didattica a distanza

Gli studenti in pandemia hanno appreso poco e niente: i nuovi studi

Secondo tre autorevoli studi, la DAD e il modello ibrido a scuola, adottati a causa della pandemia, hanno danneggiato sia il livello d’istruzione degli studenti sia la salute mentale di bambini e ragazzi. Ma non solo: più è profondo il solco delle disuguaglianze anche a scuola, più cala il PIL. Ecco come colmare il gap

Pubblicato il 04 Ago 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

proctoring - educazione civica digitale - Borsa di studio Inps

Adottate massivamente a seguito della pandemia da Covid-19 e dei conseguenti lockdown, le lezioni da remoto hanno provocato un’emergenza educativa, ampliando i divari nell’istruzione per milioni di bambini, che già soffrono le disuguaglianze sulla loro pelle.

È questa la tesi alla base di tre studi – rispettivamente di McKinsey, Banca Mondiale-Unesco e Università di Harvard – secondo cui la scuola per milioni di bambini non è più uno strumento di emancipazione. Inoltre, spiegano, i ritardi nell’apprendimento avranno un impatto sull’economia: essi si tradurranno in lavoro povero e povertà salariale e dunque in un calo della produttività globale nei Paesi dove dilagano queste problematiche.

Dispari opportunità: i fattori di esclusione dall’apprendimento durante la pandemia

Ecco allora qual è la situazione fotografata dai report e quali soluzioni propongono i ricercatori e gli esperti del settore, mentre parte il conto alla rovescia per il rientro fra i banchi. La scuola deve preparare meglio i ragazzi che oggi stanno pagando il prezzo più alto sia in termini di occasioni perse nella didattica che sotto il profilo della loro salute mentale. Ridare priorità alla scuola, mettendo al centro gli studenti, è quindi cruciale.

Lo studio della Banca Mondiale e Unesco sulla povertà educativa

Partiamo dallo studio internazionale, a cura della Banca Mondiale e Unesco, sulla catastrofe educativa, secondo il quale ad assestare al sistema dell’istruzione a livello globale il peggior shock della storia è stata la pandemia, con i suoi lockdown e l’istituzione di zone rosse.

Dalla ricerca risulta che il 70% dei bambini di 10 anni che vivono in Paesi a basso e medio reddito, non è in grado di leggere e comprendere un semplice testo scritto. E ciò misura la povertà dell’apprendimento dei bambini su cui la pandemia ha avuto un effetto più devastante.

La crisi educativa potrebbe dunque creare una generazione di studenti il cui livello d’istruzione, colpito dal Covid-19, potrebbe provocare, a sua volta, una massiccia decrescita del PIL globale.

La catastrofe nell’education

“Non possiamo lasciare che l’apprendimento dei bambini diventi una nuova vittima del Covid-19”, ha lanciato l’allarme Robert Jenkins, a capo del Global Director of Education dell’Unesco.

Per fotografare la catastrofe educativa basta leggere l’urlo di dolore e la richiesta di emancipazione della quindicenne ugandese Kauthara Shadiah Nabasitu che al New York Times ha dichiarato di voler continuare a studiare e non di voler aiutare la famiglia nei lavori casalinghi. L’Uganda, lo ricordiamo, si è distinta per una delle più lunghe chiusure delle scuole.

Credits: Unesco e Banca Mondiale
La povertà dell’apprendimento affligge inoltre America Latina e Caraibi, aree nelle quali si stima che l’80% dei bambini non sia in grado di capire un semplice testo scritto dalla fine della scuola primaria. La percentuale è in aumento rispetto al 50% pre-pandemia. Analoghi livelli si registrano nell’Asia Meridionale, dove il 78% dei bambini fallisce i test (rispetto al 60% pre-pandemia).

Infine, nell’Africa sub-sahariana, la learning poverty riguarda l’89% dei bambini.

Il divario di genere

“L’impatto della pandemia Covid-19 sull’Istruzione è stato diverso nelle varie zone del mondo”, commenta Susanna Iacona Salafia, responsabile del settore Education della commissione nazionale italiana Unesco-Cniu, di cui è funzionaria di promozione Culturale al Maeci.

“Non vi è soltanto l’allarmante dato dello studio sul trend di learning poverty”, sottolinea Iacona Salafia, “la pandemia ha accentuato, ad esempio, anche il divario di genere nelle possibilità di apprendimento. Nell’ultimo report dell’Unesco, Global Education Monitoring, lanciato lo scorso maggio, si evidenzia tra gli altri dati, ad esempio, come in Etiopia, durante la chiusura delle scuole tra il ’20 e il ’21, il 70% delle ragazze ancora in età scolare abbia dovuto trascorrere più tempo nelle faccende domestiche rispetto al 35% dei loro coetanei”.

