INNOVAZIONE E DIDATTICA

Animatori digitali: com’è cambiato il ruolo del formatore a Scuola

L’ingresso della tecnologia stenta a dare una svolta al sistema scolastico italiano. E i “super-insegnanti”, cruciali per l’aggiornamento, faticano a trovare identità. Dalla Riforma Falcucci al Pnsd, ecco trent’anni di un percorso non ancora concluso

Pubblicato il 11 Apr 2019

Maria Cristina Bevilacqua

Ambasciatrce eTwinning. Aggiornatrice-Formatrice.Traduttrice della Padagogy Wheel

Tante le cose fatte, ma anche alcune aree da migliorare.

La scuola italiana li chiamava animatori. Poi animatori digitali, o coach. Sono i formatori, figure cruciali per l’evoluzione della didattica: “supermaestri” al servizio dell’aggiornamento in grado di fare da ponte fra il corpo insegnante, gli studenti, e le evoluzioni tecnologiche potenzialmente in grado di rilanciare il sistema scolastico. Un ruolo strategico che però stenta ancora a trovare una sua identità. Ecco il racconto di un’insegnante e formatrice alle prese con la lunga storia italiana di riforme e passaggi epocali.

Sono un’insegnante del secolo scorso, che ha iniziato a lavorare a scuola quando c’era il maestro unico e, nell’allora scuola elementare, i moduli, non erano ancora andati a regime. Ho iniziato insegnando quelle che si chiamavano Attività integrative: Educazione al suono e alla musica, Educazione Motoria, Educazione all’immagine (che in teoria avrebbero dovuto essere curricolari, ma che nei fatti non lo erano), Francese e Minibasket.

Per cinque giorni la classe era con il maestro unico; in quello che era il suo giorno libero, subentravo io, la maestra “… che suona, canta e balla”, come mi disegnò, in tuta e con la chitarra, un’alunna che oggi chiameremmo “speciale”, ma a cui, allora, era riservato un altro appellativo, e per cinque ore cercavo, con scarsi risultati, di trasformare il loro modo di vedere la scuola.

Nell’anno scolastico 1987/88 il Ministero, che aveva appena varato i Nuovi Programmi della Senatrice Falcucci, fece partire un piano di Formazione a tappeto per tutti i docenti, il P.P.A.S.E. (Piano Pluriennale aggiornamento Scuola Elementare), che era destinato ad aggiornare i docenti prioritariamente sulle “nuove materie”, come le già citate tre Educazioni e poi sulle innovazioni apportate alle materie che venivano già insegnate, ma che avrebbero dovuto essere riviste con uno sguardo più aperto verso un maggior coinvolgimento degli alunni e ad una maggiore riflessione sui processi, piuttosto che sui prodotti.

Ancora oggi, se si leggono quei Programmi, si riesce a cogliere la loro spinta innovativa e ci si rende conto di quanto fossero avanti, per molti aspetti, e quanto, a volte, poco siano stati applicati nella pratica da colleghi che dicevano che, in fondo, non poteva essere cambiato nulla, se l’Italiano era sempre Italiano, Matematica sempre Matematica. In verità, se per molto tempo la nostra scuola elementare ha ottenuto buoni risultati nelle Indagini internazionali, il merito è stato anche di quei Programmi e degli insegnanti che li avevano letti e messi in pratica.

I primi corsi di comunicazione in pubblico

Durante un esame alla IUL con il professor Andrea R. Formiconi, un paio di anni fa, ricordavo come avessi sentito parlare per la prima volta di Papert e della sua tartaruga proprio nei corsi del PPASE, da maestri “invasati” e visionari, che associavano educazione Motoria a Matematica e Logica, trasformando i loro alunni in tante tartarughine che non sbagliavano più angoli e geometrie, che si appropriavano dello spazio, manipolando quelli che fino ad allora erano stati concetti astratti, e li facevano propri in modo reale e consapevole, oltre che piacevole e divertente, in tempi in cui il computer a scuola non era contemplato. La scoperta dell’ultima ora di Papert da parte di molti colleghi formatori mi porta a pensare, amaramente, che tutto questo tempo sia passato invano.

