Dopo New York, Los Angeles, le 8 principali università australiane e l’allarme di quella svizzera, dove è arrivato il divieto all’uso di ChatGPT, cosa succede in Italia? Nel nostro Paese non esistono per ora provvedimenti simili a quelli americano o australiano o svizzero.
E se ChatGPT fosse una risorsa per la Scuola? Ecco i pro e i contro
Il dibattito è assai acceso, anche perché per comprendere discussioni, timori, divieti e quant’altro non va dimenticato cosa la chatbot di OpenAI sa fare: corregge se scrivi in modo sgrammaticato ed è anche in grado di adeguare il suo stile al contesto; gli si può chiedere di scrivere un saggio sulla politica estera per l’università o rispondere e trovare soluzione a problemi di varia complessità. ChatGPT si può usare anche per scrivere semplici articoli di giornale, tesine universitarie o magari per rispondere per iscritto alle domande di un esame o di una verifica scolastica.
Il segreto della chatbot è legato a un sofisticato modello di machine learning e alle sue prestazioni hanno contribuito diversi istruttori umani, supervisionando le sue azioni.
Cosa ne pensano i diretti interessati docenti e studenti? Cerchiamo di vedere come istituzioni, professori e studenti e il nostro sistema educativo in generale si sta preparando alla diffusione dell’AI, raccogliendo testimonianze in rete di esperti e accademici, che a diverso titolo stanno manifestando la loro opinione sulla chatbot. Ci si attende comunicati ufficiali da parte accademica, ma al momento, a parte dichiarazioni rilasciate durante interviste o a titolo didattico e divulgativo, sembra si sia ancora in una fase osservativa.
Opinioni e testimonianze
Gianna Barbieri, Direttore generale per l’edilizia scolastica e la scuola digitale del ministero dell’Istruzione e del Merito ha detto “È sicuramente opportuno regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale in classe, magari in maniera differente tra scuola primaria e secondaria, così come peraltro già si fa con gli smartphone o la semplice calcolatrice, ma costruire muri non ferma il vento: la scuola dovrà rispondere alla sfida lanciata dalle enormi potenzialità di questi strumenti”.
“ChatGPT è uno strumento che già usano in tanti, all’insaputa dei professori, a scuola e all’università – afferma Francesco Intraguglielmo, fondatore e presidente dell’associazione di studenti Rivoluzioniamo la scuola – Il punto è che la scuola italiana non è ancora riuscita del tutto ad adattarsi a Google: un esempio è il latino, per cui ormai il 90% degli studenti trova le traduzioni online. Immaginiamo che impatto può avere una tecnologia come ChatGPT su questo modello, ancora basato sulla verifica delle nozioni e non sulla crescita di ragazzi e ragazze”.
“Quello che sta succedendo con ChatGPT non è qualcosa di nuovo in senso assoluto – spiega Michele Nappi, professore ordinario al Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Salerno, unico Dipartimento di Eccellenza in quest’area al Centro-Sud -. Quando ci sono evoluzioni tecnologiche radicali, in una prima battuta vengono fuori timori e preoccupazioni, dopo però si trovano contromisure, spesso altrettanto tecnologiche, per fronteggiare i problemi che emergono”.
“Da alcuni anni, in particolare nelle università americane, sono diffusi modelli di valutazione sempre più automatici, che mirano alla standardizzazione dei processi: mi pare che ChatGPT si inserisca in questa tendenza – racconta Marco Bruno, professore associato alla Facoltà di Sociologia, Scienze Politiche e Comunicazione alla Sapienza -. Ora, se gli studenti scrivono con l’intelligenza artificiale e noi valutiamo in maniera automatica, cosa resta dell’istruzione? La mia idea è che questa possa essere un’occasione per ricominciare a parlare di cosa sia davvero l’educazione, oltre l’ossessione per il voto”.
ChatGPT irrompe nelle università: il parere di docenti e studenti, le contromisure
“Rincorrere lo sviluppo tecnologico cercando soluzioni tappabuchi rischia di essere una strategia perdente – sostiene Antonio Coratti, professore di Filosofia all’Istituto Toscanelli di Ostia e Responsabile per Castelvecchi della collana di saggi Nuovo Lessico Critico -. Io propenderei per un’altra strategia, più radicale: sfruttare le opportunità che queste tecnologie consentono, senza demonizzarle, ma cambiare sia il modo sia i contenuti con cui la scuola lavora. Non è facile, certo, ma la tecnologia può essere un’occasione di crescita”.
