L’alternanza scuola lavoro (ASL), così come è stata precipitata nella scuola, ha avuto l’effetto di mettere in luce le incoerenze di un sistema ad alta resilienza.
Se mai entrerete in un dialogo curioso con gli insegnanti, provate a chiedere quali sono gli assi pedagogici su cui impostano gli interventi didattici. Il percepito e il dichiarato che ascolterete sarà spesso:
“Si impara facendo”
“La competenza è quello che, una volta appreso, si riesce a trasferire e spendere in contesti diversi”
“Si devono proporre compiti di realtà”
“Scuola e società fanno parte della stessa comunità educante”
“Il successo formativo e occupazionale degli alunni è il fine ultimo della scuola”.
Queste frasi, questi concetti forti, li potete trovare facilmente nei PTOF pubblicati dalle scuole, il manifesto degli orientamenti valoriali e progettuali delle scuole.
Sembrerebbe che la scuola sia pronta al cambiamento, quindi a transitare dal “qui e ora” delle discipline e degli insegnamenti, alla formazione di cittadinanze esperte, flessibili, con attitudine al problem solving.
E, soprattutto, persone consapevoli del rapporto che passerà nella vita tra proprie legittime aspettative occupazionali e realtà occupazionali.
Ma allora: se così forte è l’adesione delle scuole a questo disegno, come mai tanta opposizione ha incontrato l’applicazione del regolamento della ASL?
Non dovrebbe essere l’anello di congiunzione tra scuola e società, per consentire agli studenti l’esercizio concreto delle competenze maturate?
La macchina organizzativa e la tempistica imperfetta non hanno aiutato, e quindi comprendo le obiezioni delle scuole. Meno comprendo le obiezioni ideologiche di chi ha del sistema formativo una visione gentiliana.
Il grafico che segue è il riferito all’anno scolastico in corso ed è tratto da Focus “Anticipazione sui principali dati della scuola statale”, Anno 2017/2018, Fonte MIUR.
In Italia la liceizzazione della scuola secondaria è un fenomeno che mostra tre aspetti problematici: uno storicamente connesso alla scelta dell’indirizzo scolastico come vettore di mobilità sociale, il secondo collegato allo scollamento tra scuola e realtà occupazionale.
Il terzo riguarda la percezione nella cultura italiana, dove esiste una sorta di identificazione della tipologia di lavoro con la dignità dell’essere umano.
Abbiamo quindi una popolazione liceizzata, con basse performance nelle literacy di lettura, matematica, scienze e finanziaria (OCSEPISA 2015), che ha uno dei più bassi tassi di formazione terziaria tra i paesi OCSE (OECD National Skills Strategy Diagnostic Report – Italy), un tasso di disoccupazione altissimo fra i nostri giovani usciti dalla scuola.
E mentre c’è fame e richiesta di tecnici e artigiani specializzati, noi continuiamo a iscrivere i nostri figli ai licei, vendendo loro un disegno occupazionale impossibile.
Gli studenti sono scesi in piazza contro la ASL. Ho letto e ascoltato dichiarazioni su come sono maltrattati durante i percorsi di alternanza, del fatto che spesso non sono coerenti con il profilo scolastico.
In alcuni casi traspare un atteggiamento di ingenua superiorità verso compiti e lavori manuali.
Inviterei i ragazzi a guardare dentro lo specchio: la brama, il vostro desiderio occupazionale, è un conto. La realtà sarà quella che state vivendo ora nei percorsi ASL. Chiedete ai vostri insegnanti tutoraggio e orientamento. Preparatevi alla vita. Il lavoro non sporca, mai.
Il problema sarà: averlo, un lavoro.
In bocca al lupo.