Il tempo sospeso della pandemia ha reso manifesto come il digitale sia parte integrante dei giochi, delle amicizie, e della vita quotidiana dei nostri bambini.
Il buio anno e mezzo che abbiamo attraversato sembra, infatti, aver abbattuto la parete di cristallo che separava gli adulti e genitori dalle esplorazioni digitali dei figli e sembra essersi inverata nelle nostre case una affermazione tratta da un mio saggio del 2011 (Nativi Digitali, Bruno Mondadori): “Si è affermata rapidamente una nuova versione 2.0 dell’Homo sapiens: si tratta dei ‘nativi digitali’. I nativi sono molto diversi da noi ‘figli di Gutenberg’. Sono nati in una “società multischermo” e interagiscono con molti di questi schermi fin dalla più tenera età”.
Preso atto di questa realtà, non si può tornare indietro né imporre divieti: occorre, però, formare insegnanti e genitori ad educare i piccoli “nativi digitali ” a un uso consapevole e creativo dei dispositivi digitali e del web.
La ricerca “Bambini e lockdown”
Molti genitori, infatti, sono rimasti stupiti e spesso preoccupati dalla quantità di ore che i figli hanno trascorso davanti agli schermi. La vita dei “nativi digitali” tra zero e dieci anni si presenta, a quanto emerge dai nostri dati di ricerca, come un continuum di esperienza, in presenza e online dove la dimensione digitale è molto sviluppata e inestricabilmente intrecciata con quella reale.
È proprio questo uno dei temi che è stato indagato, tra gli altri, dalla ricerca “Bambini e lockdown” condotta dalla Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP Lombardia – Marina Picca, coordinatrice scientifica del progetto per i pediatri) con la collaborazione di un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca (Paolo Ferri e Chiara Bove, docenti del Dipartimento di Scienze umane per la formazione “Riccardo Massa” ) e della spin-off dell’Università di Milano-Bicocca “Bambini Bicocca” (Susanna Mantovani, coordinatrice scientifica).
I questionari sono stati erogati nel 2020 dopo il primo Lockdown e nel 2021 dopo i lockdown parziali dell’inverno. La ricerca ha coinvolto più di 3.500 famiglie nel 2020 e 3200 nel 2021[1], tutte con bambini di tra gli zero e i dieci anni di età residenti in tutte le province della Lombardia.
L’obiettivo della ricerca era quello di indagare i ritmi, le regole, le routine (alimentazione, sonno, gioco, movimento), l’esperienza educativa e didattica e gli stati emotivi dei bambini e dei genitori durante il lockdown (Mantovani e al., 2021, Picca, 2021). In questo articolo approfondiremo più nello specifico, a partire dai dati raccolti nelle due indagini (2020, 2021), il rapporto dei bambini con le tecnologie digitali.
Famiglie molto connesse e bambini sempre più sugli schermi
Le case dei genitori dei bambini che abbiamo intervistato sono case dove le tecnologie digitali e di rete sono molto diffuse: un computer, uno o due smartphone, un tablet e/o una stampante sono quasi sempre presenti (Figura 1 e 2).
Bambini da 0-5 anni
Bambini tra 6 e 10 anni
Figura 1 e 2 strumenti tecnologici presenti nelle case dei bambini lombardi – Ricerca Bambini e Lockdown 2020
In particolare, si segnala la quantità di smartphone, due nella maggior parte dei casi, talvolta tre, quasi mai nessuno. Le famiglie lombarde sono sicuramente più abbienti di quelle di altre regioni di Italia, ma questo dato è ancora più significativo se è integrato con i dati dell’Istat riguardo alla connessione a Internet dei cittadini italiani tra i ventiquattro e i quarantacinque anni.
Figura 3 Utilizzo di Internet in Italia Istat Cittadini imprese tecnologi, 2020
Già nel 2019, prima della pandemia, la penetrazione di Internet in questa fascia di popolazione era superiore all’85%, e questo ci permette di affermare come le famiglie italiane con figli e figlie tra gli zero e i dieci anni siano nella stragrande maggioranza dei casi connesse e come il Web e i dispositivi digitali facciano parte della loro vita quotidiana. La tecnologia è quindi presente in famiglia, ma anche i bambini sono molto presenti sugli schermi, in particolare è molto interessante notare come questa presenza sia, nella percezione dei genitori, cresciuta molto con il primo lockdown nel 2020 e non sia calata nel 2021, come si sarebbe potuto pensare, vista la ripresa della scuola.