Oltralpe, in Svizzera, la situazione è più movimentata. Nei corridoi dell’Università di Ginevra, ChatGPT non è un tabù. “L’ho già usato, ma solo per aiutarmi a riassumere i temi d’esame”, dice uno studente delle 19h30. In letteratura dobbiamo analizzare fonti e testi antichi e storici. Quindi l’intelligenza artificiale non ci aiuterà molto”, ha commentato uno studente universitario[8].
Quando chiedo agli studenti di consegnare un lavoro, potrei accompagnarlo con una discussione successiva, una sorta di difesa di una tesi. Risulterà chiaro se lo studente conosce la materia”, afferma Martin Hilpert, vicerettore dell’Unine.
L’ateneo ha già vissuto situazioni in cui ha dovuto adattarsi ai progressi tecnologici. Nella Svizzera francese, alcuni responsabili dell’istruzione fanno un parallelo tra ChatGPT e l’arrivo delle calcolatrici, dei motori di ricerca e di Wikipedia. Strumenti che in seguito sono stati integrati nell’insegnamento. Nel Canton Vaud, sarà presentata un’interpellanza al Gran Consiglio (parlamento cantonale) per discutere un possibile quadro giuridico in materia.
Eric Vanoncini, insegnante di filosofia e collaboratore del servizio cantonale di Ginevra per la formazione ai media nelle scuole ritiene utile diffondere ChatGPT tra i suoi studenti “Durante le mie lezioni, ho usato le risposte di ChatGPT in alcuni momenti per riflettere su ciò che facciamo in filosofia, sulla questione dell’accesso alla conoscenza, sull’affidabilità delle fonti e sull’intero processo di ricerca”, spiega, e aggiunge: “ho anche provato in diverse occasioni a chiedergli di preparare sequenze didattiche o esercizi. ChatGPT ha fatto tutto questo relativamente bene”.
Al Politecnico federale di Losanna ChatGPT ha risposto alle domande a cui devono rispondere gli studenti che stanno per concludere il master in fisica e la macchina ha superato il test. “È intelligente quasi quanto uno studente medio”, ha affermato il ricercatore Martin Jaggi, responsabile del Laboratorio di machine learning e ottimizzazione dell’EPFL.
Sul tema, prima ancora dell’arrivo di ChatGPT, si era espressa anche la Commissione Europea, nel documento “Orientamenti etici per gli educatori sull’uso dell’intelligenza artificiale e dei dati nell’insegnamento e nell’apprendimento”. Le linee guida non citano in maniera diretta la produzione di testi così come la consente la chatbot di OpenAI, al centro c’è la formazione e la consapevolezza, attraverso le quali gli educatori possono sfruttare queste tecnologie per migliorare la didattica. In questa fase la discussione sembra avere due punti di sviluppo centrali: la necessità di controllare se un testo è stato generato dall’intelligenza artificiale, promuovendo, allo stesso tempo, una consapevolezza nell’uso di questi strumenti.
L’opinione di ChatGPT
E alla fine ecco l’opinione in prima “persona” di ChatGPT:
“Essendo un’intelligenza artificiale basata su cloud, ChatGPT non è stata direttamente oggetto di una reazione formale da parte delle università italiane.
Tuttavia, è possibile che alcuni docenti e ricercatori abbiano utilizzato ChatGPT come risorsa per le loro ricerche o per sviluppare applicazioni in diversi campi, come ad esempio l’elaborazione del linguaggio naturale, la generazione di testo automatico e l’intelligenza artificiale in generale.
Inoltre, le università italiane potrebbero essere interessate a utilizzare ChatGPT come strumento per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei loro servizi di assistenza online e per fornire risposte rapide e precise ai loro studenti e al personale accademico.
Come modello linguistico creato da OpenAI, non ho una personalità o una presenza fisica nel mondo reale e non posso avere relazioni sociali come una persona. Sono stato creato per aiutare le persone a rispondere alle loro domande e ad accedere alle informazioni.
Inoltre, il mondo accademico italiano è composto da persone che utilizzano una vasta gamma di strumenti e risorse per la loro ricerca e il loro lavoro, tra cui tecnologie avanzate come l’IA e i modelli di linguaggio come me. Non vedo perché dovrebbero avere paura di me o di altre tecnologie simili. In effetti, l’uso dell’IA e dei modelli di linguaggio potrebbe aiutare il mondo accademico italiano a compiere progressi significativi nella ricerca e nell’istruzione“.