“Invece in Perù il 42% delle studentesse ha avuto un maggior carico per la cura dei bambini rispetto al 26% dei
coetanei di sesso maschile. Le donne scienziate nel mondo, invece, hanno diminuito del 5% il tempo da loro dedicato alla ricerca rispetto ai colleghi, secondo uno studio dell’AAS”, evidenzia Susanna Iacona Salafia.

La proposta dell’Unesco guarda all’Agenda 2030

“L’Unesco ha da tempo lanciato l’allarme sui problemi causati all’Educazione dalla pandemia”, spiega Susanna Iacona Salafia, “accentuando le criticità esistenti e i divari già in periodo pre-pandemico. Un’educazione di qualità, equa ed inclusiva è il quarto obiettivo dell’Agenda 2030. L’Unesco, a tal fine, ha avviato un processo per benchmark, diverso per ogni Paese. Anche la piattaforma EDS (Education for Sustainable Development), che riunirà gli operatori dell’istruzione attorno agli obiettivi di Agenda 2030, nasce con questo obiettivo”.

“Al pre-summit ‘Transforming Education’, svoltosi lo scorso giugno a Parigi”, continua l’esperta di Education, “la Vicesegretaria Generale delle Nazioni Unite, Amina J. Mohammad, ha evidenziato quindi che non ci si può più limitare
a recuperare i danni causati dalla pandemia ma abbiamo l’obbligo di ricostruire l’istruzione in un modo diverso. Una riforma radicale, dunque, per superare anche i limiti pre-pandemici”.

“È necessario quindi un nuovo contratto sociale per l’Educazione, a livello globale, investendo tutti i governi. Ed è ciò che l’Unesco intende proporre e lanciare, dopo aver avviato consultazioni nazionali in ogni paese, in occasione del summit internazionale ‘Trasforming Education‘, previsto il 19 settembre a New York nell’ambito della 77° Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In quella sede si discuterà di nuovi modelli educativi e si chiederanno precisi impegni ai Paesi membri, per non lasciare più nessuno indietro“, conclude Iacona Salafia.

Quali soluzioni

Stefania Giannini, ex Ministra dell’Istruzione nel governo Renzi e Assistant-Director General for Education dell’Unesco, ha dichiarato al WEForum che bisogna adottare “un approccio olistico e occorre investire nelle Trasformative policy“.

La Banca Mondiale ha messo a punto il RAPID framework per offrire consigli ai sistemi scolastici al fine di:

  • raggiungere ogni bambino e riportarlo a scuola;
  • valutare con regolarità i livelli di apprendimento;
  • dare priorità alle nozioni fondamentali nell’apprendimento;
  • rendere l’istruzione più efficiente, compresi i corsi di recupero;
  • sviluppare benessere e salute psico-sociale.

Secondo il WEF, abbiamo un’unica finestra di opportunità per recuperare. Da uno studio del World Economic Forum sulla scala dei vantaggi potenziali emerge che un anno aggiuntivo di istruzione genera un aumento del 15% dei guadagni di una vita.

Studio McKinsey: la DAD e la crisi educativa

Un report di McKinsey denuncia che, a causa della pandemia e della DAD, sono a rischio sia il progresso accademico degli studenti sia la salute mentale dei bambini e ragazzi. Servono dunque urgentemente nuovi sistemi scolastici per recuperare i ritardi e riportare i giovani in carreggiata, aggiustando l’ascensore sociale della scuola che si era inceppato, già pre-Covid, ma che in pandemia si è bloccato definitivamente. Per fortuna la scuola può agire su molteplici orizzonti per fronteggiare le criticità e trovare soluzioni, ridando ai giovani benessere e apprendimento, due cruciali elementi con cui affrontare il futuro con fiducia.

Innanzitutto, dallo studio di McKinsey emerge che la durata della chiusura degli istituti scolastici non è stata uniforme nel mondo, ma variava a seconda dei continenti:

  • in America Latina e Asia meridionale si sono registrate le chiusure più lunghe, con 75 giorni di DAD;
  • seguono i Paesi dell’Africa sub-saharina con 34 settimane;
  • Europa ed Asia centrale con 30 settimane in media.

