Il progetto

Coding girls, il talento femminile nelle materie STEAM

Staffette formative tra le scuole, hackathon tematici, summer school, allenamenti di coding, formazione alla pari, training to train: il programma Coding Girls per la formazione STEAM al femminile

Pubblicato il 11 Mag 2018

Valentina Gelsomini

Formatrice della Fondazione Mondo Digitale

coding-girls

Insegnare è la cosa più difficile che mi sia capitata. Non l’ho mai progettato e neanche immaginato. In realtà sono una “formatrice alla Monod”, così mi ha definito un’amica, perché ho cominciato per “caso e necessità”.

Con una laurea in Ingegneria aerospaziale avevo ben altri progetti, mi immaginavo immersa in impegnativi programmi di ricerca o viaggiatrice tra mondi inesplorati. Peraltro il titolo di studio lo avevo conquistato con tanta fatica e altrettanta soddisfazione: siamo partite in 20 ragazze tra 300 ragazzi e ci siamo laureate in cinque, nonostante l’ostruzionismo dei professori maschi, ancora convinti che certe materie (le STEAM, Science, Technology, Engineering, Arts and Mathematics) non siano “roba da donne”. Sì, queste cose succedono ancora, anche se la prima ingegnere aerospaziale italiana, Amalia Ercoli Finzi, ha ormai 81 anni. In termini militari, si direbbe che la scienziata Amalia ha solo vinto una battaglia, ma non la guerra. Con lei ho in comune solo questa cosa: pure io da bambina era attratta dagli aeroplani. Mio fratello lasciava in giro per casa le riviste dell’aeronautica militare e io, un po’ per volta, ho cominciato a sognare lo spazio.

Il programma Coding girls

A cambiare i miei progetti sono arrivati, inaspettati, caso e necessità. L’incontro con la Fondazione Mondo Digitale e la partenza del programma Coding Girls, promosso con l’Ambasciata Usa in Italia e ispirato all’organizzazione americana Girls Who Code. Per abbattere la distanza tra i generi in campo tecnologico e attrarre le giovani donne verso la carriera digitale, servivano formatrici, giovani donne con la passione per la tecnologia. Perché non mettere in squadra Valentina? Si sono chiesti. Mentre io mi chiedevo, perché proprio io? Tutte le sfide cominciano con una domanda.

Ho seguito il training delle due giovani coach americane, Ashley Gavin prima e Emily Thomforde dopo. Diversissime tra loro, per stile e carattere, ma ugualmente coinvolgenti e appassionanti. Poi è arrivato il momento di mettermi in gioco. Diventare formatrice pure io. Ho cominciato così e da allora non ho più smesso, cercando sempre, in ogni situazione, un mio stile, di insegnamento e di apprendimento. Perché le due cose viaggiano sempre insieme. Questo l’ho scoperto subito.

Fare codice e cucinare le lasagne

Mi posso ritrovare tra scolaresche vocianti, presunti nativi digitali, a spiegare come si progetta un videogioco, tra maestre del tutto disorientate tra le nuove tecnologie o alle prese con gruppi improbabili, composti da nonni, genitori e nipoti che costruiscono insieme robot. Cosa faccio? Cerco di semplificare al massimo le cose difficili e aiuto a risolvere problemi, di ogni tipo. Perché fare codice è uno strumento per sviluppare il pensiero computazionale. A volte per spiegare le variabili mi aiuto con cassetti e cassettiere, altre volte con le ricette di cucina: come si fa una lasagna? Sfido i ragazzi che studiano informatica a cucinarla con i concetti di modularizzazione e subroutine…

In ogni situazione spingo le persone a collaborare tra loro. Tra i giovani sono i più grandi ad aiutare i più piccoli. Imparano a trovare le parole giuste, a semplificare, a trovare soluzioni. E diventano protagonisti. La prima sfida è questa. Aiutare i più giovani a non essere fruitori passivi. È un cambio di paradigma importante.

Molto si gioca anche sull’empatia, sulla capacità di entrare in relazione. In questo senso il mio lavoro è facilitato, perché si svolge soprattutto “fuori scuola”, spesso negli ambienti digitali della Palestra dell’Innovazione. Animo laboratori, workshop, dimostrazioni, hackathon, contesti di apprendimento meno informali e forse, proprio questo, più efficaci. Questo significa anche che non esistono situazioni codificate, previste e prevedibili. Ogni volta mi chiedo “Funzionerà?”, perché i gruppi cambiano sempre e quindi anche le dinamiche.

Se alla fine di un laboratorio estivo, con un caldo insopportabile, i bambini ti si affollano intorno e ti senti tirare la maglietta e una vocina speranzosa ti chiede “Maestra quando torni?”, provi un brivido di soddisfazione che ti ripaga di ogni fatica. “Maestra non è che trovi altri bambini che ti vogliono più bene di noi?”. Fare codice è anche questo, appassionare bambine e bambini all’avventura dell’apprendimento. A volte la scuola non ci riesce. E noi aiutiamo.

Oggi il programma Coding Girls è arrivato alla quarta edizione ed è nata anche l’associazione Coding Girls, di cui sono socia fondatrice e coach senior. Cerchiamo di valorizzare i talenti femminili nel campo delle STEAM, facendo leva sull’effetto moltiplicatore della formazione alla pari e sullo sviluppo di una giovane e-leadership al femminile. Organizziamo staffette formative tra le scuole, hackathon tematici, summer school, allenamenti di coding, formazione alla pari, training to train. Proponiamo esperienze di apprendimento trasformative e modelli positivi a cui ispirarsi. E anche percorsi di autoimprenditorialità.

Abbiamo chiamato “Coding: reazione a catena” un percorso sperimentale di alternanza scuola-lavoro al femminile che ha coinvolto 27 ragazze delle diverse classi dell’IIS Emanuela Loi di Nettuno (Roma), coordinate dalla docente Elena Brachetti. Il percorso di 16 ore si è concluso con un’esercitazione pratica, per verificare subito conoscenze e competenze apprese. Le studentesse si sono messe alla prova con una classe di bambine e bambini della scuola primaria. L’esperienza ha riscosso un successo inaspettato. A poche ore dalla fine del laboratorio è arrivato il messaggio di ringraziamento delle maestre. A volte basta davvero poco per incoraggiare all’innovazione!

Non è tutto semplice, però. Specializzarsi nell’insegnamento “fuori scuola” può significare anche ritrovarsi in un istituto penale. Mi hanno coinvolto in un laboratorio di coding in un carcere minorile. Ero atterrita. Cosa possono spiegare alle ragazze che vivono un’esperienza così drammatica? Cosa posso insegnare? Ma la soluzione era nel titolo del progetto: “Reset&Recode”.

Perché con una laurea in Ingegneria aerospaziale insegno a fare codice a persone di tutte le età? Insegnare è come esplorare nuovi mondi e trasformare, ogni giorno, l’impossibile in possibile.

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