Tornando al PPASE, ci fu un bando a cui vennero invitati a candidarsi tutti quegli insegnanti che avessero avuto attestati o diplomi relativi all’educazione artistica, motoria o musicale, per diventare formatori dei propri colleghi, nella convinzione che solo chi insegna, chi sta in classe, chi la vive, può spiegare ai colleghi come fare, proponendo la propria esperienza reale, meglio di chi discetta da una cattedra più elevata, magari senza aver messo piede in un’aula scolastica (cosa di cui si vantava una docente universitaria durante i corsi del defunto TFA).

Avendo frequentato in gioventù il Conservatorio, ed avendo svolto supplenze di Musica nella scuola media, mi candidai e fui selezionata, pur essendo solo al mio primo anno di ruolo, e seguii un corso impegnativo – 90 ore!- ma bellissimo, che aveva come argomenti, non solo l’Educazione al suono e alla musica in tutti i suoi aspetti, ma anche le strategie e le tecniche della comunicazione in pubblico, della conduzione dei gruppi… insomma, un corso all’avanguardia, tenendo conto che parliamo degli anni ’80, e che non mi risulta sia stato più proposto dal Ministero ai suoi formatori, nell’errata convinzione che chi sa insegnare agli alunni sappia farlo anche agli adulti, anzi, ai propri colleghi.

Così nasce la figura dell'”animatore”

Durante il primo incontro del corso di formazione, strategicamente programmato i primi giorni di settembre per non incidere negativamente sulla didattica e per poter essere pronti a partire con quella che ora si chiama la disseminazione nel più breve tempo possibile, ci fu subito un chiarimento terminologico da parte dell’IRRSAE, che allora si occupava dell’aggiornamento: saremmo stati chiamati “Animatori, e non Formatori, per tre motivi principali:

  • Avremmo dovuto formare dei colleghi che erano abituati ad avere come Formatori Direttori, Presidi, Professori Universitari e che non sempre avrebbero accettato il nostro ruolo di “pari” un po’ più informati e formati, per cui Aggiornatori o Formatori sarebbe sembrato troppo pretenzioso;
  • Il nostro ruolo era di “animare” la didattica, mostrando, con l’esempio, quanto di innovativo c’era nei programmi e come si potesse renderla più viva, coinvolgente, interessante per gli alunni;
  • Non avremmo avuto niente a pretendere, in quanto non eravamo Formatori veri e propri, ma qualcosa di meno; l’Amministrazione, in pratica, metteva le mani avanti temendo che rivendicassimo la necessità della creazione di un ruolo “a sistema” che diventasse strutturale per le formazioni a venire.

In particolare su quest’ultimo aspetto, periodicamente, torna qualche cenno, da parte del Ministero, o da parte di Sindacati o Associazioni professionali, che paradisano l’idea della creazione di una squadra di docenti esperti in qualche particolare campo che debbano dedicarsi alla disseminazione del loro sapere e delle loro competenze presso i colleghi. Ma dopo trent’anni sono ancora qui che aspetto… Ed insieme a me tutti quei colleghi che da anni si formano e studiano per formare ed aggiornare.

Cambia il nome, ma non il ruolo

Da quel 1988, quasi senza soluzione di continuità, è iniziata la mia carriera pomeridiana e dei fine settimana, parallela a quella del mattino che, secondo il Piano di Formazione che veniva varato (per citarne solo alcuni: Orientamenti per la scuola dell’Infanzia, PSTD, Lingue Scuola Elementare, Lingue 2000, DL.59, DM. 61, Animazione alla lettura, TIC, LIM ecc.) mi vedeva assumere di volta in volta nomi diversi: Formatore, Aggiornatore, Coordinatore, Coach, Counsellor, Tutor, e-Tutor, Esperto, Docente, pur essendo io sempre la stessa persona, che bene o male, ricopriva incarichi simili o contigui.

La regola gattopardesca di cambiare tutto perché niente cambi, era così diventata “cambiare nome, perché il ruolo non cambi” e cioè perché non si creasse una figura finalmente definita, regolamentata, univoca, che si occupasse in modo quasi esclusivo di formazione dei colleghi. Dico “quasi”, perché distaccare completamente il Formatore dalla scuola significherebbe allontanarlo dalla realtà vissuta dai colleghi e, ancora di più, allontanarlo dagli alunni, i soli che possano veramente fornire un feedback efficace al suo lavoro.

