scuola nella pandemia

Didattica a distanza (dad) e digitale: si può fare bene (e vincere il covid). Ecco cosa serve

I contagi impazzano e mettono a rischio la scuola, ancora impreparata per la didattica a distanza. Si può ancora rimediare ai deficit digitali italiani: ecco come

Pubblicato il 11 Gen 2022

Vittorio Midoro

già dirigente di ricerca CNR presso l'Istituto Tecnologie Didattiche

scuola dad didattica a distanza

La pandemia si abbatte sulla scuola italiana, di nuovo e fortissimamente in questi giorni, in un contesto che era già fragilissimo. Già prima della pandemia la nostra scuola era in una crisi evidenziata sia dall’alto grado di analfabetismo funzionale dei ragazzi e di abbandono scolastico, sia dal diffuso analfabetismo funzionale e dal basso livello culturale della popolazione italiana. Le cause di fondo di questa crisi vanno ricercate nel non avere fatto i conti né con l’accesso di massa all’istruzione, né con la rivoluzione digitale.

Va da sé, che ci sono eccezioni,  situazioni di eccellenza e zone franche che però non modificano il quadro generale.

A scuola con Omicron: come fare bene la didattica digitale integrata (DDI)

La didattica a distanza funziona male?

Essendo la scuola un sistema complesso, l’innovazione coinvolge tutti gli elementi che lo compongono (contenuti,  modi di apprendere, ruolo degli insegnanti e loro formazione, l’organizzazione, strutture fisiche, equipaggiamenti, ecc). Cambiamenti questi che richiedono tempo e sperimentazioni. Ma un evento come la pandemia può esasperare le inadeguatezze e innescare un cambiamento.

In questi giorni, un  gruppo di 1500 dirigenti scolastici ha fatto appello al governo perché siano sospese le attività in presenza, almeno per un paio di settimane. Questo non vuol dire fermare la scuola, vuol dire farla funzionare a distanza usando il digitale. Ma, come ormai tutti hanno imparato, fare a distanza ciò che si fa in presenza (DAD) funziona male. Ma il difetto non sta né nella distanza, né nelle tecnologie, ma nell’ostinarsi a fare le stesse cose che si fanno in presenza.

Molti docenti e dirigenti scolastici hanno adottato nuovi modi di fare scuola a distanza, tenendo conto anche delle ricerche che da molti decenni si conducono nel settore delle tecnologie didattiche. In uno speciale del Sole24ore, pubblicato lo scorso anno, alcuni docenti raccontavano la loro esperienza di formazione a distanza sottolineando che “l’ elearning implica un ripensamento di modalità tempi e ruoli dei soggetti coinvolti”.

Chiedendosi “perché non approfittare di questo momento di crisi per trasformare la DAD da necessità in opportunità di cambiare il modo tradizionale di fare scuola?(Manzoni)”.

In questa occasione, molti docenti hanno preso confidenza con il digitale, introducendo nel loro insegnamento diverse pratiche didattiche: passando dalla lezione frontale allo sviluppo di ambienti di apprendimento con cui gli studenti interagiscono, dallo studio esclusivamente individuale a sistematici momenti di apprendimento collaborativo ecc. Lo stesso Ministero ha invitato i docenti ad adottare una pluralità di strategie per complementare la lezione frontale.

Cosa cambiare per fare bene didattica digitale a distanza e non

I docenti pionieri non sono affatto allarmati dall’elearning, anche se nel frattempo, non sono state create le condizioni che lo favoriscono. La prima delle quali era dotare tutti gli studenti di un pc personale (e non di famiglia), e fare in modo che lo imparassero ad usare in modo adeguato, supportando  i più bisognosi nei canoni di connessione. E poi bisognava incrementare l’uso del learning design da parte degli insegnanti, mutando il loro ruolo da esperti della materia a progettisti di ambienti di apprendimento.

