L’Italia gioca un ruolo centrale a livello europeo nel settore dei virtual therapeutics (terapie digitali virtuali). Gli ambiti applicativi riguardano prevalentemente la psicologia clinica – disturbi d’ansia, dipendenze, obesità e disturbi alimentari – e la riabilitazione, cognitiva e motoria.
Molti sono i passi avanti che si sono compiuti negli ultimi tempi, ora manca un ultimo step: quello legislativo.
Ma andiamo per gradi.
Cos’è la cyberterapia e cosa sono le terapie virtuali
Con il termine “cyberterapia” (cybertherapy) ci si riferisce alle diverse forme di valutazione clinica e terapia che hanno nell’uso delle nuove tecnologie il principale strumento di intervento (Wiederhold & Wiederhold, 2004). La cyberterapia nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 grazie all’interesse e ai finanziamenti del Dipartimento della difesa USA. Sotto il coordinamento del DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, numerosi centri di ricerca hanno iniziato ad utilizzare la tecnologia per far apprendere al medico abilità motorie complesse come quelle richieste dalle operazioni chirurgiche o delle situazioni di emergenza.
Rispetto alla telemedicina, che usa le nuove tecnologie per fornire servizi sanitari a distanza, la cyberterapia impiega la tecnologia per modificare gli atteggiamenti e i comportamenti dei propri utenti, con effetti a lungo termine sia di tipo cognitivo che bio-fisiologico (Emmelkamp, 2011). Se negli anni scorsi, le principali applicazioni di cyberterapia erano basate su siti internet o App, il 2021 può essere considerato l’anno della diffusione dei virtual therapeutics.
Si definiscono “virtual therapeutics” delle esperienze di realtà virtuale o aumentata che, da sole o in associazione con altri strumenti o con farmaci tradizionali, sono in grado di apportare un reale beneficio, clinicamente misurabile e verificato con studi clinici, su specifiche necessità di salute dei pazienti (Spiegel, 2020). Rispetto alle comuni App dedicate al fitness e al mondo del benessere i virtual therapeutics sono equiparabili a veri propri interventi medici e, come tali, soggetti alla stessa regolamentazione a cui sono sottoposti i farmaci e i dispositivi sanitari.
Il congresso internazionale dell’associazione internazionale di CyberPsicologia e Cyberterapia
Negli scorsi giorni si è tenuta in forma virtuale presso la sede dell’Istituto Auxologico Italiano, la 25esima edizione dell’congresso internazionale dell’associazione internazionale di CyberPsicologia e Cyberterapia (I-Actor). Oltre 200 ricercatori da 30 paesi hanno partecipato al congresso, che ogni anno presenta i risultati della ricerca internazionale in questo settore.
Diverse aziende presenti al convegno, sia italiane che straniere, hanno finalmente completato la validazione clinica delle loro applicazioni. La società italiana Become, in collaborazione con l’Università Cattolica e l’Istituto Auxologico Italiano ha infatti recentemente pubblicato i dati del proprio trial clinico che ha verificato l’efficacia di COVID Feel Good, una terapia virtuale in grado di ridurre l’ansia e la depressione generata dalla pandemia (Giuseppe Riva et al., 2021).
La società ameriicana Applied VR ha invece pubblicato i risultati del proprio trial sul trattamento del dolore cronico, che mostrano l’efficacia della terapia virtuale nel ridurre sia l’intensità del dolore, sia il disagio psicologico da questo generato (Garcia et al., 2021). Questi risultati hanno permesso alla società americana di ottenere designazione di Breakthrough Device dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento della fibromialgia resistente al trattamento e della lombalgia cronica intrattabile.