Ovviamente non è mia intenzione raccontare qui i miei trent’anni da Formatore: ci vorrebbe un libro e non interesserebbe a nessuno. Cercherò però di sintetizzare come le tecnologie abbiano sostenuto questo percorso che ho svolto in comune con molti colleghi in Italia, come abbiano cambiato il mio modo di pormi e di proporre ai colleghi le conoscenze che avrei dovuto veicolare, riferendomi ad alcuni dei ruoli che mi sono stati affidati nel tempo.

Di quei primi corsi – bellissimi!- sull’Educazione al suono e alla musica, in cui ero Animatore, non resta niente: come dicevo, il materiale era cartaceo, perciò deperibile e nessuno si sarebbe sognato di fare le foto ad un corso di aggiornamento; le foto, nella scuola, erano riservate ai momenti importanti, come recite, gite, pensionamenti dei colleghi, l’arrivo di un nuovo Direttore, e non certo a “documentare” la formazione, come succede oggi.

Ricordo però le tonnellate di fogli da lucido che acquistai per il corso in cui ero Coordinatore: quello di formazione per gli insegnanti di lingua straniera di scuola elementare, partiti nel 2001. Così come ricordo le nottate passate a prepararli, quei lucidi, e tutte le volte che, arrivata in una scuola, regolarmente era fulminata la lampada della lavagna luminosa: ero talmente disperata che, nonostante il costo non proprio bassissimo, ad un certo punto mi ero quasi decisa ad acquistarne una personale! E le tonnellate di fotocopie per i corsisti… Spero che qualcuno le abbia mai lette, e non si sia limitato al famoso “alibi delle fotocopie” di Umberto Eco, per cui averle faceva sentire a posto con la coscienza, come se le si fosse lette!

Dalla carta alle tecnologie

Per quei corsi eravamo Coordinatori, perché oltre ad occuparci della formazione metodologica, essendo noi “solo” maestri, seppure laureati (la parte linguistica era demandata ai docenti delle superiori), con un team composto da un Ispettore tecnico, un Preside o Direttore Didattico (allora si chiamava così), dovevamo occuparci anche di pianificare e organizzare la formazione a livello provinciale, e per le riunioni organizzative eravamo distaccati nell’allora Provveditorato.

Questo aspetto del distacco è, in un certo senso legato anche all’uso delle tecnologie: più la nostra azione in presenza era necessaria, come a quei tempi, più tempo ci veniva concesso dall’Amministrazione per dedicarci al nostro lavoro. Chi, come me, ha partecipato a quel Progetto, ricorderà con rimpianto che il primo corso si tenne completamente in esonero per noi e per i corsisti: per 360 ore, più o meno, tenevamo i corsi di mattina, in una scuola. Questo permetteva, non tanto a noi, quanto ai corsisti, di seguire serenamente il corso, dedicandovisi quasi completamente, e mettendo a frutto maggiormente quanto imparato a lezione, perché non gravato dal lavoro in classe.

Già il secondo anno il discorso fu diverso: esonero solo fino a dicembre, e poi corsi pomeridiani: era diventata meno importante l’esigenza che i corsisti si formassero bene, dedicando alla formazione molto tempo ed energie?

Semplicemente, molto prosaicamente, ritengo che fossero finiti i soldi per un progetto che era, oggettivamente, molto costoso, visto che, oltre noi, andavano pagati tutti i supplenti che sostituivano i corsisti. Ma, nella mia esperienza, quello è stato uno dei corsi più proficui, per chi ci seguiva: insegnanti di tutte le età, alcuni non proprio giovanissimi, che magari avevano studiato il francese a scuola, ma molto tempo prima, che però, con il loro entusiasmo, riuscivano a mettere passione e impegno nel loro lavoro, sia nella nostra classe che con i loro alunni.

Con i primi corsi blended dell’Indire divengo e-Tutor; la stessa cosa avverrà per il corso di lingua e metodologia per insegnanti di lingua straniera della Primaria: alcune lezioni in presenza erano dedicate all’illustrazione della Piattaforma su cui si trovavano i materiali di studio e/o di lavoro su cui esercitarsi. Chi non ricorda, per i primi di questi corsi, il contatore del tempo, per il quale non era così importante l’interazione in rete, come invece avviene ora, quanto il tempo che si stava sulla piattaforma, con il risultato che alcuni corsisti la aprivano e facevano i fatti loro mentre il contatore correva…

Il mio compito, allora, era principalmente di gestione della classe virtuale, che si limitava ad una repository di materiali, una chat (che quasi nessuno utilizzava, almeno da me) e un forum, il coordinamento del laboratori, cioè la sezione in cui erano contenuti i materiali e, importantissimo per l’acquisizione dell’attestato, la validazione delle attività.