Il tempo c’era. Nell’estate del 2020, per mostrare la praticabilità di questa idea, organizzai Un banco in maschera, una scuola estiva per docenti (gratuita), all’aperto, sul learning design, per un pugno di insegnanti. Fosse stato un progetto nazionale,  molti insegnanti non si troverebbero nella condizione di essere angosciati dalla DAD, che, come come scrive Riccardo Luna su Repubblica “avremmo potuto utilizzare a scuola per migliorare la didattica tradizionale. Un super potere in più nel nostro arsenale, e non l’ultima spiaggia dove naufragare”.

Ma ora non è il momento delle recriminazioni, bisogna affrontare il presente. Con questa organizzazione e queste strutture la scuola in presenza in sicurezza è una pietosa bugia. E lo sanno tutti. Scrivono i dirigenti scolastici firmatari dell’appello: “Sappiamo che il virus si trasmette per aerosol e che l’ambiente classe è una condizione favorevolissima al contagio. A differenza delle precedenti ondate, già prima della sospensione natalizia abbiamo assistito ad un’elevata incidenza di contagi all’interno delle classi (alunni e docenti, anche se vaccinati)”.

Cambiare l’organizzazione

Le strutture non possono essere cambiate, ma l’organizzazione sì. E allora si abbia il coraggio di farlo. Che farei io? Accoglierei l’invito di quei dirigenti scolastici che suggeriscono di posticipare la riapertura delle scuole in presenza e nel frattempo coinvolgerei  dirigenti scolastici, docenti pionieri e  ricercatori del settore delle tecnologie didattiche,  in un progetto per individuare  organizzazioni del tempo scolastico diverse da quelle attuali.

Per esempio, potrebbe essere preso in considerazione  un accesso alle strutture scolastiche limitato a piccoli gruppi di studenti, facendo in modo che le attività in rete siano complementate da brevi momenti in presenza degli studenti suddivisi in piccoli gruppi di lavoro.

Nella secondaria, invece di proseguire con un’organizzazione parallela dei corsi si potrebbe pensare a un’organizzazione sequenziale: per 4 settimane solo italiano, poi a seguire un corso di 4 settimane di matematica ecc.

I modi di apprendere potrebbero prevedere attività da svolgere collaborativamente in rete in piccoli gruppi, in modo sincrono e asincrono, con momenti di confronto in presenza, adottando strategie didattiche attive come le flipped class, il debate, la didattica per progetti ecc.

Ma se si modifica un elemento del sistema scuola, l’organizzazione in questo caso, tutti gli altri sono influenzati.

Perciò ai docenti dovrebbe essere chiesto di individuare il nucleo fondamentale dei contenuti della propria disciplina da trattare quest’anno, senza sovraccaricare gli studenti. Che cosa è veramente importante e irrinunciabile tra gli argomenti della mia materia e quali obiettivi didattici mi propongo di raggiungere nel tempo a disposizione? Less is more!

Si potrebbero trovare modi per fare emergere e condividere tra i docenti le esperienze più interessanti, anche interdisciplinari. A disposizione dei docenti si potrebbero mettere ricercatori o colleghi più esperti per ottenere consigli su come progettare processi di elearning.

I docenti potrebbero essere essere aiutati nel trovare risorse educative aperte da far fruire a distanza ai propri studenti.  Quelli che ancora non lo sanno fare, potrebbero essere aiutati nell’organizzazione di piccole comunità di apprendimento a distanza per realizzare un prodotto, un servizio o trovare la soluzione a un problema reale.

Il tempo in presenza andrebbe limitato a brevi incontri con piccoli gruppi di studenti, possibilmente all’aperto.  Si potrebbero coinvolgere le realtà locali come risorse per l’apprendimento (un parco, una riserva naturale, ecc.)

Ovviamente, questi sono solo spunti per cercare di rendere concreto il discorso, perché, nella realtà, ogni pratica educativa va calata in un contesto specifico, in relazione alle caratteristiche dei ragazzi e alle condizioni al contorno, sfruttando le possibilità offerte dall’autonomia scolastica.

In questo modo, non solo sarebbe possibile affrontare l’emergenza, ma sarebbe un primo passo verso una nuova scuola.

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