Le peculiarità dei virtual therapeutics
Un primo elemento che differenza le terapie virtuali, virtual therapeutics dagli altri digital therapeutics è la capacità di coinvolgere sensorialmente il soggetto all’interno dell’esperienza digitale. Realtà virtuale e realtà aumentata generano un vero e proprio senso di “presenza” nel mondo digitale in grado di motivare il paziente e di spingerlo a continuare il trattamento. Questa possibilità consente al paziente per esempio di vedere, sopra un tavolo reale del cibo virtuale in modo da aiutarlo a gestirne il desiderio (potenziamento dell’esperienza – realtà aumentata) o creare ambienti simulati in cui spiegare al paziente come affrontare le proprie paure (sostituzione dell’esperienza – realtà virtuale) o stimolare i propri processi motori e cognitivi (riabilitazione).
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Una seconda differenza è legata alle somiglianze tra il funzionamento della nostra mente e quello della realtà virtuale (G. Riva, Wiederhold, & Mantovani, 2019). A lungo la psicologia cognitiva ha descritto la nostra mente come un computer in grado di costruire modelli mentali attraverso l’elaborazione delle informazioni ricevute esternamente e internamente. Nonostante questa visione continui ad influenzare il pensiero comune, in realtà negli ultimi anni le neuroscienze hanno suggerito una metafora differente: la mente, più che ad un computer assomiglia ad un simulatore, ad una specie d realtà virtuale mentale, che attraverso un lungo processo evolutivo ha imparato ad anticipare gli stimoli sensoriali prima che questi siano effettivamente percepiti. Ciò consente al nostro cervello di essere sempre “un passo in avanti”, in modo da rispondere rapidamente e apparentemente senza sforzo a minacce e opportunità quando (e talvolta anche prima) queste si presentano.
Gli effetti indesiderati
Tuttavia, questo meccanismo genera anche degli effetti indesiderati. Uno dei più studiati è l’esperienza della cecità attenzionale: l’incapacità di notare stimoli significativi non direttamente collegati alle nostre previsioni. Detto in altre parole, la nostra mente genera profezie che si auto avverano: per questo se qualcosa non ci interessasse o non fosse previsto dalla nostra mente, questa potrebbe non vederlo anche se in piena vista. È interessante notare come l’idea che la nostra mente sia un simulatore, e che ogni tanto le simulazioni possano essere sbagliate generando vere e proprie psicopatologie abbia raggiunto anche il mondo della psicoterapia. A caratterizzare infatti l’”Acceptance e Committment Therapy – ACT” (Terapia di Accettazione e Impegno nell’Azione), una delle forme più recenti di terapia (terapie di terza generazione), è il fuoco sull’esperienza e la consapevolezza come strumenti per modificare delle predizioni erronee. Questo è l’obiettivo di una delle tecniche più note dell’ACT – la mindfulness – che vuole aiutare il soggetto ad essere consapevole delle proprie esperienze e degli stati interni ad essi collegati, imparando ad accettarli per quello sono.
Terapie virtuali digitali: creare esperienze in un contesto controllato
La realtà virtuale cerca di fare la stessa cosa, creando nuove esperienze digitali che portino il soggetto a modificare le proprie previsioni automatiche, in maniera più semplice rispetto alle alternative attualmente disponibili. Per esempio, se ho paura dei ragni e vado dal terapeuta, questo mi dice di provare a visualizzare mentalmente il ragno per ridurre l’intensità delle mie risposte emotive ogni volta che ne vedo uno (desensibilizzazione) e a focalizzarmi sulle emozioni che sperimento mentre lo faccio. In effetti, se ci riesco, il problema è risolto. Ma molti non ci riescono o non vogliono riuscirci: se vedere un ragno e mi fa paura, perché dovrei mettermi a visualizzarlo mentalmente?