Nelle prime piattaforme, come ho già detto, l’interattività era riservata ai forum e alla chat, spesso deserti dopo i primi entusiasmi, e le attività proposte non erano quasi niente di più che la compilazione di documenti altrimenti cartacei, che però venivano riposti con l’aiuto delle tecnologie.

Alfabetizzare gli insegnanti all’uso del computer

In realtà, già nel 2004, con i corsi del DM 61, nel 2005 con quelli del D. L. 59 – Area di sostegno ai processi di Innovazione, quelli per Neoassunti, sia per, appunto, sostenere l’innovazione che per risparmiare, la modalità blended fu molto usata, con tutti i problemi che la tecnologia e la potenza di rete dell’epoca potevano generare: connessioni non registrate, files che sparivano, lezioni interrotte a metà e così via.

In mezzo, tra il primo corso di lingua e il secondo c’era stato, dal 1997, il PSTD, Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche, che, tramite corsi per la maggior parte di vera e propria alfabetizzazione informatica, aveva cercato, con alterne fortune, di avvicinare i docenti all’uso del computer, uno strumento non così capillarmente diffuso e, visto lo sforzo necessario per imparare ad utilizzarlo, di cui molti non coglievano l’effettiva utilità.

Ma anche i corsi TIC, con i vari livelli di formazione, che cercavano di portare il verbo informatico-tecnologico al livello dei docenti comuni, non informatici e non informatizzati, anche qui con risultati non sempre omogenei, anche per la differente competenza dei Formatori: non sempre chi sa, sa insegnare… Per le TIC fui addirittura una e trina: Docente, Tutor, e Counsellor! Oltre ad insegnare, dovevo seguire, sia in presenza che online i corsisti a me affidati, per sostenerli nel loro percorso di formazione e magari evitare che lo abbandonassero, non essendo la tecnologia così diffusa, anzi, affidata all’epoca solo nelle mani di un paio di persone per scuola, per lo più nei tecnici e nei professionali.

Mi ricordo soprattutto la fatica di far capire ai colleghi che ora erano loro a dover lavorare – noi dovevamo solo accompagnarli nel percorso. “Ma non sei tu il formatore?” ci chiedevano. “E che, pagano te e lavoro io?”.

La spinta del digitale

Ricordo che, quando nel 2002, dopo aver seguito il corso Garamond per la creazione dei siti scolastici, misi in rete il sito della mia scuola, quelli già presenti erano quasi tutti di scuole dove c’era un professore di informatica; in provincia il mio fu uno dei primi di scuola elementare, grazie ad un Dirigente illuminato che vedeva lontano ed aveva creduto in questa formazione, tanto da farla finanziare dalla scuola.

Altro evento formativo importante per la diffusione delle tecnologie nelle scuole, a cui ho partecipato, è stato il corso IRIDE per l’informatizzazione delle Biblioteche scolastiche, organizzato dall’allora CEDE, oggi INVALSI, e la BDP, oggi INDIRE, sfociato, negli anni successivi, in un Master ministeriale, che intendeva formare figure, i bibliotecari multimediali di Istituto per l’attuazione delle quali è poi sempre mancato, forse, il requisito fondamentale, indipendentemente dalla bontà del Progetto: i soldi.

La tecnologia mi consentiva anche di formarmi personalmente, senza muovermi da casa, su corsi di alto livello, come quelli dell’Università di Delft, il primo nucleo di quello che sarebbe diventato European Schoolnet. Ma per la maggior parte, i primi corsi di alfabetizzazione informatica ministeriali, seppure nati con buone intenzioni, lasciarono il tempo che trovarono, poiché molti docenti a casa non avevano il computer, e comunque quelli in circolazione non erano così performanti da invogliare al loro uso per la didattica, al massimo per fare copia-incolla con la Programmazione!

