Il Covid ha interrotto i sistemi educativi del mondo e la nostra socialità di contatto, ma non ha inibito il desiderio di mantenere la relazione educativa tra docenti e studenti, anche se mediata da uno schermo. La misurazione e l’analisi di quel che è avvenuto (e sta ancora avvenendo) in termini di cambiamento della modalità di comunicazione e della proposta educativa è ancora in corso.
L’impressione, anche guardando a quello che le scuole hanno prodotto in termini di regolamenti, opuscoli, circolari durante il covid, è che serve più coraggio e magari maggiore coinvolgimento degli studenti, senza disperdere le energie in precetti e divieti.
Le conseguenze di una nuova chiusura
Tra i dati disponibili, quelli di un monitoraggio dall’Ocse, che illustra quanto tempo in presenza è stato sottratto in media alla scuola tra febbraio e giugno 2020, quali risorse sono state utilizzate dalle scuole e come sono state proposte. Il direttore Regionale per l’Europa dell’Oms, Hans Kluge, e il ministro della Salute, Roberto Speranza, alla vigilia della riapertura delle scuole hanno dichiarato che la chiusura delle scuole in piena emergenza, è stata vitale, ma ora quello stesso stop potrebbe provocare effetti gravi in termini di istruzione e di salute, compresa quella mentale, di sviluppo sociale, e potrebbe aumentare anche il rischio di trovarsi in un ambiente familiare violento. I più sofferenti sarebbero quegli studenti, che vivono in situazioni di vulnerabilità, di disagio e di povertà.
Lo stesso Presidente Mattarella ha affermato che sia realistico preparare e pianificare la disponibilità dell’apprendimento online per integrare l’apprendimento nel prossimo anno scolastico.
Molti credono (e così è scritto anche nelle Linee Guida emanate ad agosto, quando la Dad è stata ribattezzata DDI, cioè Didattica digitale integrata) che le lezioni online saranno necessarie solo durante le chiusure temporanee o durante la quarantena episodica e andrebbero ad integrare l’apprendimento scolastico in quelle circostanze, nelle quali gli studenti sono costretti ad alternare la presenza in aula con la sosta domestica, per rispettare le esigenze di allontanamento fisico.
A settembre, molte scuole non avevano ancora predisposto il Piano scolastico per la Didattica digitale integrata da allegare o integrare al Piano triennale per l’offerta formativa. Cercando su Google “Regolamento DDI” o “Piano DDI” su Google in questi giorni compaiono un migliaio di risultati significativi, mentre i primi giorni di settembre ne uscivano fuori meno di un centinaio. Le scuole hanno provveduto integrando i Ptof o modificando i regolamenti in parte praticati durante la Didattica a distanza.
Dove siamo ora?
Il rialzo esponenziale dei contagi, le difficoltà legate più a fattori esterni alla scuola che non a fattori interni (poca attenzione al rispetto del distanziamento e delle protezioni nei luoghi non formali e trasporti pubblici affollati, che rendono difficile applicare tutte le misure previste), nonostante proprio a scuola non sia previsto l’obbligo delle mascherine, quando lo è ormai all’aperto e su tutto il territorio nazionale, ha provocato un aggiornamento delle misure di adattamento alla convivenza col Covid 19, che dipenderanno anche dalle indicazioni dei vari governatori regionali.
Il DPCM entrato in vigore il 19 ottobre scorso ribadisce, infatti, che solo le scuole secondarie di secondo grado possono incrementare, previa comunicazione al Miur, la Didattica digitale integrata, che rimane comunque una misura complementare rispetto alla didattica in presenza e resta una scelta di emergenza, che potrà adottata solo nel caso in cui si modificassero alcune condizioni: maggiore contrasto alla diffusione del contagio, presenza di situazioni critiche di particolare rischio territoriale. Gli istituti potranno farlo adottando forme di flessibilità organizzativa previste dal D.P.R. 275/1999 e cioè ricorrendo all’autonomia didattica e organizzativa.
Regole comuni per garantire l’attività didattica
Uno degli impegni assunti dalle scuole durante il lockdown è stato quello di trovare regole comuni per garantire l’attività didattica e sono stati pubblicati numerosi regolamenti sulla Dad, tra marzo e maggio: per determinare la durata dell’ora di lezione, la quantità di tempo settimanale dei collegamenti, i media attraverso i quali far collegare le classi e tutte le tecnologie digitali consigliate, talvolta rese obbligatorie, fino ad arrivare alla netiquette dei comportamenti da tenere durante le attività sincrone e asincrone.
L’immersione totale in una scuola digitale ha avuto conseguenze sulla didattica? Sembra quasi che dopo il tuffo dove lo schermo è più blu, si sia tornati a riva. Se proprio dovesse essere ancora necessario il digitale sarà solo la zattera a cui aggrapparsi, solo per evitare di affogare.
Nel tentativo di capire quale scuola sia stata pensata e quali nuovi ambienti di apprendimento siano stati predisposti durante il Covid, ho fatto una passeggiata virtuale per i siti web delle scuole, cercando regolamenti, opuscoli, circolari che raccontassero questa nuotata, che tutti hanno fatto durante il lockdown, alcuni con i braccioli e altri surfando.
