educazione e digitale

Insegnare la creatività nel mondo digitale: alla ricerca di una metodologia efficace

Come improntare una metodologia per educare al pensiero creativo nel contesto delle innovazioni frenetiche della comunicazione digitale e di fronte al senso di impotenza che l’universo online tende a generare? Insegnare che la creatività ha molti volti è forse l’unico modo

Pubblicato il 28 Ott 2021

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT

scola education digitale educazione

Da qualche anno, uno dei problemi che si presenta più spesso nei collegi docenti delle Accademie d’arte e di design, la cui vocazione è quella di formare studenti che possano, con la loro creatività al servizio della professione, contribuire alla generazione di mondi nuovi, è legato alla ricerca di una metodologia didattica efficace a stimolarla nel modo più corretto. E che sia al passo con le innovazioni frenetiche della comunicazione digitale.

Tecnologie e creatività: una metodologia per ogni generazione

La necessità sorge in funzione, principalmente, di due ordini di problemi, diversi ma connessi entrambi ad una stessa matrice generazionale. Il primo ha a che fare con la preparazione degli studenti in termini di cultura visiva e la difficoltà che essi hanno a comprendere i limiti delle loro idee, che considerano originali ma spesso non lo sono, se confrontante con quelle già espresse all’interno di movimenti artistici e culturali che appartengono ad un passato che, però, fanno difficoltà ad inquadrare. Il secondo è legato ad una distanza nell’approccio alle tecnologie della loro generazione e quella dei loro docenti. Una distanza che si avverte in modo significativo anche se ad insegnare sono docenti giovani. Perché se gli studenti di cui parliamo sono ormai tutti appartenenti alla Generazione Z (fine anni ’90- 2010), i docenti appartengono in pochi casi alla generazione dei Millenials (1981-1996, secondo il Pew Research Center), più spesso invece alla Generation X (1961-1980), che le nuove tecnologie ha imparato a usarle, quando va bene, in età post-adolescenziale.

La generazione Z

La generazione Z è la prima ad essere stata esposta a una quantità di tecnologia senza precedenti nella sua educazione, tanto da essere considerata la prima generazione ‘mobile-first’ della storia. In base ad uno studio del GlobalWebIndex del 2020 il 97% degli appartenenti al questa generazione possiede uno smartphone il quale è anche il mezzo prediletto per collegarsi a Internet. Le persone della Generazione Z sono naturalmente a loro agio con la tecnologia, e l’interazione sui siti di social media è una parte significativa dei loro comportamenti di socializzazione (Gyan PrakashYadav e Jyotsna Rai, 2017). Gli appartenenti a questa generazione sono i più grandi produttori e consumatori di contenuti online, sono esperti di creatività e mash-up, ed hanno una forte predilezione per la comunicazione online tanto da preferire spesso la connessione relazionale on line, a quella in presenza.

La generazione X

La Generazione X, dal canto proprio, è nata in un’epoca priva di connessione, ha imparato a farsi travolgere dalla rivoluzione tecnologica, ma fatica a ragionare come i suoi maggiori fruitori. Essa è la proprietaria e decide le sorti dei Media che la Generazione Z di fatto popola e fa proliferare. E la popola a tal punto che si tratta di una generazione che vive orientata al presente e all’imminente futuro, ignorando molto del passato. E qui torniamo al primo ordine di problemi citati.

Per questi motivi, la ricerca di una metodologia di insegnamento efficace del pensiero creativo oscilla sempre più, negli ultimi anni, all’interno della ricerca di una relazione e di un equilibrio tra il concetto di continuità del sapere offerto e quello di continuazione di un sistema in cambiamento. Tra la necessità di una continuazione del sé da parte degli studenti che vivono il digitale come loro ecosistema naturale e ovvio l’accesso a fonti multiculturali, e l’esigenza di stimolare un pensiero critico, figlio di una continuità del sapere, che stimoli una creatività che possa renderli autori originali in un mondo ibrido e spesso valutato da immigrati digitali.

Il concetto di originalità: una ridefinizione

L’argomento è complesso e coinvolge contemporaneamente diverse discipline. Uno spunto interessante di riflessione, tuttavia, ci viene proprio dall’arte e dalla letteratura, di cui le Accademie si nutrono. Mi riferisco ad un testo di una decina di anni fa, tradotto in italiano nel 2019, dell’artista e poeta Kenneth Goldsmith, editor di ubu.com, il più ampio archivio digitale di arte contemporanea on line, autore anche di “Perdete tempo su internet” (2017), dal titolo: “CTRL+C, CTRL+V (scrittura non creativa)”. Il testo, che si concentra sull’educazione ad una scrittura originale in epoca di copia e incolla, è un vero e proprio manifesto contro la creatività letteraria, ma che pensiamo possa riferirsi anche a mondi artistici e culturali limitrofi.