Figura 4. Presenza sugli schermi dei bambini 6-10 anni nel 2021
I bambini non hanno usato gli schermi solo per la Didattica a distanza (6-10 anni) ma anche per lo svago l’intrattenimento e il gioco. Nella fascia tra i 6 e 10 anni il tempo sugli schermi risulta decisamente maggiore, sempre nella percezione dei genitori rispetto a quello speso nel 2020.
Ma anche tra i più piccoli questo dato aumenta come dimostrano i grafici (Bambini e Lockdown, rilevazione 2021). Conseguentemente più del 52,5 % dei genitori dei bambini tra sei e dieci anni ritiene che questi abbiamo passato più tempo sugli schermi e solo il 10,5% dichiara che le loro bambine e i loro bambini sono stati meno impegnati con i device digitali (Figura 4).
Figura 5 – Presenza sugli schermi dei bambini 0-5 anni nel 2021
Un fenomeno analogo anche se in misura minore avviene anche nei bambini tra zero e cinque anni dove rispetto alla rilevazione del 2020, il 29,6% dei genitori ritiene che abbiamo aumentato il tempo sugli schermi, il 60,9 ritiene che questa sia invariata e solo il 9,6% ritiene che sia diminuita. L’effetto stanchezza da digitale non è sicuramente attivo, anzi si può forse ipotizzare un incremento della “naturalizzazione” nell’uso di strumenti digitali, nella percezione dei genitori. Gli schermi digitali non vengono più percepiti come un qualcosa di “speciale” e occasionale, sono divenuti una delle interfacce con cui si fa esperienza del mondo. Secondo le nostre rilevazioni, poi, il tempo medio trascorso sugli schermi per lo svago e l’intrattenimento è stato nel 2021 di un’ora e mezzo in media per i più grandi e di quasi un’ora per i più piccoli. Inoltre, e questo è un dato che deve essere osservato con particolare attenzione è aumentato il possesso di un device digitali anche per i piccoli ed è quasi raddoppiato passando dal 9.1 al 14,5. Il fenomeno risulta, però, davvero eclatante per più grandi (tra i 6 e i 10 anni). In questo caso il possesso dei device è cresciuto di quasi tre volte tra i bambini della scuola primaria nel 2021. Possiede un device personale il 58,4% di loro contro il 23,5 % rilevato durante il primo lockdown del 2020, sia esso uno smartphone, un tablet o una console di gioco, portatile o fissa.
Le attività dei bambini sugli schermi
Ma che cosa fanno i bambini con gli schermi? Per entrambe le classi di età l’utilizzo principale dei dispositivi digitali riguarda la fruizione di contenuti video (film, cartoni, documentari, video su You Tube) sono visti rispettivamente dal 47,3% (0-5 anni) e dal 58,4% (6-10 anni) dei rispondenti. Tuttavia, è cresciuto anche in maniera netta un uso più attivo degli schermi. Si segnala, a questo proposito, una maggiore popolarità dell’utilizzo degli strumenti digitali per giocare, e quindi un utilizzo più proattivo dei dispositivi digitali che comprende il gioco collaborativo online (si pensi all’enorme popolarità del videogioco Fortnite in questo periodo fra i bambini della primaria) e le relazioni sociali principalmente attraverso WhatsApp. Il 53,5% dei genitori dei bambini più grandi dichiara, infatti, che i propri figli utilizzano lo strumento digitale per giocare, contro il 20,7% dei bambini più piccoli. Ed è ben rappresentato anche l’utilizzo dei device digitali come strumento di socialità e relazione con i pari, con i famigliari e con i parenti (20,7% , 0-5 anni vs 25,9%, 6-10 anni). Si conferma in questo modo come l’uso sociale del web sta diventando via via più importante anche tra i bimbi più piccoli e non solo in età pre-adolescenziale ed adolescenziale. Anche il consumo di televisione è stato percepito come aumentato dal 39,9% dei genitori dei bambini 6-10 anni e dal 31,3 percento di quelli tra 0 e 5 anni, mentre circa il 47% di entrambe le classi di età lo ritiene invariato e solo il 11,6 (0-5anni) e il 21,9% (6-10 anni) lo ritiene diminuito Anche in questo caso un dato che conferma la progressiva “naturalizzazione” della vita sullo schermo dei bambini nelle opinioni dei genitori, è molto probabile però che televisione resti “accesa” anche senza essa “guardata”, cioè mentre i bambini svolgono anche altre attività, una sorta di “sfondo integratore” della vita delle famiglie italiane.