Con la realtà virtuale è invece possibile creare esperienze in cui avere dei ragni virtuali realizzati in base alle capacità di sopportazione emotiva del soggetto. Posso avere un ragno piccolissimo chiuso sotto un bicchiere e che non si muove. Poi lo faccio muovere sotto il bicchiere. Poi lo ingrandisco. E così via. In questo modo, non solo spiego al soggetto come fare, ma gli offro la possibilità di farlo in un contesto controllato e personalizzato, dimostrandogli che può riuscire a farlo e quindi portandolo a cambiare le proprie previsioni. Per questo i virtual therapeutics sono, all’interno del mondo dei digital therapeutics, lo strumento più potente ed efficace per influire su comportamenti e stati emotivi (Morina, Ijntema, Meyerbröker, & Emmelkamp, 2015; Opris et al., 2012).
Conclusioni
L’Italia, come abbiamo detto, occupa un posto centrale in Europa nel settore dei virtual therapeutics, grazie al lavoro clinico portato avanti da alcuni Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico – Istituto Auxologico Italiano, Fondazione Santa Lucia, Fondazione Don Gnocchi – e al lavoro di ricerca svolto da alcune università – Università Cattolica, Università di Genova e Università di Padova.
Fino ad oggi uno dei principali problemi per la diffusione dei virtual therapeutics erano i costi. Oggi invece, grazie alla diffusione dei caschi di realtà virtuale per videogiochi – come l’Oculus Quest 2 (350 euro, sistema stand-alone che può essere utilizzato senza computer) il costo di un sistema di realtà virtuale immersiva non è molto diverso da quello di un dispositivo medico tradizionale come una cyclette.
Tuttavia, l’ultima barriera rimane quella legislativa. A differenza di altri paesi europei, come la Germania, la Francia, e il Belgio, manca ancora in Italia una normativa dedicata che consenta la rimborsabilità di queste terapie da parte del Sistema Sanitario Nazionale (Patel & Butte, 2020).
Bibliografia
Emmelkamp, P. M. (2011). Effectiveness of cybertherapy in mental health: a critical appraisal. Annual Review of Cybertherapy and Telemedicine 2011, 3-8.
Garcia, L. M., Birckhead, B. J., Krishnamurthy, P., Sackman, J., Mackey, I. G., Louis, R. G., et al. (2021). An 8-Week Self-Administered At-Home Behavioral Skills-Based Virtual Reality Program for Chronic Low Back Pain: Double-Blind, Randomized, Placebo-Controlled Trial Conducted During COVID-19. [Original Paper]. J Med Internet Res, 23(2), e26292.
Morina, N., Ijntema, H., Meyerbröker, K., & Emmelkamp, P. M. (2015). Can virtual reality exposure therapy gains be generalized to real-life? A meta-analysis of studies applying behavioral assessments. Behaviour research and therapy, 74, 18-24.
Opris, D., Pintea, S., Garcia-Palacios, A., Botella, C., Szamoskozi, S., & David, D. (2012). Virtual reality exposure therapy in anxiety disorders: a quantitative meta-analysis. Depress Anxiety, 29(2), 85-93.
Patel, N. A., & Butte, A. J. (2020). Characteristics and challenges of the clinical pipeline of digital therapeutics. npj Digital Medicine, 3(1), 159.
Riva, G., Bernardelli, L., Castelnuovo, G., Di Lernia, D., Tuena, C., Clementi, A., et al. (2021). A Virtual Reality-Based Self-Help Intervention for Dealing with the Psychological Distress Associated with the COVID-19 Lockdown: An Effectiveness Study with a Two-Week Follow-Up. International Journal of Environmental Research and Public Health, 18(15), 8188.
Riva, G., Wiederhold, B. K., & Mantovani, F. (2019). Neuroscience of Virtual Reality: From Virtual Exposure to Embodied Medicine. Cyberpsychol Behav Soc Netw, 22(1), 82-96.
Spiegel, B. (2020). VRx: how virtual therapeutics will revolutionize medicine: Basic Books New York, NY.
Wiederhold, B. K., & Wiederhold, M. D. (2004). The future of cybertherapy: improved options with advanced technologies Cybertherapy (pp. 263-270): IOS Press.