Goldsmith parte da una ridefinizione del concetto stesso di originalità (quella che tanto insistentemente chiediamo a tutti i nostri studenti per i loro progetti creativi) prendendo a prestito la definizione della critica Majorie Perloff, che conia il termine di “genio non originale”, una genialità che si può manifestare anche senza necessariamente fare qualcosa di nuovo. Se, afferma Goldsmith, la rete genera un incremento incessante di codici, linguaggi e testi, una buona pratica, anche in termini di ecologia digitale, potrebbe essere quella di educare gli studenti ad un equilibro ambientale del web. Sostituire, cioè, la redazione di opere inedite, con la gestione di ciò che c’è già che è destinato ad aumentare incessantemente. Scrive l’artista: ”Di fronte a una quantità senza precedenti di testi a nostra disposizione, il problema non è doverne scrivere altri; dobbiamo invece imparare a gestire l’enorme quantità in circolazione. Il modo in cui ci facciamo strada in questa foresta di informazioni – il modo in cui le gestiamo, analizziamo, organizziamo e distribuiamo – distingue la nostra scrittura da quella degli altri” (Goldsmith, 2019:7). Lo scrittore all’epoca del digitale diventa, secondo Goldsmith, un “programmatore che immagina, costruisce, esegue e si prende cura di una macchina da scrittura”.

Il riconoscimento di tali pratiche come creative alla stregua dell’elaborazione di un’opera originale, l’attribuzione di dignità alle pratiche del copiaeincolla e del Patchwritng compulsivamente utilizzate dagli studenti altrimenti senza nessun criterio, cambierebbero inevitabilmente l’approccio al mondo dell’arte.

Quale metodologia didattica per insegnare la creatività

E qui entra il discorso legato alla metodologia didattica. Tale riconoscimento non può essere indiscriminato e necessita di una educazione specifica, che va testata e implementata in modo codificato.

A tal proposito Goldsmith tiene, dal 2004 circa, presso l’Università della Pennsylvania, dei corsi di scrittura non creativa, mettendo in atto “pratiche di file sharing, campionamenti, riproduzione digitale”. Uno degli esercizi proposti è quello di “Riscrivere cinque pagine”. Esso consiste nel far riscrivere cinque pagine a scelta dello studente e presentarle alla classe soffermandosi sull’analisi tematica e formale e sui dettagli paratestuali delle stesse. I testi, che non devono essere inventati nel contenuto, vengono trattati come oggetti che assumono un significato nel momento in cui sono decontestualizzati e ricontestualizzati (l’influenza delle avanguardie artistiche sul pensiero di Godsmith è evidente). Gli studenti, seguendo e gestendo questo movimento degli oggetti testuali imparano a fare proprie le dinamiche di scrittura operate da altri, finendo con assimilarle. Smettendo semplicemente di sfruttarle.

L’obiettivo non è solo quello di creare nuovi artisti, nuovi scrittori, ma di insegnare agli studenti di potenziare le proprie doti creative attraverso un uso attivo e non passivo della rete, attraverso una partecipatory turn, che il digitale offre in modo naturale.

Conclusioni

Personalmente ritengo che il discorso non cambia se sostituiamo le immagini alla scrittura, o la progettazione di oggetti. Che questo discorso quindi sia da incoraggiare. Il riconoscimento dello statuto di opera creativa per quelle opere generate da una metodologia che invochi l’uso attivo della rete e non formi semplicemente a discostarsi dall’esistente, potrebbe migliorare anche le qualità comunicative degli studenti e la loro vita sociale. Il quantitativo smisurato di contenuti audio, video, audiovideo, fotografico, ecc. presenti on line, uniti alla difficoltà di muoversi liberamente determinata dalla pandemia rischia di generare un senso di frustrazione negli studenti senza precedenti. Noi docenti lo sperimentiamo ogni giorno. Insegnare che la creatività ha molti volti, invece, forse è l’unico modo per riscattarli da questo senso di impotenza che l’universo on line tende a generare. Esercitarli a non essere creativi, per renderli sicuri della loro creatività.

Bibliografia

Gyan PrakashYadav and Jyotsna Rai “The Generation Z and their Social Media Usage: A Review and a Research Outline”, Global Journal of Enterprise Information System. Volume-9, Issue-2, April-June, 2017. (http://informaticsjournals.com/index.php/gjeis)

Kenneth Goldsmith, “Wasting time on the Internet”, HarperCollins Publisher Inc, 2016, trad. it. “Perdere tempo su Internet”, Torino, Einaudi, 2017

Kenneth Goldsmith, “Uncreative writing”, Columbia University Press, 2011, trad. it., “CTRL+C, CTRL+V (scrittura non creativa)”, Nero ed, Roma, 2017

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