul Fascicolo. Occorre riconoscere il diritto alle comunità dei cittadini, territoriali o associative, di gestire i propri dati  di salute e potersi in questo modo rapportare al servizio sanitario pubblico; di poter co- progettare le loro reti locali di salute-sanità.
  7. Il sistema delle aziende pubbliche ICT (in-house) nazionali (SoGei, Cineca) e regionali (presenti in molte regioni) va messo al servizio di un piano straordinario di digitalizzazione della sanità e dovrà garantire, rispetto al mercato, la tutela dei dati di salute degli italiani. Questi dati non possono essere oggetto di alcuna commercializzazione o iniziativa di business.
  8. Le centrali pubbliche di Procurment regionali e nazionali – in primis la centrale nazionale Consip – devono varare un piano straordinario, con la collaborazione delle aziende ICT pubbliche regionali che acceleri una straordinaria risposta industriale del mercato informatico. Questa progettualità va indirizzata a completare le architetture condivise dell’e-Health regionale-nazionale, con servizi ai cittadini e ai medici e non con la diffusione frammentaria di prodotti tecnologici. La tecnologia informatica utilizzata nella digitalizzazione della sanità dovrà essere certificata con standard europei in base alle recenti direttive CEE.
  9. Le migliori energie ideative e innovative della digitalizzazione della sanità italiana, che hanno operato a livello istituzionale, scientifico e imprenditoriale devono essere chiamate dagli amministratori della sanità pubblica a co-progettare questo gigantesco sforzo innovativo. La gestione di questo programma destinato a cambiare le fondamenta comunicative del nostro sistema sanitario non possono essere lasciate a una managerialità gestionale restia culturalmente all’innovazione. Le comunità scientifiche più dinamiche vanno coinvolte con straordinario coraggio.
  10. Le risorse economiche del Recovery Plan indirizzate alla digitalizzazione della sanità devono essere assegnate dando priorità assoluta a tutti quei soggetti – regioni, aziende, enti scientifici, comunità di cittadini e medici – che dimostrino effettivamente di voler partecipare, con cultura, capacità tecnologica e ideativa, al ‘cambio di velocità’ della sanità italiana. E la velocità si vede dal mattino: i progetti finanziati vanno realizzati entro 24 mesi, il tempo impiegato per rifare il Ponte Morandi a Genova.

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