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Con l’IA a scuola gli studenti imbrogliano di più? Ecco come stanno le cose



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L’inizio dell’anno scolastico 2024-25 in Italia riporta in primo piano il tema dell’intelligenza artificiale nello studio e il timore del cheating. Le ricerche di Turnitin e altri studi internazionali suggeriscono che l’IA non ha aumentato significativamente gli imbrogli, ma cresce il sospetto tra insegnanti e adulti

Pubblicato il 16 set 2024

Carmelina Maurizio

Università degli Studi di Torino



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L’inizio dell’anno scolastico 2024-25 in Italia previsto tra il 5 e il 16 settembre, secondo i differenti calendari regionali, mette sin dai primi giorni sul tavolo dei tanti problemi da affrontare, rimasti per lo più irrisolti dallo scorso anno, quello dell’ingresso prepotente e incontrovertibile dell’Intelligenza Artificiale (IA) nel mondo dell’istruzione.

Cheating: siamo di fronte a un’epidemia di imbrogli?

Sono molteplici gli aspetti che riguardano la presenza dell’IA nella scuola, dalla didattica che sta cambiando grazie al suo discusso contributo, dal metodo di studio, che soprattutto nelle scuole secondarie e negli atenei si sta radicalmente ancorando al supporto dell’IA, per andare al temutissimo cheating, la paura cioè che quanto prodotto e presentato da studentesse e studenti sia frutto esclusivo o parziale dell’IA che scrive, elabora, partorisce testi e saggi e risolve problemi al posto degli apprendenti.

Alla luce di una recente riflessione apparsa su una diffusa testata[1] nord americana proviamo a fare il punto in questo contributo sulla reale dimensione dei potenziali imbrogli e del plagio, legati direttamente all’uso dell’IA nello studio. In sostanza siamo di fronte ad un’epidemia di imbrogli oppure no?

IA nello studio: cosa dicono le ricerche

La scorsa primavera Turnitin, la nota azienda che produce strumenti di anti-cheating per rilevare l’uso dell’intelligenza artificiale negli elaborati degli studenti, ha reso noti i suoi risultati di un’indagine[2] basati su più di duecento milioni di campioni esaminati dal suo software. Quanto emerso rivela che il 3% degli elaborati era stato scritto più o meno interamente dall’IA e circa il 10% ne presentava tracce. Seppure i dati forniti possono risultare parzialmente inficiati dall’interesse dell’azienda che intende dimostrare il valore del proprio prodotto, viene fuori comunque che i numeri forniti non suggeriscono una qualche epidemia di imbrogli.

Altre ricerche, sempre svolte in ambito scolastico e accademico negli Stati Uniti, hanno dimostrato che non c’è stato un aumento significativo di plagio da parte degli studenti dopo la presentazione e la diffusione di massa di grandi modelli linguistici come ChatGPT. “La cosa più prudente da dire in questo momento è che i dati suggeriscono, forse con sorpresa di molti, che l’intelligenza artificiale non sta aumentando la frequenza degli imbrogli. La situazione potrebbe cambiare man mano che gli studenti acquisiscono familiarità con la tecnologia, e continueremo a studiarla per vedere se e come cambierà”, è quanto afferma Victor Lee della Stanford Graduate School of Education[3]. Gli studenti sembrano imbrogliare molto, in generale, infatti fino al 70% di loro ha riferito di aver imbrogliato almeno una volta nell’ultimo mese, ma i ritmi con i quali lo hanno fatto non sono cambiati rispetto al passato, prima dell’avvento dell’IA.

I timori e i sospetti degli insegnanti

In aumento invece è il numero di insegnanti e di adulti che sembrano convinti che tutti i ragazzi stiano imbrogliando. Uno studio del Center for Democracy and Technology[4] ha rilevato che la maggioranza degli insegnanti riferisce ancora che l’intelligenza artificiale generativa li ha resi più timorosi e propensi a diffidare del fatto che il lavoro dei loro studenti sia effettivamente il loro. Tali sospetti sono anche stati abbinati a veri e propri interrogativi sull’efficacia degli strumenti di rilevamento del contributo dell’IA, tra cui un risultato preoccupante che ha dimostrato che tali rilevatori avevano maggiori probabilità di segnalare esempi di scrittura di persone non di madrelingua inglese.