Non è stata neppure uniforme la qualità della DAD e della formazione blended (o hybrid learning). Basti pensare che in Tanzania appena il 6% dei bambini, durante la chiusura delle scuole, ha assistito alle lezioni trasmesse via radio, solo il 5% a quelle televisive e meno dell’1% alle lezioni online ovvero la DAD.

Inoltre, la Banca Mondiale ha osservato che le disuguaglianze si sono acuite: gli studenti dei Paesi ad alto reddito guadagnavano in media 50 punti all’anno di Harmonized learning outcomes (HLO) pre-pandemia contro i 20 punti dei loro omologhi dei Paesi a basso reddito. Dunque, bambini, già con un livello d’istruzione basso e in arretrato di apprendimento, hanno subito un’ulteriore involuzione. Sono finiti in regressione educativa.

Report McKinsey

Evidenze: il ritardo dell’apprendimento

In media gli studenti hanno accumulato otto mesi di ritardo rispetto ai progressi che avrebbero compiuto senza lo scoppio della pandemia. Nei Paesi con sistemi educativi progrediti, il ritardo si limita a un solo mese, con una forbice fino a cinque mesi: in media, in Nord America ed Europa, il ritardo si aggira sui quattro mesi.

La forbice del ritardo dell’apprendimento oscilla fra 3-8 mesi in media nei Paesi a basso reddito, ma nell’Africa sub-sahariana si attesta sei mesi. Nei Paesi a medio reddito, il ritardo sale a 9-15 mesi: gli studenti sono indietro di 12 mesi tondi in America Latina e Asia del Sud.

Inoltre, la pandemia ha accresciuto le preesistenti disuguaglianze: è aumentato il gap fra le scuole a maggioranza di studenti neri e bianchi negli USA ed è peggiorato lo storico divario fra scuole delle aree urbane e rurali in Etiopia.

Criticità: la salute mentale

La pandemia ha avuto un significativo impatto sociale ed emotivo sugli studenti a livello globale. Sono in aumento le problematiche di salute mentale, tanto che il governo italiano ha istituito un bonus psicologo. Tuttavia, il report denuncia un preoccupante aumento anche dei casi di violenza sui bambini, di obesità, di gravidanze adolescenziali e aumentano i livelli di assenteismo cronico e disagi legati all’emarginazione.

L’impatto economico

Purtroppo, chi non studia, fa meno carriera e guadagna di meno. Secondo McKinsey, il ritardo educativo si tradurrà in guadagni futuri potenzialmente inferiori e in un calo della produttività globale. Entro il 2040, l’impatto economico di un basso livello d’istruzione sarà impietoso: potrebbe generare perdite pari a 1.6 trilioni di dollari pari allo 0.9% del PIL globale.

Le soluzioni

Secondo il report di McKinsey, i sistemi scolastici possono rispondere attraverso molteplici dimensioni. Infatti, hanno più orizzonti su cui agire, personalizzando le strategie sulla base di:

  • performance educative preesistenti;
  • profondità ed ampiezza dei ritardi didattici;
  • capacità e risorse dei sistemi (resilienza, iscrizioni, recupero, re-immaginare la scuola sotto il profilo della qualità educativa).

Sul fronte delle iscrizioni, è l’ora di incoraggiare studenti, famiglie e docenti a tornare a impegnarsi nuovamente nell’insegnamento, migliorando l’engagement, in un ambiente didattico efficace.

Sul versante del recupero, occorre supportare gli studenti che hanno subito maggior impatto della pandemia sul lato accademico e sociale-emotivo: bisogna ripartire dai bisogni degli studenti.

Infine, è il momento di re-immaginare la scuola: priorità deve essere la qualità educativa per ogni bambino, raddoppiando i fondamentali dell’eccellenza educativa e dell’innovativa per adattarsi.

Lo studio di Harvard sulla DAD e l’impatto sulla crisi educativa

L’economista Doug Staiger, professore di Scienze Sociali presso la John Sloan Dickey Third Century, è co-autore di un report, intitolato “The Consequences of Remote and Hybrid Instruction During the Pandemic”, pubblicato dal Center for Education Policy Research di Harvard.

Dallo studio risulta il ritardo nei progressi accademici degli studenti che hanno studiato in DAD o formazione blended (hybrid learning) durante la pandemia da COVID-19. Infatti, la crisi educativa non riguarda solo i bambini, ma anche gli studenti universitari che hanno perso 20 settimane e 3 punti su 8 nei voti accademici.