L’insieme di questi dati pone anche molti interrogativi sul significato e sui possibili rischi di un tale “consumo” di media e attività digitali oltre che di televisione da parte dei bambini tra gli 0 e i 10 anni. Quello che pare necessario è una precoce educazione ai nuovi media digitali ed è qui come vedremo nel prossimo paragrafo che entra in gioco la scuola.
La scuola: sempre più ore sugli schermi, ma con quale metodologia
Come abbiamo notato più volte su Agendadigitale.eu, gli insegnanti italiani (Ferri, P., 2020a) si sono dimostrati encomiabili durante la pandemia – almeno una larga parte delle maestre e dei maestri – e hanno supplito con la dedizione e l’impegno ad una generalizzata carenza di strutture e formazione metodologica sulla didattica aumentata dalle tecnologie. Una carenza che deriva direttamente dai mancati investimenti o dai tagli all’istruzione pubblica che sono stati operati da tutti i governi che si sono susseguiti nell’ultimo ventennio, almeno fino al Piano Nazionale Scuola digitale (Ferri, 2021) e prima degli interventi emergenziali durante la pandemia del ministro Azzolina (Ferri, P., 2020b). Analizziamo perciò i dati della nostra ricerca riguardo alle opinioni dei genitori delle scuole primarie lombarde sulla Didattica a Distanza (poi ridefinita Didattica Digitale Integrata dalle Linee guida del MIUR del 26 giugno 2020).
È necessario notare, in primo luogo, come una buona percentuale dei genitori che hanno risposto nel 2021, avrebbe preferito che si potesse trovare una soluzione alternativa alla chiusura della scuola (44,8% – 0-5 anni; vs 53% – 6-10 anni). Le motivazioni di questa diffusa percezione sono molteplici e sicuramente possono essere ricercate nella difficoltà e nel “carico” di tempo ed impegno gravato sui genitori nell’aiutare i loro figlio durante il primo lockdown del 2020.
Inoltre, una consistente fetta di rispondenti ha subito pensato alla difficoltà di conciliazione delle necessità lavorative con quelle nell’accudire i figli (28,7% di entrambe le classi di età). È plausibile, poi, ipotizzare che questa sensibilità sia dovuta al maggiore, se non esclusivo, ruolo della donna nell’occuparsi dei figli e nell’organizzare le attività familiari. Una conferma implicita è data anche dall’evidenza, sopra riportata, che la stragrande maggioranza dei genitori rispondenti siano donne (93,2 % nel 2021 e 93,3% nel 2020). Fatta questa premessa, proviamo ad analizzare i vissuti della Dad e della DDI presso i genitori che hanno risposto ai nostri questionari. Le domande che abbiamo posto hanno riguardato le seguenti dimensioni:
- l’impegno orario dei bambini durante la Dad/DDI;
- Gli strumenti e le metodologie utilizzate da maestre e maestri;
- Il tasso di gradimento della Didattica a Distanza/Didattica Digitale Integrata[2].
I tempi della didattica a distanza
Per ciò che riguarda il “tempo di esposizione” agli schermi durante la Didattica a distanza per i bambini della scuola primaria (6-10 anni) possiamo segnalare che rispetto al primo lockdown del 2020 questo sia aumentato, passando da una media di circa due/tre ore al giorno ad un media tra le tre e le quattro ore (53,4%). Un tale incremento può essere spiegato con un maggior “pratica” degli insegnanti nella gestione della didattica digitale ma anche da un eccessivo utilizzo della didattica frontale nei periodi di lockdown e non. Come vedremo questo è un elemento centrale che è stato rilevato anche a livello nazionale e non solo in Lombardia, ad esempio, nella ricerca nazionale condotta dalla Società Italiana di ricerca e didattica sulla DAD (Sird 2021).
