Il decalogo dedicato al BYOD in classe (Bring Your Own Device, ovvero porta il tuo dispositivo) e prodotto da una commissione alla quale io stessa ho partecipato al MIUR, ha suscitato negli ultimi mesi animate discussioni in Rete.
Liquidato da molti come “sdoganamento dello smartphone”, purtroppo, è stato percepito da altri come “un’istigazione alla tecnologia”, con l’idea addirittura di favorire fantomatiche lobby digitali, senza affatto tener presente alcuni aspetti fondamentali.
Precisiamo, prima di tutto, che BYOD si riferisce ad ogni dispositivo e non solo agli smartphone, così tanto temuti nella determina dell’ex Ministro Fioroni del 2007, ma tablet, netbook e i trascurati e-reader necessari per la lettura di ebook.
Bisogna prendere atto che dal 2007 si sono alternati numerosi scenari nel panorama didattico insieme ad azioni di sistema come i progetti Classi e Scuola2.0. Per questo motivo lo scopo fondamentale del decalogo, a cui farà seguito un documento maggiormente dettagliato da parte del MIUR (leggi su Miur e scuola digitale), è stato quello di inserire e riconoscere in una cornice istituzionale tutte quelle pratiche che da tempo numerosi insegnanti stanno portando avanti nelle loro classi. Un modo, quindi, per far uscire dalla “clandestinità digitale”, colleghi che già operano in classe con dispositivi personali rispettando, nel contempo, tutte le norme di sicurezza.
Il BYOD come strumento di inclusione
È interessante effettuare un salto nel lontano passato per scoprire che “Con ogni sorta di strumenti” era la dicitura presente negli spartiti musicali pubblicati nel XVI secolo. Rappresenta l’emancipazione della musica strumentale da quella vocale. Si creava una sorta di gruppo strumentale che oggi potremmo definire “inclusivo” in cui non venivano definiti ruoli da solisti ma il mescolarsi di strumenti diversi dava luogo ad un’esecuzione ogni volta nuova e non standardizzata, con la complicità anche dell’avvento della stampa musicale per favorirne così la stessa diffusione.
Ritorniamo ai giorni nostri: è proprio l’aspetto inclusivo il valore aggiunto del BYOD ovvero la possibilità di lavorare a scuola per lo studente con tutto quello che è possibile utilizzare anche a casa. Il proprio familiare strumento può essere sempre a disposizione, facilitando sicuramente l’apprendimento. Non è necessario l’acquisto di software di cui solo la scuola è in grado di possedere la licenza, ma tool interoperabili il cui impiego è possibile senza vincoli di spazio e di tempo per ricreare un ambiente aumentato oltre l’aula.
A tale proposito è già presente l’evoluzione del termine, dal BYOD al BYOT, per essere precisi Porta il tuo Tool.
Pensiamo a tutti gli strumenti che permettono di prendere appunti non solo testuali come OneNote o Google Keep con cui è possibile tenere memoria di ogni istante.
E come l’ensemble rinascimentale, il proprio dispositivo/strumento rende possibile la partecipazione collettiva alle attività, non per isolarsi e alienarsi ma per confrontarsi con gli altri condividendo spazi sociali, schermi e costruendo setting in classe ogni volta diversi.
Il BYOD come strumento creativo
“Quando le persone trovano il loro mezzo espressivo, trovano le loro vere capacità creative e si realizzano. Aiutare le persone a entrare in contatto con le loro capacità creative individuali è il modo più sicuro per far uscire il meglio che hanno da offrire” Ken Robinson
Il celebre musicista di Berchidda, Paolo Fresu, afferma che usare le tecnologie serve “per ritrovare una strada che ti porta verso altri luoghi, altri lidi e altri tempi.”
Le sue performances musicali, infatti, sono arricchite da delay, harmonizer ed altri effetti che lui stesso definisce come “diavolerie” realizzate grazie ad un suo particolare dispositivo elettronico che permette un dialogo con lo strumento musicale analogico.
