competenze trasversali

Contaminare i saperi di tecnologi e umanisti per trasformare imprese e PA: come fare

Chi oggi vuole affrontare correttamente il processo di trasformazione digitale deve farlo attraverso un mix di competenze: non deve mancare la visione d’insieme tipica delle scienza umane, ma nemmeno la capacità di applicarla “tecnicamente”. Si tratta di una sfida che coinvolge tutti: dalle scuole alle imprese e la PA

Pubblicato il 29 Mar 2023

Massimo Colucciello

fondatore e CEO PA Advice

Personal,Development.,New,Skill,,Upskill,And,Reskill,Concept.,Foundational,Skills

Si è molto discusso del “calo” degli iscritti al Liceo Classico. Ora, si tratta di un dato che ovviamente fa effetto, ma deve tenere in considerazione due elementi per una corretta lettura.

La prima è una questione numerica che rende la notizia della “morte del ginnasio” un tantino esagerata. Infatti, se quest’anno le iscrizioni al classico sono state il 5,8% del totale dei ragazzi, lo scorso anno eravamo al 6,2% e nel 2021 al 6,4%. Insomma, non si tratta di un crollo. Anche perché si segnala un contestuale aumento delle iscrizioni a Scienze Umane, passate dal 10,3% all’11,2%.

Tuttavia, c’è un tema più grande e più ampio che va ben oltre i numeri, in questo caso il calcolo dei decimali. Al giorno d’oggi le materie non possono essere più vissute come compartimenti stagni e, anzi, bisogna rompere il muro che separa i tecnologi dagli umanisti perché la netta divisione tra materie scientifiche e scienze umane non ha più motivo di esistere.

Sviluppare le soft skill a scuola, così ci si prepara al lavoro del futuro

Le competenze devono essere trasversali

Chi lavora nel mondo della consulenza, chi si occupa di innovazione, di miglioramento dei processi, di competenze e di sviluppo delle organizzazione – e chi lo fa con la Pubblica Amministrazione lo avverte ancora di più – sa bene che oggi i saperi tecnologici viaggiano intrecciati in modo indissolubile con quelli “umanistici”. Le competenze devono essere oggi trasversali e i professionisti più validi sono quelli che sanno guardare ad entrambi i poli della nostra conoscenza. Per fare un esempio forse eccessivamente semplice: nessun sistema informatico funzionerà mai bene se non viene inserito nel contesto di riferimento. Nessun software potrà aiutare le persone se non viene costruito con l’intelligenza dell’umanità, attraverso la fusione di saperi tecnici e saperi umanistici. Nessuna intelligenza artificiale avrà mai il giusto valore senza quella dell’umanità.

Rigirando la prospettiva possiamo dire che la tecnologia è il prodotto della creatività e fattore abilitante della nuova civilizzazione. E la scienza deve necessariamente essere legata a temi e a sensibilità dal carattere umanistico, per capire a fondo i reali problemi della società e provare a dare soluzioni anche di tipo tecnologico. Chi oggi studia ingegneria o architettura deve conoscere i principi della filosofia morale, della sociologia, dell’economia e del diritto. Pensate se un “tecnico” non conoscesse i problemi dell’ambiente, della transizione, ma anche dell’organizzazione del lavoro. Soprattutto, l’ingegnere è stato sempre associato erroneamente a uno stereotipo di noioso “nerd”. In realtà egli è un creativo per antonomasia.

L’importanza delle soft skills

D’altro canto, si può ribaltare il discorso di 180 gradi per avere lo stesso risultato. Come dimostrato dal progetto STEM*Lab finalizzato ad avvicinare i ragazzi alle materie scientifiche (STEM è l’acronimo inglese per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), è evidente che oggi l’approccio deve essere diverso che in passato. Si deve puntare sulle soft skills, sul modello interdisciplinare, sullo sviluppo personale. Infatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza propone una strategia complessiva di innovazione del sistema educativo italiano nell’era del digitale basata sull’introduzione di metodologie innovative per la costruzione di nuove competenze degli studenti attraverso modelli didattici non formali, strutturazione di spazi e ambienti educativi diversi dalla classe tradizionale e un investimento nella formazione dei docenti. Soprattutto, si lavora al superamento di vulnerabilità personali, culturali, sociali e comportamentali dei minori e delle loro famiglie attraverso la creazione di un contesto scolastico aperto che utilizzi metodologie e risorse innovative per l’educazione alle STEM.

Educare alle STEM e alla cultura digitale già dalla primissima infanzia

Anche le recenti politiche educative dell’Unione europea e del Ministero dell’Istruzione MIUR mettono al centro della loro azione l’educazione alle STEM e alla cultura digitale già dalla primissima infanzia come strumenti fondamentali per costruire le competenze dei cittadini del XXI secolo e implementare il benessere sociale, valorizzando gli individui e il loro potenziale e favorendo l’inclusione. Questo progetto di diffusione delle materie scientifiche nelle scuole è un primo, grande passo, di un progetto più ampio: contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica dei minori (4-14 anni) mediante l’utilizzo di metodologie e risorse innovative per l’educazione alle scienze, alla tecnologia, all’ingegneria alla matematica.

Una base su cui costruire il bagaglio del sapere di oggi. Il punto è che le specializzazioni eccessive non sono più opportune e i programmi delle scuole superiori, molto frastagliati, dovrebbero garantire a tutti una serie di competenze di base. Così che chi predilige un indirizzo umanistico potrà orientarsi nelle scienze e nella tecnologia, e viceversa. L’importanza delle tecnologie nel determinare cambiamenti sociali, nel bene e nel male, è oggi fortissima e chiunque intraprenda una carriera socio-umanistica non può restare privo di una istruzione in questi ambiti. Anche perché, se consideriamo l’odierno mercato del lavoro, si stanno abbattendo gli steccati disciplinari e si promuove sempre di più l’interazione di portatori di competenze diverse in gruppi di lavoro interdisciplinari. È così che si fa innovazione più efficace e spedita, che si risolvono i problemi complessi di oggi.

Conclusioni

Se vogliamo, lo stesso discorso si può trasferire quando, invece che di scuola e saperi di base, si passa al mondo delle imprese e dei saperi specifici. Oggi si parla sempre più trasformazione digitale e oggi questo non può voler dire più ideare e sviluppare dei software. Siamo invece alle sfide di un nuovo “umanesimo digitale”. Perché si passerà in ogni aspetto della vita, compreso quello professionale, alla contaminazione tra saperi tecnologici e saperi umanisti.

Chi oggi vuole affrontare correttamente il processo di trasformazione digitale deve farlo attraverso un mix di competenze, perché non deve mancare la visione d’insieme tipica delle scienza umane, ma nemmeno la capacità di applicarla “tecnicamente”. Si tratta di una nuova sfida che coinvolge tutti, dalla Pubblica Amministrazione alle società IT a quelle della consulenza. Non è un caso che dove prima si assumevano principalmente programmatori (per esempio nel settore dell’Information Technology) ora si va alla ricerca di personale che abbia anche competenze umaniste.

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