Gli strumenti e le metodologie utilizzate da maestri e maestre
L’eccesso di un approccio trasmissivo può essere rilevato anche indirettamente, osservando gli strumenti più utilizzati dagli insegnanti della primaria durante la Didattica a Distanza e la Didattica Digitale Integrata questi strumenti di tipo trasmissivo sono stati: le video-lezioni in diretta (72,2 %) e cioè decisamente maggioritarie; i compiti postati sul registro elettronico (57,2%) o via mail (53,4%). Solo il 43% degli insegnanti si è avvalso di un ambiente digitale per l’apprendimento (cioè di una classe virtuale), e quindi di un ambiente di apprendimento che permette interazioni meno statiche, un maggior spazio di negoziazione e di interazione e la possibilità di gestire gruppi di lavoro e laboratori on-line con il tutoraggio diretto e indiretto delle maestre e dei maestri.
La maggioranza degli insegnanti lombardi, nel lodevole tentativo di cercare di mantenere il contatto con i bambini, sembra perciò avere scelto, almeno nella maggioranza dei casi, strumenti poco interattivi e che tendono a riprodurre la dinamica della lezione frontale d’aula anche all’interno del nuovo contesto solo digitale dettato dall’emergenza. Questo rappresenta una grave in difficoltà perché, per un bambino, una lezione frontale è già piuttosto difficile da fruire anche in presenza e questa difficoltà aumenta esponenzialmente se è solo di fronte ad un video.
I dati della nostra ricerca Bambini e Lockdown si presentano in linea con la rilevazione nazionale condotta, come accennavamo dalla Società Italiana di Ricerca Didattica su tutti i livelli del sistema scolastico italiano; il report, citando testualmente afferma: “La Didattica a Distanza non ha favorito strategie didattiche diverse da quelle tradizionali. Le maggiori difficoltà in questo senso sono ricadute sulla scuola dell’infanzia e sulla primaria che tradizionalmente sono più attive della scuola secondaria. In qualche modo la DAD ha riprodotto i limiti della didattica in presenza” (Sird, 2020).
La valutazione dei genitori rispetto alla Didattica a Distanza
Se analizziamo la valutazione della Didattica a distanza, espressa dai genitori lombardi[3] ci troviamo di fronte a risultati congruenti con quelli che abbiamo esposto più sopra. In effetti la maggioranza dei genitori ha considerato la Dad come adeguata (41,8%) riconoscendo lo sforzo fatto dalla scuola nel mantenere attraverso la tecnologia digitale la continuità didattica anche in momento così complesso come quello del lockdown.
I genitori lombardi hanno, però, individuato in maniera molto precisa i limiti della Dad e della DDI, in particolare segnalano come l’approccio nozionistico che ha caratterizzate nella maggior parte casi gli interventi dei maestri abbia lasciato poco spazio agli scambi diretti con gli insegnanti dei bambini (41,8%) e conseguentemente abbia richiesto un grosso sforzo per aiutare e figlio ai genitori stessi (31,4%) che contemporaneamente si trovavano impegnati nello smart working, mentre il tema dell’eccesso di tempo davanti allo schermo risulta poco presente (9,8 % degli intervistati) in linea il processo di progressiva “naturalizzazione” della vita sullo schermi dei figli che abbiamo visto essere uno dei tratti significativi che emergono dalle nostre successive rilevazioni. Il tema della “naturalizzazione” della tecnologia si presta a molteplici letture, da un lato sancisce uno stato di fatto: i “nativi digitali” vivono sugli schermi come vivono nella vita reale e crescendo utilizzano sempre di più gli strumenti digitali. Dall’altro questo dato di fatto presenta anche notevoli elementi di criticità poiché un eccesso di esposizione “acritica” e non “ponderata” agli schermi può rappresentare un grosso problema per tutti i bambini, ma in particolare un problema di inclusione e di giustizia sociale soprattutto per le figlie e i figli delle famiglie più svantaggiate.