Una serie di linee guida sull’uso di Turnitin, che è stata recentemente pubblicata dal Centro per l’Eccellenza dell’Università del Kansas[5], mette in guardia gli insegnanti dal dare “giudizi affrettati” basati sul software dell’azienda e raccomanda invece agli educatori e agli insegnanti di fare qualche passo in più per raccogliere informazioni, tra cui il confronto con esempi precedenti del lavoro degli studenti, offrendo loro una seconda opportunità e parlandone.

Cosa viene considerato imbroglio e cosa non lo è

La riflessione e il dibattito sono accesi e solo all’inizio, quanto però emerge a livello internazionale e può probabilmente essere valido anche per la scuola italiana è che gli insegnanti sono troppo sospettosi nei confronti degli studenti, paradossalmente proprio perché quasi all’indomani del lancio di ChatGPT sono stati forniti loro strumenti per catturare gli imbroglioni.

La corsa a risolvere gli imbrogli dell’intelligenza artificiale e la miriade di strumenti didattici che sono stati sviluppati e diffusi nelle scuole sollevano tra le altre una questione molto importante: quando, come docenti si pensa al lavoro degli studenti, dove e come è possibile tracciare il confine tra ciò che è scaturito dalla loro mente in via di sviluppo e ciò che non lo è e quindi confina con l’imbroglio?

Come tracciare un confine tra ideazione e imbroglio

Stando a quanto afferma Jay Caspian Kang, giornalista del New Yorker, nelle materie STEM, i confini sembrano essere un po’ più chiari: per esempio, se uno studente si limita a guardare alle spalle del suo vicino e a scrivere la stessa risposta, la maggior parte delle persone concorda sul fatto che si tratta di un imbroglio e nello stesso tempo tutti pensano che risolvere un complicato problema matematico che prevede alcune moltiplicazioni, l’uso di una calcolatrice non significa che lo studente sta barando[6]. E allora, si chiede ancora il giornalista statunitense e vale la pena fare nostra la sua domanda, perché la pensiamo diversamente sull’automazione della ricerca e della parola scritta e perché è assolutamente accettato e non considerato un imbroglio quando nel campo delle belle arti, è frequente la presenza di eserciti di assistenti che mettono le mani sulle opere di notissimi artisti, suscitando sì polemiche, ma non abbastanza da porre fine a questa pratica?

La quantità di tempo necessaria per completare un compito

Si potrebbe affermare che secondo molti docenti la linea di demarcazione tra imbrogliare e non imbrogliare nelle scienze umane si basa sulla quantità di tempo necessaria per completare un compito. Se la studentessa o lo studente si recano in biblioteca e impiegano il loro tempo per fare una ricerca, annotando appunti, consultando volumi, il docente avrà un’opinione più alta di questo sforzo rispetto a quella che avrebbe se lei o lui trovasse lo stesso articolo con una ricerca su Google o se parafrasasse quanto letto su Wikipedia? E allora, secondo questa logica si può affermare che secondo i docenti il problema dell’imbroglio non è tanto il fatto che lo studente salti il processo di spiegazione di ciò che ha appreso, quanto il fatto che si privi del lungo lavoro di leggere il libro, di scrivere le frasi e di riflettere sulla domanda?

Conclusioni

Dietro questa e altre domande simili, per esempio se ci sono Internet e le tecnologie che senso hanno le lezioni, c’è il timore di molti docenti che l’imbroglio, il cheating, sia la punta di un iceberg metaforico, un movimento lento che sta cambiando lentamente le tendenze educative e spesso instaura una paura collettiva come quella che a livello globale si sta verificando in questi giorni partendo proprio da un non condiviso concetto di imbroglio.

Note e Sitografia

https://www.newyorker.com/news/fault-lines/does-ai-really-encourage-cheating-in-schools

https://www.turnitin.com


[1] https://www.newyorker.com/news/fault-lines/does-ai-really-encourage-cheating-in-schools

[2] https://www.turnitin.com/press/press-detail_17793

[3] Victor Lee è professore associato presso il GSE e si occupa di ricerca e progettazione di esperienze di apprendimento per l’educazione alle scienze dei dati e l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale per i bambini. È responsabile dell’iniziativa AI + Education presso lo Stanford Accelerator for Learning e direttore di CRAFT (Classroom-Ready Resources about AI for Teaching), un programma che fornisce risorse gratuite per l’insegnamento dell’IA agli studenti delle scuole superiori.

[4] https://cdt.org/insights/report-up-in-the-air-educators-juggling-the-potential-of-generative-ai-with-detection-discipline-and-distrust/

[5] https://cte.ku.edu/careful-use-ai-detectors

[6] https://www.newyorker.com/news/fault-lines/does-ai-really-encourage-cheating-in-schools

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