Il tema dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale come supporto alla creatività è ormai da diversi mesi approdato all’interno della discussione legata allo sviluppo dei piani di studio (o delle attività extracurricolari) degli Istituti che hanno come obiettivo quello di formare i futuri creativi della nostra società. Sto parlando di Accademie d’arte e conservatori (le istituzioni AFAM per intenderci) che si trovano attualmente in bilico tra la scelta di introdurre o meno l’IA tra gli strumenti tecnici ad uso degli studenti, e la decisione di regolamentarne l’applicazione.
Partendo da una riflessione generale sul tema, vorrei offrire un esempio laboratoriale concreto per sollevare alcune domande che, a mio avviso, richiedono una urgente risposta o quanto meno una profonda riflessione.
IA e creatività
Nella sua ultima pubblicazione, “Capitale algoritmico. Cinque dispositivi postmediali (più uno)”, uscito nel 2021, Ruggero Eugeni si sofferma sullo studio delle immagini contemporanee e sui dispositivi che le generano e ci permettono di interagire con esse. Dispositivi definiti postmediali in quanto il loro uso e la loro efficacia supera ormai da tempo l’ambito tradizionale dei media (cfr. per approfondimenti R.Eugeni, La condizione postmediale, Ed.La Scuola, 2015). Nel quinto capitolo del testo, si indaga la realtà delle intelligenze artificiali addestrate per produrre immagini: in particolare, le cosiddette reti avversarie generative che, partite per addestrare le macchine al riconoscimento di immagini di oggetti, sono divenuti meccanismi autonomi di produzione di immagini originali.
Nel capitolo, lo studio di alcuni esempi che vedono l’utilizzo dell’intelligenza artificiale applicata a settori creativi in modo diverso, permette all’autore di individuare due polarizzazioni: da un lato lo sforzo di personalizzare le intelligenze artificiali assegnando loro un caratteristica personale come quella della creatività, cosa che ha, come conseguenza, quella di interrogarsi sull’attribuzione di responsabilità (etica e giuridica) del risultato finale del procedimento tecnologico; dall’altro la strategia dell’a-personalità che vede “nella de-personalizzazione (o delocuzione) solo una penultima verità, e la ritiene una pars destruens che prelude a una ri-personalizzazione: a un esame delle forze in campo finalmente scevro di preconfezioni immaginarie e ideologiche che permetta di cogliere, al di là dei tentativi di personalizzare le intelligenze artificiali, cosa esse effettivamente fanno nell’ambiente comune, e chi è effettivamente responsabile della loro progettazione e del loro operato”. (R.Eugeni, 2021:212)
Il “Portrait of Edmond de Belamy”
Quale esempio del primo polo, Eugeni porta il noto caso del “Portrait of Edmond de Belamy” messo all’asta da Christie’s e venduto per 432.500 dollari nel 2018. Un dipinto creato dal collettivo artistico francese noto come Obvious che ha utilizzato l’intelligenza artificiale per creare l’opera d’arte. Le domande attorno all’opera sono: chi è l’artista? Sono stati violati diritti d’autore per la generazione dell’opera?
La mostra-istallazione “Uumwelt”
Quale esempio del secondo polo, Eugeni porta la mostra-istallazione “Uumwelt” di Pierre Huyghe. In collaborazione con il neuroscienziato Yukiyasu Kamitani dell’Università di Kyoto, Huyghe ha sottoposto alcune persone a una risonanza magnetica mentre venivano mostrate determinate immagini o gli veniva suggerito di pensare intensamente a qualcosa. L’attività cerebrale registrata è stata poi decodificata da un software di intelligenza artificiale, che ha trasformato le informazioni in immagini, utilizzando una banca di immagini preesistenti. Il risultato è un flusso di immagini che mutano continuamente e si ibridano in forme insolite e inaspettate. L’idea dell’artista non è quella di mostrare un’opera a qualcuno, ma l’opposto: mostrare qualcuno a qualcosa, ribaltando i piani dell’esperienza artistica. Le domande attorno all’opera sono: per chi è pensata l’opera? Quali sono gli interlocutori del processo di comunicazione?