Questo duplice aspetto del fenomeno che abbiamo rilevato emerge anche da un’analisi dei dati che abbiamo sviluppato attraverso il metodo della correlazione di Pearson[4]. Secondo le nostre correlazioni, l’utilizzo dei dispositivi digitali aumenta sensibilmente con il crescere dell’età e, come è facilmente intuibile, con il possesso dello strumento digitale e questo spiegano la progressiva “naturalizzazione” del fenomeno della presenza dei bambini sugli schermi riportato da molti intervistati. Allo stesso modo, però, per entrambe le classi di età sia i bambini più piccoli (0-5 anni) sia quelli più grandi (6-10 anni) la variabile del titolo di studio dei genitori è significativamente correlata con un minor tempo di utilizzo del dispositivo digitale. È plausibile, perciò, ipotizzare che genitori con titolo di studio più alto, e quindi con status sociale più elevato, possano offrire ai propri figli un ventaglio maggiore di attività integrative “esterne” (sport, musica, laboratori…) e/o nello stesso tempo essere in grado di negoziare più efficacemente il tempo d’uso dei device. Genitori più colti, poi, possono promuovere un uso più mirato dei dispositivi digitali non solo orientato allo svago ma anche ad altre attività più significative tra le quali la lettura e l’apprendimento. Emerge, perciò, la necessità di politiche scolastiche che garantiscano a tutti i bambini una vera e propria educazione ai nuovi media che permetta loro di farne un uso critico e consapevole questo proprio per evitare che solo ai figli delle classi più avvantaggiate sia offerta la possibilità di sfruttare al meglio gli indubbi vantaggi che le tecnologie digitali offrono nel campo degli apprendimenti minimizzandone nello stesso tempo i rischi.
Conclusioni
Indietro, abbiamo detto, non si può tornare e sappiamo bene che i divieti finiscono sempre per sortire l’effetto opposto a quello desiderato. Vanno, invece, educati genitori e insegnanti per evitare, in ogni modo, il rischio che gli schermi dei dispositivi si trasformino in una “baby sitter” o peggio in un “dispenser” di stili di vita standardizzati e di prodotti commerciali, come è già avvenuto per la televisione. Da questo punto di vista sono proprio le evidenze che sono emerse durante la pandemia a dimostrare come la scuola italiana, come sistema, non sia ancora preparata a questo compito.
Proprio la “forzata” trasposizione in digitale della didattica ed i limiti manifestati dalle sue applicazioni in classe, durante i lockdown, hanno messo la lente di ingrandimento in particolare rispetto a due ambiti connessi: a. la necessità, sempre più cogente, di abbandonare un approccio “istruzionista”, nozionistico e didascalico all’apprendimento; b. l’esigenza, altrettanto improrogabile, di qualificare e formare metodologicamente e tecnologicamente il corpo docente alla didattica “aumentata dalle tecnologie” (Luccisano, 2020, Girelli 2020, Ferri, Moriggi, 2019).
L’eccesso di video-lezioni frontali e di metodologie trasmissive ha messo in evidenza in maniera molto chiara la necessità, nel solco degli insegnamenti dell’Éducation Nouvelle, di avviare una riflessione su una “nuova scuola” abilitata dalla tecnologia. Una scuola che valorizzi le metodologie laboratoriali, esperienziali e interattive così come il carattere situato, sociale e relazionale dell’apprendimento (Bruner 1990; Gardner 1983; Gardner, Davis, (2013): Brown, Campione 1994; Papert 1993; Rogoff 2003) e che abbia come sfondo epistemologico un approccio costruttivista all’insegnamento/apprendimento (Laurillard, 2013; Pireddu 2014; Rivoltella, Rossi, 2012; Rivoltella 2013; Midoro 2016; Ferri, Moriggi, 2019). È un compito sfidante e complesso ma estremamente necessario oggi e per il futuro, se non vogliamo che le diseguaglianze nell’uso consapevole delle tecnologie digitali si trasformino, domani in esclusione sociale per i giovani meno fortunati.
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- I due questionari non sono sovrapponibili, il secondo costituisce un approfondimento ed ampliamento di temi trattati nel primo questionario, solo alcune domande sono state ripetute. La platea dei rispondenti è invece parzialmente sovrapponibile per caratteristiche socio-demografiche ed età. ↑
- Questi dati si riferiscono alla rilevazione del 2020 (Ricerca Bambini e Lockdown 2020) ↑
- Questi dati sono ricavati dall’indagine 2020 ↑
- In statistica, l’indice di correlazione di Pearson (anche detto coefficiente di correlazione lineare) tra due variabili statistiche è un indice che esprime un’eventuale relazione di linearità tra esse e cioè la tendenza che hanno due variabili (X e Y) a variare insieme, ovvero, a covariare. ↑