Molti altri sarebbero i corsi e i ruoli nati e morti per accompagnare la crescita tecnologica degli insegnanti, ma la farò breve.

Per quanto mi riguarda, sono passata di volta in volta dai corsi disciplinari a quelli sul “sistema scuola”, da quelli sulla gestione della classe a quelli sulla valutazione, da quelli sull’insegnamento, fino da una decina di anni fa, a quelli più recenti sull’apprendimento; dalle lezioni-conferenza ai workshop, ai seminari blended, alle videolezioni fino ai webinar e alle conferenze via Skype. In trent’anni sono cambiati sicuramente gli strumenti e le tecnologie, consentendo anche un miglioramento della formazione del Formatore e una crescita esponenziale delle conoscenze da gestire, selezionare, utilizzare.

Se trent’anni fa, da semplice Animatore, andavo in giro con i cartelloni prodotti dai miei alunni in classe per mostrare le storie musicali, le “battaglie ritmiche” create da loro, con i fogli delle loro filastrocche e poesie per cercare di associare l’educazione al suono e alla musica all’Italiano, in modo da renderla meno invisa agli insegnanti “tradizionali”, e costringevo i colleghi a cambiare ottica, a diventare alunni, per sperimentare in prima persona come “agire” le mie sollecitazioni, ora, come Animatore Digitale, mi servo delle App, del proiettore e della LIM, della videocamera, delle infografiche, della realtà virtuale ed aumentata, per cercare di convincere i miei colleghi che, come diceva qualcuno più autorevole di me, non è fallito il PNSD, ma è fallita, in troppi casi, la sua integrazione nella didattica, per un suo uso episodico e incidentale.

Ma come trent’anni fa faticavo a far passare l’idea che una didattica diversa delle “solite” materie fosse possibile, e che io riuscissi a far fare cose particolari ai miei alunni non perché avessi studiato al Conservatorio, ma perché tutti, se educati, possiamo ascoltare, discriminare, produrre, associare, interpretare suoni e silenzi (ovviamente se fisiologicamente non sussista un impedimento), oggi fatico a far capire che una scuola diversa è possibile, anzi, auspicabile, grazie alle opportunità offerte dalla rete, pur con tutte le problematiche che essa comporta, perché viviamo tutti, non solo i ragazzi, in un mondo connesso e reticolare, che ci chiede di essere preparati ed equipaggiati per affrontarlo senza soccombere.

La tecnologia è cambiata, è veramente interattiva, immersiva, pervasiva, rispetto ai primi corsi blended. Non serve più il contatore del tempo trascorso in rete: ora interessa lo scambio, la relazione, la comunicazione, il confronto, la riflessione tra pari. E ancora una volta il ruolo del Formatore è cambiato: ora siamo Coach. Limitati al minimo gli incontri in presenza, non serve neppure illustrare la piattaforma, per quanto è intuitiva. Serve, però, sempre, un Coordinatore, uno che tenga le fila, secondo le regole dell’apprendimento cooperativo, che solleciti, che stimoli, che incoraggi e che gratifichi. Ed eccoci qua, pronti ed usi a cambiare pelle e ad evolverci con le nostre piattaforme.

Il grande ostacolo della connessione

Inutile dire che ho accolto con entusiasmo l’idea di ridiventare Animatore, un animatore 3.0, ma anche 4, 5… Ho salutato ottimisticamente il PNSD, vera azione culturale di sistema, come il compimento di un lungo ciclo che, dopo aver messo alla prova tutte le forme possibili di “lezione” ai pari, avesse trovato finalmente la figura perfetta, l’anello mancante tra il maestro e l’Accademia, mi si passi il termine. Invece, dopo tre anni, mi rendo conto di essermi illusa di nuovo, e provo sempre la stessa fatica.

La fatica, mia, e di gran parte dei “nuovi” Animatori, nasce dal ritardo con cui viene realizzata la parte più importante del PNSD, perché premessa necessaria alla sua attuazione: l’effettiva connessione di tutte le scuole ad una rete veloce, che assicuri un collegamento continuo e abbastanza potente da reggere tutti i dispositivi necessari. Non a caso questa costituiva la prima azione del piano, ma si è preferito partire dall’attuazione dell’Azione 28- l’Animatore Digitale in ogni scuola, perché agire sulle infrastrutture è molto più complicato, macchinoso e difficile.