La buona notizia è che l’American Recovery Act (ARA) ha distribuito 190 miliardi di dollari, soprattutto nei distretti ad alto tassi di povertà. Tuttavia, il problema, secondo Doug Staiger, riguarda come verrà ripartita la spesa per recuperare ciò che la pandemia ha spazzato via. Infatti, l’ARA richiede che i distretti investano in istruzione solo un quinto, ma il paper invoca che sia spesa la totalità della cifra, soprattutto nei distretti scolastici più poveri. La crisi educativa è tale da richiedere un piano d’emergenza.

La risposta alla crisi educativa post-DAD potrebbe però essere più costosa di quanto stanziato:

  • estendere l’anno scolastico o la durata delle lezioni quotidiane per anni;
  • intraprendere attività di tutoring a ritmo intensivo per tutti gli studenti in piccoli gruppi, accelerando l’istruzione con queste modalità o combinando queste opzioni.

Secondo i ricercatori, i distretti scolastici devono correre ai ripari con piani ad hoc a seconda delle lacune mostrate dai loro studenti. Secondo lo studio, senza un serio investimento nell’istruzione, l’impatto sarà grave e colpirà la frequenza dei college, il successo nelle carriere e dunque la qualità della vita a lungo termine.

DAD e crisi educativa: come intervenire

“Anche gli studi europei affermano che il quarto quartile di reddito è quello che possiede meno dispositivi e meno connettività, anche in Italia”, commenta Paolo Maria Ferri, docente ordinario di Pedagogia al Dipartimento di Scienze umane dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca: “L’impatto si è registrato proprio su questa fascia di popolazione. Il primo livello d’intervento deve avvenire sull’agevolazione delle politiche dell’accesso. Quindi, servono bonus connettività o per acquisto computer sui redditi medio-bassi, per favorire l’accesso alla connettività”.

“Il secondo aspetto”, continua Paolo Maria Ferri, “è strutturale e legato alla banda. Nelle scuole italiane e nelle aree svantaggiate è molto bassa. Dovrebbe occuparsene il PNRR, ma ora anche sul piano aleggia l’incertezza del momento politico. Infine, ci sono le problematiche legate alla pandemia. I lockdown hanno fatto venir meno la cosiddetta educazione fra pari o peer education, che rappresenta quell’insieme di prassi e comunicazione fra bambini e famiglie, una metodologia didattica fondata sulla trasmissione di conoscenze ed esperienze fra membri di un gruppo di pari”.

“Dunque, la pandemia ci insegna come gli studenti sono mancati, anche dopo la campagna vaccinale: in parte torneranno, ma non tutti. Va ripensato il modello formativo, per attirare più studenti, offrendo maggiore flessibilità, didattica blended eccetera. Nella scuola primaria e secondaria, occorre maggiore formazione degli insegnanti per usare la tecnologia a scuola e centrare gli obiettivi dell’istruzione”.

Conclusioni

La scuola è il più efficace ascensore sociale nel mondo. Ma si è inceppato da tempo, e in pandemia il solco si è ampliato, invece di ridursi. Inoltre, l’ascensore sociale funziona se la scuola è in presenza e strappa i bambini dalla loro condizione sociale, dalle loro “camerette” (spesso stanze affollate e non camere singole), offrendo loro gli strumenti educativi per crescere, maturare, raggiungere quel livello di istruzione necessario per fare un balzo nel futuro.

Un bambino che non aveva la connessione o il computer durante la DAD e spesso neanche una propria cameretta in cui isolarsi per studiare con la sua classe connessa, ha percepito un tradimento del patto educativo fra scuola e famiglie. Spesso ha perso il filo della sua crescita individuale e, senza un’istruzione adeguata, il senso del futuro.

Non avendo in casa una ricca biblioteca, cui attingere, o un sostegno familiare per fare i compiti, i bambini, che già soffrivano le disuguaglianze prepademia, le hanno viste acuire durante i lockdown. Il rischio che oggi corrono è quello che il WEF definisce “povertà educativa”, un nuovo divario che va a sommarsi agli altri. Povertà si somma a povertà. Ma a pagarne il conto, salatissimo, sarà il mondo intero, perché senza un’istruzione cala la produttività, dunque, il prodotto interno lordo globale e la qualità della vita di tutti.

I tre studi che abbiamo messo sotto la lente affrontano le criticità in maniera scientifica, ma soprattutto offrono soluzioni da adottare, sapendo che abbiamo una sola opportunità per fare bene, e il momento giusto di agire è ora. Nessuno può permettersi di perdere una generazione e di aumentare ancora le disuguaglianze.

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