La mia operazione è stata più simile ad un girovagare che ad una perlustrazione sistematica e pesata, ma il tema meriterebbe un viaggio lungo e ben organizzato, soprattutto ora.
Autonomia e responsabilità degli studenti
Mi sono imbattuta in testi molto diversi tra loro, ma l’idea di una scuola che, proprio nell’emergenza, ha ritrovato sé stessa e ha avviato quei processi di innovazione, che da anni si aspetta che diventino diffusi e profondi, tendeva ad evaporare passo dopo passo. Esistono tante scuole diverse e alcune manifestano una certa fatica nel trovare un proprio lessico educativo e uno stile della proposta coerente col mutamento rapido e anche traumatico che stiamo subendo. Questi documenti hanno in comune spesso soprattutto la struttura o l’indice: i tempi di organizzazione delle attività sincrone e asincrone, la durata delle attività didattiche, le modalità di collegamento, come proporre verifiche e attribuire valutazioni, le modalità di fruizione dei materiali nelle piattaforme, il ricevimento dei genitori, i doveri degli alunni, i doveri dei docenti. In alcuni casi, troviamo anche una descrizione degli scenari legati alla situazione di docenti specifici (specializzati, di scienze motorie, quelli con ore a disposizione) o di studenti specifici (con Bisogni educativi speciali, con fragilità familiari, con molte assenze).
Ho letto questa frase e l’ho trovata bella e coraggiosa: “Gli studenti si impegnano sul proprio onore a frequentare le lezioni sincrone in modo responsabile”. Mi ha subito ricordato il primo articolo della Legge scout, una legge che dà responsabilità e autonomia insieme, che propone e non vieta: “Lo scout e la guida pongono il loro onore nel meritare fiducia”. Ho pensato che la visione che questa richiesta esprimeva era rivoluzionaria: niente controlli con lo specchio, niente occhi bendati durante le interrogazioni o obbligo di mostrarsi da soli, nella propria stanza (per chi ce l’avesse avuta naturalmente, altrimenti tavolo e sedia in cucina o in salotto), ma una ragazza o un bambino che dimostrano di che cosa sono capaci e se ne assumono la responsabilità.
Nella scuola c’è questo brutto vizio: separare l’autonomia dalla responsabilità. Vogliamo studenti responsabili, ligi e rispettosi a patto che facciano solo quello che prevediamo, ma se attribuiamo loro la possibilità di scegliere non siamo disposti a correre il rischio che sbaglino o che, viceversa, facciano la scelta giusta. Sembra esser vero per la valutazione, che dovrebbe essere anche autovalutazione e valutazione formativa (l’art.1 del Decreto attuativo n. 62 della Legge 107/2015 ce lo ricorda ancora così come le Indicazioni nazionali), vale per la partecipazione, vale spesso anche per la scelta dei percorsi di apprendimento, che stentano ad aprirsi davvero alla possibilità che gli studenti possano scegliere contenuti, strumenti e tempi.
Dall’integrazione all’inclusione: un percorso in salita
Passare da una mentalità dell’integrazione alla scuola dell’inclusione è ancora un percorso in salita: l’inclusione è un processo, non uno status e riguarda tutti. Aspira al benessere diffuso, non ai percorsi personalizzati. Esige prima di tutto il cambiamento degli ambienti di apprendimento e l’avvio di metodologie didattiche innovative e sfidanti, non l’esilio verso la periferia degli itinerari già solcati dagli studenti senza una certificazione.
Alcuni documenti restano fragilmente incagliati nella dimensione sanzionatoria. Ho letto lunghe liste di “è vietato” riferirsi ad atteggiamenti e comportamenti da tenere durante la Didattica a distanza (e non era il Regolamento d’Istituto). In una scuola leggo del rischio di una sospensione da uno a tre giorni per chi avesse divulgato la password della piattaforma o si fosse collegato alle video lezioni con uno pseudonimo o un nome fittizio e note sul registro nel caso si pranzasse o si facesse colazione durante la lezione. Mi scorrono davanti certe scene insolenti di “Amici miei” quando leggo che è necessario evitare inquadrature diverse dal volto.
Nonostante il massimo rispetto per i provvedimenti e per la fatica che devono essere costati alle comunità scolastiche, le lunghe liste di punizioni previste mi hanno un po’ intristito.
Conclusioni
La redazione del nuovo documento, il Piano per la Didattica Digitale Integrata, e la riflessione sulla scuola che abbiamo davanti oggi sono un’opportunità per ripensare anche a come rendere educativa una esperienza di apprendimento a distanza o semplicemente una esperienza mediata dal digitale, magari provando a essere più coraggiosi e collaborando con gli studenti per monitorare le attività, supportarle, gestirle senza che, oltre a dover subire una emergenza planetaria e un ulteriore disagio emotivo e sociale, ci si ritrovi compressi dentro altre pagine di regole e divieti, pronti ad avvelenare schermi e microfoni.