In questa figura, di “nuovo” Animatore doveva perfezionarsi, secondo me, quella prima idea che mi aveva vista coinvolta in prima persona, docente tra i docenti, che “sa di scuola” non perché l’abbia studiata, ma perché l’ha vissuta e la vive, e ne ha un’esperienza diretta potenziata e implementata dalle tecnologie, un supermaestro che porta la sua esperienza al servizio degli altri, con un ruolo riconosciuto e validato, non solo dai corsisti e dal loro apprezzamento, ma anche dal Sistema.

Resta, irrisolta, infatti, l’enorme difficoltà di poter conciliare il mio essere docente a scuola, tutti i giorni, spesso mattina e pomeriggio, e con tutte le incombenze di quello che chiamo “tempo nascosto” degli insegnanti (compiti in classe da correggere, lezioni da preparare, adempimenti burocratici da assolvere) con l’esigenza di tenermi aggiornata e la voglia di condividere con i miei colleghi almeno parte di quello che in tutti questi anni ho imparato e continuo ad imparare.

In questo, certo, le tecnologie aiutano: se nel 1992 impiegai dieci giorni di un Corso sull’uso del computer per l’insegnamento del Francese per produrre uno smilzo foglietto con quattro esercizietti in croce, oggi posso seguire webinar di notte, o mentre sono sul treno, o preparare le mie lezioni con molto anticipo e modificarle facilmente, adattandole alla platea che le seguirà; posso fare parte di comunità di pratica virtuali, che suggeriscono, consigliano, aiutano, condividono, ispirano; posso creare documenti condivisi e collaborativi con colleghi sparsi per il mondo, e capire lingue che non conosco ed imparare tecniche e strategie nuove grazie alle tecnologie. Ma resta, quella dell’Animatore, una figura irrisolta, incompleta, incompiuta. Certo, la Scuola è fatta di incompiute: non è così, da tempo, anche per l’Autonomia degli Istituti?

C’è un futuro per la formazione docente?

Le varie #FuturaPNSD a cui ho partecipato come Formatore sono state ottime opportunità per conoscere “dal vivo” colleghi che erano diventati amici e consulenti virtuali, di seguire le loro presentazioni e i loro workshop, ma resta l’esigenza di far capire a chi può decidere che, come la tecnologia va integrata nella didattica quotidiana non come fine, ma come strumento, come mezzo per renderla più efficace, attiva, interessante, anche la formazione del personale va resa veramente strutturale e “sistematica”, nel senso di inglobata nel sistema-scuola, con tempi distesi e dedicati, non “rubati” alla didattica, con professionisti che a questo si dedicano da tempo e che si sentono, a volte, un “corpo estraneo” nel loro stesso ambiente.

Ho potuto partecipare alla maggior parte delle #Futura PNSD perché mi è stata data l’opportunità di tenere i miei seminari di sabato, con la scuola chiusa, ed ho dovuto scegliere se formarmi o formare: cinque giorni di aggiornamento l’anno, per un lavoro come il nostro sono ridicoli, per una formazione di qualità, diciamolo. La formazione non può non essere ricerca-azione, anche se questo termine non va più di moda, e dunque deve partire dalla scuola, e nella scuola restare, senza però che né gli alunni, né chi deve formare debbano scendere a compromessi per mantenere il giusto equilibrio tra professionalità e servizio.

La Formazione è un diritto-dovere, che le tecnologie, che annullano spazio e tempo, possono e devono aiutare ad adempiere, ma sarebbe ora che chi di dovere decidesse di impegnarsi a dare finalmente un’identità ad una figura che non è accessoria, per il sistema scuola, ma essenziale. Da anni, nei corsi che seguo, incontro sempre le stesse persone, segno che condivido con molti colleghi un percorso di formazione-da-formatore comune, o quantomeno simile, e so di condividere con loro anche una sorta di smarrimento nel cercare di gestire i due ruoli che ricopro da tempo, uno smarrimento che è dato dal non vedere un futuro positivo per la formazione docente.

Non c’è tempo di aspettare un altro Piano, o un altro aggettivo, da aggiungere ad Animatore: la scuola non ha bisogno di aggettivi, ma di concretezza – e la Formazione ancora di più.

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