Un insolito BYOD musicale, quindi, che arricchisce l’esecuzione ogni volta sempre più creativa e coinvolgente per gli ascoltatori.
Nell’aggiornamento del framework Digcomp del 2016, la creatività si affaccia come evoluzione del termine “Competenza digitale”. Lo stesso concetto viene rilanciato successivamente nei due modelli di certificazione di competenze per la scuola primaria e scuola secondaria di primo grado pubblicati con Decreto Ministeriale n.742 del 3 ottobre 2017: l’importanza di usare in modo responsabile le tecnologie come “supporto alla creatività”.
La creatività implica fare qualcosa, come scrive Ken Robinson, e dobbiamo considerare che, come scritto nel Piano Nazionale Scuola Digitale nella sezione Competenze e contenuti, lo studente non è più un fruitore passivo ma creatore consapevole di contenuti.
Creatività digitale e BYOD: quale legame, allora? Il dispositivo personale, utilizzato quotidianamente nella maggior parte dei casi come strumento social, acquista potenzialità tutte da esplorare, dal blocco personale di appunti alla produzione di presentazioni collaborative, come precedentemente ricordato.
E se non abbiamo connessione di Rete nelle nostre aule?
Ricordiamo che, in alcuni casi, per l’impiego di alcune app non è sempre necessaria la Rete. NOISE, ad esempio, può permettere di creare sfondi sonori con dispositivi mobili e lavorare, così off line, su narrazioni interattive manipolando suoni. E sempre off line possiamo sperimentare digital storytelling con il supporto musicale o registrare e registrar-si in formato audio per creare un e-portfolio creat-tivo.
BYOD come strumento per l’educazione civica digitale
In ultimo è bene evidenziare l’importanza del BYOD nell’ambito dell’educazione civica digitale.
Desta particolare interesse, a tale proposito, la lettura del documento redatto dal Ministero dell’Istruzione della Catalogna nel Novembre del 2015 “Core competencies in the digital field”, in cui nei macroambiti di competenza troviamo sia la dimensione della conoscenza dei propri dispositivi e delle applicazioni installate che la cittadinanza digitale come momento di sviluppo della propria identità digitale.
Non a caso il verbo “choosing”, ovvero scegliere, selezionare, è ripetuto numerose volte nel documento. Rappresenta un compito importante a cui, soprattutto noi educatori, dobbiamo fare riferimento. Quali app installare? Quali app davvero utili per le attività richieste? Quali sono le operazioni da attivare nel nostro dispositivo per l’installazione? Cosa ci verrà chiesto dopo per attivare la nostra app?
Sono domande da cui non è possibile prescindere, soprattutto quando siamo tempestati da link, risorse web in cui il “linko quindi sono” sembra essere l’imperativo predominante anche nei gruppi e nelle Community di insegnanti.
Gli scenari didattici proposti implicano a monte un pensiero pedagogico, un’attività ben strutturata tenendo presente quello che il prof. Giuseppe Rossi, docente di Didattica alla facoltà di Scienze della Formazione di Macerata, nel suo Modello F-V-P (Finalità-Progettazione-Variabili) chiama “Vincoli di progetto”.
Ad esempio non posso forzare l’uso del BYOD “spinto” in classe se non ho un’infrastruttura di Rete ben solida, perché rischierei un clamoroso fallimento che provocherebbe un boomerang scatenando aspre critiche da parte di coloro che “abbiamo fatto sempre così e quindi non si cambia”.
Cerchiamo, quindi, di tranquillizzare tutti coloro che hanno alzato muri contro il BYOD in questi mesi. Chi sta percorrendo questo sentiero certamente non emula l’insegnante Filippo, interpretato dall’attore Alessandro Gassman nel celebre film “Beata Ignoranza” in cui sembra che improvvisazione ed eterna connessione facciano da padroni nella scuola che si manifesta come innovativa.
Diamo, invece, significatività e senso all’innovazione tenendo sempre presenti le tre C, Condivisione, Collaborazione e Consapevolezza insieme al Dirigente, prima di tutto, e poi con colleghi, famiglie e studenti.