Tra questi due poli, si collocano diverse possibilità di applicazione ed esplorazione, ognuna delle quali apre a diverse riflessioni. Chi si occupa di formazione non può non esplorarle per mantenere il proprio ruolo educativo e professionale.
Come salvare la creatività dalla minaccia IA: la proposta degli artisti
IA e didattica
Indipendentemente dalla posizione in cui ci collochiamo all’interno dei due poli, di sicuro, ad oggi, non è possibile non interrogarsi su un posizionamento e provare a sperimentarlo. L’IA sta cambiando e cambierà molte professioni della creatività che attualmente si insegnano nelle Accademie, quindi pare impossibile non integrarla nella didattica. Pena non mantenere la promessa fatta agli studenti di accompagnarli nel mondo professionale. Ma esiste un modo perché questa integrazione sia funzionale e nello stesso tempo educativa?
Proprio in questi giorni è stato proposto in anteprima un lavoro svolto all’interno di una Accademia romana (AANT, Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie) per mettere alla prova gli studenti con questo tipo di linguaggio: un videoclip in animazione prodotto usando esclusivamente l’IA (e visibile sul sito dell’Accademia).
Il videoclip rappresenta il lancio del nuovo singolo “Cold Moon in Deep Water” estratto dall’album “underdog vs underdog” del gruppo musicale Underdog. Nel corso del lavoro, gli studenti hanno sviluppato familiarità e competenza con Stable Diffusion e si sono divisi nei ruoli di prompt artist (la figura che descrive con parole opportunamente scelte tutte le immagini e le sequenze che l’AI deve disegnare con le funzioni txt2img e img2img di Stable Diffusion), camera movement artist, (figura che programma i movimenti della macchina da presa), e animatore dei titoli di testa e coda. Coerentemente con la canzone, il video parte da un soggetto legato al suicidio di una donna e agli istanti immediatamente successivi alla propria morte. In quella condizione di passaggio, ripercorre le tappe della sua vita fino al tragico evento, in un susseguirsi di immagini oniriche e surreali. Dopo essere stato pensato e immaginato in ogni dettaglio, il video è stato realizzato con tecnica stop-motion, in formato 4k a 25fps ed è costituito da un piano sequenza di circa 4 minuti.
Frutto di un lavoro di gruppo che ha permesso di ottenere dei risultati esteticamente impattanti in un tempo relativamente breve, il videoclip è stato generato attraverso input esclusivamente testuali, da parte di studenti (guidati da un docente esperto) che pure sono formati per creare illustrazioni e realizzare video animati sulla base delle loro elaborazioni visive (gli studenti coinvolti appartengono al corso di Graphic Design e Videomaking). Accolto con grande entusiasmo, soprattutto in vista della resa finale, l’esperimento ha aperto un inevitabile dibattito interno tuttora in corso.
Se, infatti, in questo caso, l’IA ha rappresentato un acceleratore di creatività e può essere collocato al primo dei due poli individuati da Eugeni, cosa deve fare l’Accademia per evitare che lo studente venga travolto da facile entusiasmo e si dedichi allo studio di un linguaggio trascurando la cura dell’immaginario? O deve forse l’Accademia (intesa in senso generale) spostarsi verso la ricerca di una “intelligenza impersonale”, affinando lo studio dell’enunciazione come proposto dagli sviluppi recenti della semiotica dell’enunciazione?
In entrambi i casi i piani di studio attualmente approvati dal MUR sembrano poco pertinenti a rispondere al presente. Come accelerare questo processo di cambiamento?
Bibliografia
R.Eugeni, La condizione postmediale, Ed.La Scuola, 2015
R.Eugeni, Capitale algoritmico. Cinque dispositivi postmediali (più uno), Scholè, 2021
L.Manovich, Estetica dell’intelligenza artificiale, 2020
A. Miller, The Artist in the Machine. The world af A.I. Powered Creativity, The MIT Press, 2019
C.Paolucci, Persona: Soggettività nel linguaggio e semiotica dell’enunciazione, Bompiani, 2020